Madre Teresa, la guerra in Libano e il salvataggio di 100 bambini disabili e orfani
Nel 1982, in pieno conflitto, la religiosa salva dai bombardamenti un gruppo di bambini di un orfanotrofio. Disabili e malati, i piccoli erano stati abbandonati dal personale in fuga. Grazie alla fede e alla preghiera ottiene un cessate il fuoco per procedere all’evacuazione. Il racconto di una scrittrice e attivista drusa, testimone diretta degli eventi.
Beirut (AsiaNews) - Le Missionarie della Carità di Madre Teresa operano in Libano dal 1979. Oggi si contano 13 religiose, suddivise in due “case” a Beirut e a Bécharré, nel nord del Libano. La loro presenza ha generato un certo numero di vocazioni nel Libano stesso, dove sono molto amate. In molte parrocchie di Beirut la cerimonia di canonizzazione viene preparata mediante la preghiera. È il caso, in particolare, della parrocchia maronita di Santa Tecla, nella periferia nord di Beirut, in cui si trova la loro casa nella capitale libanese. Sono giornate caratterizzate da novene di preghiera, messe, in attesa della celebrazione di domenica, con testimonianze di seminaristi, preti e volontari.
Quanto al ricordo della visita eroica compiuta da Madre Teresa in Libano, nel 1982, in pieno conflitto, nel tempo esso si è un pochino offuscato. Tuttavia, fra quanti ricordano alla perfezione questo evento straordinario vi è Amal Makarem, membro di una famiglia drusa di primo piano. Noi l’abbiamo incontrata e le abbiamo rivolto alcune domande. Ecco, nello spazio limitato di un articolo di giornale, gli avvenimenti secondo l’ordine con il quale si sono svolti all’epoca dei fatti.
L’assedio israeliano di Beirut
Prima sequenza - Agosto 1982. Nel contesto di quella che Israele chiama “Operazione di pace in Galilea”, lanciata il 14 giugno, l’esercito israeliano sotto il comando di Ariel Sharon circonda Beirut ovest, da cui il generale Sharon vuole cacciare l’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina). I bombardamenti aerei e terrestri sono incessanti. L’aeroporto internazionale di Beirut è chiuso. Il bilancio è pesante: si parla di 500 morti, in maggioranza civili, e di altrettanti feriti. Nella parte della capitale sotto assedio l’acqua e i viveri cominciano a scarseggiare. Molti quartieri sono privi di corrente.
Verso il 10 agosto, rispondendo a un appello rilanciato dall’Agence France Press (Afp), Madre Teresa sbarca in tutta fretta in Libano dal piccolo porticciolo di Jounieh, situato nella zona a maggioranza cristiana del Paese, risparmiato dalla guerra. L’appello è esso stesso una storia a parte da raccontare. A lanciarlo, in preda alla disperazione, è stata Amal Makarem, testimone terrorizzata di uno spettacolo dantesco: un centinaio di bambini musulmani con disabilità fisica e mentale abbandonati a loro stessi dal personale di un orfanotrofio situato nella zona ovest di Beirut, senza cibo, senza acqua, senza cura né igiene personale. Alcuni in uno stato di agonia.
“Tutto per Gesù”
Seconda sequenza - 13 Agosto 1982. Trascrizione di un filmato dell’epoca divenuto nel tempo introvabile e di cui circola una sola copia, sbiadita. Sbarcata a Jounieh, Madre Teresa discute con un sacerdote e un alto funzionario, all’interno di una struttura che potrebbe essere un convento quanto un ufficio, di ciò che sarebbe accaduto l’indomani. “Sento che la Chiesa deve essere presente in questo momento” afferma Madre Teresa parlando con i due uomini, seduta di fronte a loro. “Perché noi non facciamo politica. Ed è proprio per questo che dobbiamo essere presenti”.
Logica da santa, naturalmente.
Il sacerdote: “È una buona idea, ma dovete capire la situazione madre… Non più tardi di due settimane fa è stato ucciso un prete. Laggiù è il caos. Il rischio è sin troppo elevato”.
Madre Teresa: “Ma padre, non è un’idea la mia. Credo che sia un nostro dovere. Dobbiamo andarci e prendere i bambini, uno a uno. Mettere in pericolo la nostra vita è nell’ordine delle cose. All for Jesus. Tutto per Gesù. Vedete, io l’ho sempre pensata in questa maniera. Fin da molto tempo addietro, quando ho preso la prima persona (da una strada di Calcutta), se non l’avessi fatto quella prima volta, non ne avrei poi accolte altre 42mila in seguito. Una alla volta, credo…”.
Secondo uomo: “Ma voi sentite le bombe?”.
Madre Teresa: “Sì, le sento benissimo”.
Secondo uomo: “È assolutamente impossibile attraversare (da est a ovest) in questo momento. Bisogna raggiungere prima un cessate il fuoco!”.
Madre Teresa: “Ah, ma questo io l’ho già domandato nelle mie preghiere alla Madonna. Ho chiesto un cessate il fuoco per domani, alla vigilia della sua festa (era la vigilia del 15 agosto, festa dell’Assunta)”.
