13/02/2016, 11.27
RUSSIA-VATICANO
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L’incontro fra papa Francesco e Kirill: storico e un po’ surreale

di Vladimir Rozanskij

I capi di due tradizioni religiose ieratiche, si sono abbracciati in un ambiente spoglio e “sovietico”, sterilizzato e senza popolo, alla sola presenza di dignitari, politici e giornalisti. Molto ricche le proposte della Dichiarazione comune, che traccia un impegno missionario che potrà andare avanti per secoli. L’eco di Putin sulla questione siriana; la “vittoria” di Kirill sull’uniatismo e l’Ucraina. La verifica dell’accordo nell’impegno verso il mondo reale.

Mosca (AsiaNews) - L'incontro improvviso, ma non imprevisto, tra il Papa di Roma e il Patriarca di Mosca ieri all’Avana, ha spalancato una finestra sul futuro, ma ha anche riaperto il solaio del passato. Dopo un quarto di secolo dalla fine dell'Unione Sovietica - che tra le altre cose aveva comportato la fine della sovietologia come specializzazione accademica e giornalistica - tutto il mondo ha rispolverato le proprie conoscenze sulla storia russa e sui suoi rapporti interconfessionali, questi ultimi altrettanto trascurati nell'inaridirsi del movimento ecumenico nel XXI secolo.

A partire dagli antichi Concili del primo millennio, i commentatori si sono affannati a rimembrare scismi, offese e pregiudizi, insieme a persecuzioni e trattative segrete, rivoluzioni e rinascite, per spiegare la portata storica di un incontro che tutto il mondo “attendeva da secoli”, senza forse sapere bene a che cosa servisse. Ora il grande evento ha avuto luogo, e tutti affermano - a partire dai due bianchi patriarchi - di sentirsi più sereni e fiduciosi, non si sa bene ancora per quale scopo effettivo, ma di certo se ne troveranno, in fondo si è firmata una bella Dichiarazione in 30 punti, che apre a un lavoro per almeno tre secoli.

In realtà, "avere luogo" per questo incontro è un'affermazione un po’ simbolica, forse surreale. L'aeroporto dell'Avana, intitolato al poeta e filosofo Josè Marti, fondatore del partito rivoluzionario cubano e autore della famosa Guantanamera, con i suoi vivaci colori rossoblu ha fatto da sfondo e da contrasto a un incontro tra i massimi esponenti del ritualismo ieratico mondiale, le due "Chiese tradizionali" sull'isola della trasgressione. L'atmosfera paradossale era peraltro accentuata dall'assoluta sterilizzazione dell'area, in cui non vi era traccia di popolo: una Cuba senza cubani, un aeroporto senza passeggeri: solo politici, alti prelati e giornalisti, una scenografia di sospensione dalla realtà. Più che sosta ai Caraibi, paradiso dei turisti, era una tappa al di fuori del tempo e dello spazio, un'inserzione della storia nel paradiso eterno dell'aldilà.

Se l'esterno era un non-luogo, un simbolo evacuato, la scenografia degli interni si è mostrata al contrario in tutta la sua inconfondibile prosaicità: come in molti edifici della Russia e dei suoi paesi ex-satelliti, la riverniciatura esterna non può evitare il senso di angoscia degli angusti spazi interni, cifra architettonica ed esistenziale del socialismo reale. La piccola sala dell'incontro dei due Padri della Chiesa ha conservato le proporzioni, i colori e certamente il profumo delle cosiddette khrusciovke, le case sovietiche del dopoguerra che ottimizzavano lo spazio socialista, con i suoi soffitti alti meno di tre metri e i suoi materiali scadenti e quasi trasparenti, che lasciano passare i sospiri del vicino e impediscono ogni privacy. Quando sulla mezza stanza dove attendevano in due file ordinate gli astanti, si è aperto il divisorio della metà da cui dovevano entrare solennemente i due grandi protagonisti, per un attimo è sembrato di vedere le verdi uniformi dell'Armata Rossa, che scortavano ospiti poco graditi dei bei tempi della Guerra Fredda.

