05/04/2017, 14.24
CINA-USA
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L’incontro fra Xi Jinping e Donald Trump e i diritti dimenticati

di Bernardo Cervellera

Molti timori e aspettative per il summit del 6 e 7 aprile. Dopo le dichiarazioni di fuoco dei mesi scorsi, ora l’amministrazione Usa vuole potenziare la collaborazione mutua, “senza conflitti, senza contrasti”. Probabile un finanziamento cinese al progetto di infrastrutture lanciato da Trump. La richiesta di liberare i dissidenti. Trump diverso dalla Clinton?

Roma (AsiaNews) - Il 6 e il 7 aprile, i supremi leader di Cina e Stati Uniti, Xi Jinping e Donald Trump, si incontrano in Florida a Mar-a-Lago, nella tenuta di quest’ultimo. Tale incontro – confermato solo pochi giorni fa, il 30 marzo –  viene definito come “informale”, amichevole, e senza pretese dalle due diplomazie. Ma esso suscita molti timori e aspettative nel mondo.

I timori vengono dalle premesse: nei mesi della campagna elettorale e nei primi mesi di presidenza, Trump ha accusato la Cina di essere una “manipolatrice di valuta” per facilitare il suo export; l’ha additata come causa della perdita posti di lavoro negli Usa; ha minacciato di mettere tasse fino al 45% sui prodotti cinesi. Nei giorni scorsi si è lamentato che Pechino non fa abbastanza per contenere le pretese nucleari della Corea del Nord e ha minacciato azioni unilaterali, anche militari. Ad un certo punto, Trump ha messo in discussione anche l’adesione degli Usa al principio dell’unica Cina, colpendo al cuore il nazionalismo assoluto cinese, che vuole il ritorno alla madrepatria dell’isola ribelle di Taiwan.

È anche vero che vi sono stati segnali distensivi: una telefonata fra i due leader, la riaffermazione del principio dell’unica Cina, le dichiarazioni di Rex Tillerson, segretario di Stato Usa sul desiderio di un rapporto “senza conflitti, senza contrasti, nel mutuo rispetto, e di mutua cooperazione in cui entrambi vincono (win-win)”.

Una soluzione “win-win” non è facile da trovare. Trump ha promesso di mettere “l’America al primo posto” e di “rifare grande l’America”, creando milioni di nuovi posti di lavoro negli Usa; Xi Jinping, alla vigilia del Congresso del Partito (in ottobre), dove si prepara la continuazione o meno della sua leadership, vuole mostrare che la Cina è una grande potenza “alla-pari”, e deve portare risultati che confermano il suo progetto del “sogno cinese”, che è come dire “fare grande la Cina”.

Una guerra commerciale a colpi di dazi sarebbe un disastro per tutta la regione Asia-Pacifico, come pure per i due interlocutori: la Cina, il cui modello di sviluppo è ancora basato sull’export, non può perdere il mercato americano; gli Stati Uniti non possono fare a meno dei prodotti “made in China” dall’oggi al domani, coi loro prezzi assolutamente competitivi che – si calcola – fanno risparmiare fino a 850 dollari all’anno alle famiglie statunitensi.

In questi giorni gli analisti stanno suggerendo che la Cina potrebbe investire una parte dei fondi del progetto “One belt, one road” [una cintura, una via: il rilancio di una nuova Via della Seta – ndr] in infrastrutture negli Usa. Trump ha lanciato un progetto di costruzioni di infrastrutture per circa 8mila miliardi, ma ha bisogno di trovare i finanziamenti. Il contributo della Cina gli permetterebbe di creare molti nuovi posti di lavoro e darebbe a Pechino un nuovo spazio nell’economia Usa.

Questo però non andrebbe a toccare questioni più profonde che frenano il commercio fra Pechino e Washington. A Davos, Xi Jinping si è mostrato paladino della globalizzazione, ma il suo Paese continua a porre limiti e dazi alle importazioni di beni dall’estero e alle regole delle joint-venture con ditte straniere.  Ma anche su questo aspetto è probabile che i due interlocutori trovino un accordo.

Un elemento che invece sembra non trovare posto nei dialoghi è quello dei diritti umani. Una commissione esecutiva del Congresso ha chiesto a Trump di utilizzare questa “storica opportunità” dell’incontro fra i due leader per spingere alla liberazione dei dissidenti cinesi.

Il capo della commissione, Marco Rubio, in una dichiarazione spiega: “Non possiamo dimenticare gli uomini e le donne che languiscono in prigione in modo ingiusto, i familiari che non conoscono il destino dei loro amati, e i professionisti che sono scomparsi solo perché facevano il loro lavoro”.

“Queste persone non sono statistiche – continua la dichiarazione – esse sono editori e pastori, scrittori e Premi Nobel, avvocati e difensori dei diritti. Mentre riconosciamo l’ampio scopo per i rapporti bilaterali Usa-Cina, è inaccettabile che il presidente Xi riceva carta bianca sui diritti umani”.

Chris Smith, co-presidente della commissione, ha commentato: “Noi dimentichiamo con facilità che dietro I deficit commerciali e le preoccupazioni sulla sicurezza, persone reali pagano un prezzo altissimo per essersi levati a favore della libertà. Per questo essi sono eroi e la loro liberazione senza condizione dovrebbe essere parte di questo summit”.

Per Trump potrebbe essere la volta buona di mostrarsi davvero differente da Hillary Clinton. Nel 2009, al suo primo viaggio in Cina come segretario di Stato, a un giornalista che le aveva chiesto se avesse accennato ai diritti umani, la Clinton ha risposto: “Con i cinesi parliamo di tutto, ma davanti a tutto noi mettiamo gli interessi [economici] degli Stati Uniti”.

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