Voce fuori campo, che commenta la scena - Al suo arrivo in Libano, Madre Teresa aveva chiesto di incontrare l’ambasciatore degli Stati Uniti. A riceverla è Philip Habib, spedito dall’allora presidente Ronald Reagan nella regione per mettere fine all’attacco delle truppe di Ariel Sharon. Philip Habib (1920-1922), diplomatico americano di origine libanese, era conosciuto per la sua opera diplomatica in Vietnam. Era descritto dal New York Times come “il miglior diplomatico in assoluto della sua generazione”.
Secondo alcuni testimoni, dopo aver ascoltato con attenzione Madre Teresa, Philip Habib aveva risposto: “Madre, sono più che felice di essermi accostato a una donna di preghiera. Io credo nella virtù della preghiera. Credo che la preghiera sia foriera di risposte. Io stesso sono un uomo di fede. Ma, vedete, state per chiedere alla Madonna di trattare col Primo Ministro [Menachem] Begin, e non pensate che il tempo limite che gli state concedendo (per ordinare un cessate il fuoco) sia un po’ ristretto? Non sarebbe forse meglio prolungarlo un pochino?”.
Madre Teresa, seria: “Ah! Niente affatto signor Habib! Sono certa che otterremo il cessate il fuoco entro domani”.
Philip Habib: “Se otteniamo un cessate il fuoco, veglierò di persona affinché siano prese tutte le misure perché voi possiate andare a Beirut ovest l’indomani”.
Il giorno successivo, 14 agosto 1982, un silenzio assoluto avvolge la città.
La “catastrofe”
Terza sequenza - Femminista, scrittrice, attivista, Amal Makarem vive nel palazzo in cui è situato anche il quartier generale del Comitato della Croce rossa internazionale, alla fine di rue Hamra, nella zona sotto assedio della capitale. In realtà, l’edificio appartiene alla sua famiglia. Per forza di cose, coinvolta nelle operazioni di soccorso in questi tempi di emergenza, la donna coordina il lavoro di diverse Ong impegnate sul terreno: Circ, Medici senza frontiere (Msf), Medici nel mondo, Unicef, Oxfam, etc.
Diamole la parola: “Un giorno, un volontario di Oxfam, Derick Cooper, un inglese, mi informa, trafelato, che in un palazzo situato non lontano dal campo palestinese di Sabra, bambini handicappati e orfani sono vittima dei raid aerei israeliani, abbandonati in tutta fretta a loro stessi dal personale medico. La cucina dell’istituto era chiusa a chiave. Nel panico, il personale aveva lasciato l’edificio bombardato. Si contavano morti e feriti”.
“Con queste informazioni, sono corsa da Jean Hoefliger (svizzero), il delegato generale della Croce rossa internazionale a Beirut. Per me era impensabile lasciare questi bambini una sola notte di più in questa situazione. La sua risposta ha tranciato di netto la mia affermazione: “Non possiamo fare nulla per la tua iniziativa. Noi trattiamo solo col governo libanese. Bisogna che tu abbia un riconoscimento ufficiale, perché noi possiamo intervenire”.
“Disperata, vado alla ricerca del ministro degli Affari sociali, Abdel Rahman Labban. Lo trovo nell’ufficio del ministro dell’Informazione, Marwan Hamadé, un amico, nel settore di Hamra. È da lì che avevano l’abitudine di seguire la battaglia di Beirut, senza alcun potere di intervento sul corso degli avvenimenti. Il ministro Labban, messo a conoscenza, senza alcun tentennamento mi delega alcuni poteri. Corro da Jean (Hoefliger). Uno o due giorni dopo, si svolge una prima evacuazione di un gruppo di bambini, fra molti pericoli, grazie anche all’aiuto di una parte dei dipendenti dell’orfanotrofio, che erano di ritorno. Ad accogliere questo primo gruppo l’associazione armena Antranik, con sede a Zarif, nel settore ovest di Beirut, risparmiato dal conflitto”.
“Cosa fare degli altri? Sono i più vulnerabili, spastici senza alcuna autonomia, che devono essere curati in tutto e per tutto. Per loro, stima la Cicr, è necessaria una struttura più adeguata. Il mio cuore duole, rientro a casa in preda allo sconforto. Chiamo il direttore dell’Unicef. Impossibile, mi risponde, serve una struttura governativa. La sera, dopo aver moltiplicato invano i contatti, mi piazzo davanti alla mia piccola macchina da scrivere e lancio un appello al mondo intero. Era un Sos disperato, una bottiglia nel mare. Non ne parlo nemmeno coi miei vicini. Nemmeno io ci credevo. Poi vado all’Afp e lo affido a Mouna Naïm, un giornalista divenuto nel frattempo mio amico. Il giorno successivo, o quello dopo ancora, non ricordo, miracolo dei mezzi di comunicazione, mi chiama la Croce rossa internazionale: “Abbiamo ricevuto una telefonata dal Vaticano ed è Madre Teresa che verrà per aiutare nelle operazioni di evacuazione dei bambini”.
“Non mi ero ancora ripresa del tutto dalla sorpresa, quando all’alba del 14 agosto suonano alla mia porta. Erano le 5. Apro e chi vedo? Madre Teresa e il direttore Cicr”.