E infatti a scortare le due Santità, convenute in difesa dei cristiani perseguitati, c'era un grande reduce di quei tempi tragici, quel Raul Castro fino a ieri grande persecutore di cristiani e dissidenti, e oggi un po' neofita di Francesco, e un po' agente operativo di Putin e Kirill. Castro era il padrone di casa, ma sembrava piuttosto il maggiordomo del patriarca russo, a cui l'isola era stata provvisoriamente affittata. Il capolavoro della diplomazia ortodossa ha fatto quindi in modo che fosse Francesco, il primate sudamericano, ad andare da Kirill, che lo attendeva a casa sua come se L'Avana fosse la sua residenza estiva, una dacia sul Mar Nero delle Bermuda.

Ad ogni modo, senza volersi troppo soffermare sulle singolari circostanze "minimaliste", come qualche caritatevole commentatore ha voluto definirle, finalmente possiamo consegnare agli archivi la sostanza: si sono visti, hanno sorriso, si sono abbracciati, si sono riconosciuti: somos hermanos, ha esclamato Francesco, ora tutto è più facile, gli ha fatto eco Kirill. Se con gli altri patriarchi orientali, a partire da quello di Costantinopoli, i toni sono sempre aulici e solenni, tra russi e cattolici tutto assume un tono più semplice e confidenziale, nonostante paradossi e diffidenze: sono loro due, la prima e la terza Roma, a dare le carte a tutti gli altri. Sono gli unici due a portare il copricapo bianco, segno universale che Mosca copiò da Roma quando impose il proprio Patriarcato per salvare il mondo, in tempi lontani.

Il mazzo di carte è ricco, con tutti gli assi e i jolly necessari: il Papa e il Patriarca, sul traballante tavolino offerto dai Castro, hanno firmato un accordo di ambizioni enormi, ben al di là della difesa dei cristiani del Medio Oriente, motivo dell'incontro quasi trascurato negli spontanei discorsi a braccio dei due. Il testo comune in 30 punti parla sì della difesa delle comunità perseguitate, ma anche della stessa civiltà umana dal terrorismo, per cui ci vogliono azioni coordinate fra le potenze coinvolte (il mantra di Putin in Siria), e della natura umana dagli attacchi contro la famiglia e la vita, con quella franchezza che il patriarca Kirill ha sempre avuto e richiesto agli altri leader cristiani, e che Francesco aveva un po' sfumato.

Molto cari a Kirill anche gli accenni all'integrazione dei popoli e dei migranti che rifiuti il multiculturalismo, e difenda l'identità cristiana dei Paesi europei. Nel documento c'è però anche la giustizia, la scelta dei poveri richiamata da Francesco, pur senza accenni alla salvaguardia del creato, tema comune con Bartolomeo di Costantinopoli, ma non con Kirill, che vede l'ecologia piuttosto con sospetto, come scusa per far passare altre riforme anti cristiane.

Sul conflitto in Ucraina si ribadisce con forza la condanna dell'uniatismo, condizione da sempre posta dai russi per qualunque forma di dialogo, e si richiamano i cristiani ucraini a smettere di litigare, escludendo qualunque accusa di ingerenza esterna. Non mancano indicazioni di tipo ecumenico-teologico, anche qui piuttosto sbilanciate sulla prospettiva russa: si parla della necessità di esprimere correttamente le fede trinitaria - ancora e sempre i bizantinismi del Filioque - ma non si accenna alle diverse interpretazioni del Primato nella Chiesa, che da dieci anni si cerca di inserire nel dialogo teologico, ma che i russi non vogliono nemmeno sentire.

E dopo? Come continuerà il rapporto tra Roma e Mosca? Quali conseguenze avrà questo incontro sul Sinodo pan-ortodosso di Creta, nel prossimo giugno? Anche Creta in effetti è un’isola, anche se nel bel mezzo del Mediterraneo, anche in questo caso scelta per evitare le tensioni della terraferma. Dalle isole si dovrà prima o poi salpare verso il mondo reale, e dal vuoto dell'aeroporto immergersi nella folla della metropoli, come Francesco a Città del Messico e Kirill nella stessa Avana. La città cubana è divenuta la "capitale dell'unità" delle Chiese e dei tempi, del passato e del futuro, nel segno di due uomini audaci e capaci di credere alla fantasia dello Spirito, che soffia dove e come vuole e non più soltanto "dall'Atlantico agli Urali", ma anche al di là degli oceani e delle isole

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