Philip Habib ha negoziato il cessate il fuoco, ottenuto grazie alla fede, il quale è entrato davvero in vigore. Una calma irreale avvolgeva Beirut. Tutta la stampa internazionale era davanti alla sede della Cicr”.
Non c’è tempo da perdere
Caffè, un bicchiere di acqua, un panino, Madre Teresa rifiuta qualsiasi cosa, aggiunge Amal Makarem. Non c’era tempo da perdere. Il convoglio della Croce rossa internazionale, con un autobus e una jeep della Croce rossa libanese, si avvia faticosamente in direzione dell’orfanotrofio islamico. Uno a uno, come aveva sempre fatto Madre Teresa, 36 bambini spastici, con carenze mentali e fisiche, vengono presi e infilati all’interno delle vetture. Alcune con almeno 60 bambini all’interno. Non per infierire, ma secondo un responsabile della Cicr “il personale in fuga li aveva abbandonati. L’ospizio stesso era stato colpito da bombe, si sono registrate vittime. I bambini erano rimasti senza cure, né cibo. Fino all’arrivo di Madre Teresa, nessuno si era fatto davvero carico di prendersi cura di loro”.
Infatti, qualche suora e membri del personale erano forse già venuti in visita, mettendo a rischio le loro vite. Attraversando vie e strade piene di detriti e macerie e cumuli di spazzatura, i bambini vengono portati a Fanar, un quartiere popolare della periferia cristiana di Beirut, dove nel 1979 le Missionarie della Carità avevano aperto un istituto.
“Tutto era magico, miracoloso con Madre Teresa” conclude Amal Makarem, testimone in due tempi delle operazioni di evacuazione. Era una vera forza della natura. E come se nulla fosse ha attraversato, di notte, il confine fra est e ovest. Di contro, non trovo le parole per descrivere i bambini che ha soccorso. Si trattava di disabili mentali, ma quello che era davvero terribile è aver trovato nel gruppo anche bambini normali che, nascosti, si comportavano come gli altri piccoli malati. Madre Teresa li prendeva fra le proprie braccia e, all’improvviso, rifiorivano, diventavano degli altri, come quando si dà un po’ di acqua a un fiore appassito. Lei le stringeva fra le proprie braccia e questi piccoli rifiorivano in una frazione di secondo”.
L’intermezzo di Madre Teresa era portatore di un qualcosa di molto più ampio. Il 21 agosto veniva raggiunto un cessate il fuoco definitivo, al termine del quale - dopo laboriosi negoziati sotto l’occhio vigile di Philip Habib - l’Olp lascia Beirut.
Sfortunatamente, a questo sono seguiti episodi di sangue fra cui l’assassinio del presidente eletto Bachir Gemayel e i massacri di Sabra e Chatila.
Qualche tempo dopo la riapertura dell’aeroporto, Amal Makarem - trasferitasi nel frattempo a Parigi - viene a sapere che Madre Teresa la sta cercando. Stabilito il contatto, Madre Teresa si lamenta di ciò che è stato fatto “alle sue spalle”. Con la normalizzazione, in nome della diversità religiosa, i bambini che lei aveva salvato erano stati prelevati. La vita “ordinaria” riprendeva il sopravvento.
Di seguito una poesia in lingua originale dedicata a Madre Teresa e la traduzione in italiano.
A Mère Térésa, pour la consoler de sa nuit
Au point du jour elle se leva,
Il faisait encore sombre.
Elle avait dormi en habit.
Il fallait voler ce moment à la folie des bombes,
Un calme irréel se fit.
Qui avait ordonné
Que les bombardements cessent ?
Elle l’avait demandé.
Dans la foi, elle alluma
Une bougie consacrée.
Et le calme dura,
Tant que la flamme brûlait.
Tel était son respect de la vie,
Qu’elle devait les sauver :
C’était les spastiques
De l’orphelinat islamique.
Mère Térésa, c’est pour nous que ce gouffre s’est ouvert.
La nuit de la foi est une nuit surnaturelle.
C’est Dieu même qui s’avance, déguisé en abîme,
Qui assume en ta chair, la nuit totale de l’Occident.
A Madre Teresa, per consolarla della sua notte
Al volgere del giorno si alzò,
Era ancora buio.
Aveva dormito vestita.
Era necessario in quel momento sfuggire alla follia delle bombe,
Si era venuta a creare una calma irreale.
Chi aveva ordinato
Che i bombardamenti si fermassero?
Lei, lo aveva chiesto.
In un atto di fede, lei ha acceso
Una candela consacrata.
E la calma è durata,
Per tutto il tempo in cui la fiamma bruciava.
Tale era il suo rispetto per la vita,
Che doveva salvarli:
Erano gli spastici,
Dell’orfanotrofio islamico.
Madre Teresa, è per causa nostra che si è aperto questo baratro.
La notte della fede è una notte soprannaturale.
È Dio stesso che avanza, che si muove sull’abisso,
Che imprime nella tua carne, la notte assoluta dell’Occidente.
08/09/2020 12:30
16/08/2016 14:07