L’epilogo felice della ‘controversia Hariri’: Parigi pronta ad accogliere il premier libanese
Domani il premier dimissionario libanese lascerà Riyadh per la Francia. Restano i dubbi sul suo futuro e su quello del governo del Paese. La tutela del presidente Aoun che rafforza sempre più il legame col “figlio adottivo”. Le mire saudite sul Libano e la ricerca di stabilità di Europa, Stati Uniti e Iran.
Beirut (AsiaNews) - La Francia ha vinto, e non si può definire questo successo che un colpo da maestro sul piano diplomatico. Due settimane dopo aver presentato le dimissioni sulla catena televisiva saudita al-Arabiya, il 4 novembre scorso a Riyadh, in un contesto quantomeno ambiguo, il premier libanese Saad Hariri è atteso per domani a Parigi. Nella capitale francese egli sarà ospite a pranzo del presidente Emmanuel Macron, come ha annunciato egli stesso oggi in un comunicato ufficiale a firma dell’Eliseo.
Cosa gli è valso questo onore? Questo resta ancora da capire. La piccola storia della mediazione francese a favore di Saad Hariri è ancora tutta da scrivere. Sono parte integrante di questa vicenda la visita inaspettata del presidente Macron a Riyadh, e due viaggi del ministro francese degli Esteri Jean-Yves Le Drian, così come una serie innumerevole di contatti con Beirut.
Per il momento, quello che è certo è che la Francia ha saputo far capire ai sauditi, in particolare al principe ereditario Mohammed bin Salman (Mbs), che Saad Hariri rappresenta “un solido alleato” e indispensabile. I legami tradizionali che esistono fra Libano e Francia, fatti di amicizia, comprensione reciproca e di interessi comuni, hanno al contempo contribuito in modo evidente a tutto questo, consentendo di fatto questo epilogo felice della controversia.
Del resto, l’Arabia Saudita sembra aver rimosso tutte le restrizioni che aveva imposto nelle ultime due settimane al capo del governo libanese, che detiene al tempo stesso la nazionalità saudita. Difatti, nelle ultime due settimane, in almeno tre occasioni il premier Hariri aveva annunciato il rientro a Beirut “entro i successivi due o tre giorni”… senza rispettare mai la parola data, facendo seguito alle promesse iniziali.
Certo, i vertici sauditi hanno affermato che queste restrizioni fossero una favola inventata da Beirut; tuttavia, quando il capo di Stato libanese, rischiando un grave incidente diplomatico, ha affermato che le entrate e le uscite dalla residenza di Hariri a Riyadh erano sorvegliate, ci si è dovuti per forza arrendere all’evidenza: egli non si sarebbe mai permesso di fare dichiarazioni di questa natura, se non avesse avuto la sicurezza di un qualcosa di anormale nelle misure che erano state predisposte attorno al capo del governo libanese nelle ultime due settimane.
Coinvolgimento personale
Fonti vicine al palazzo presidenziale spiegano che si è venuto a creare da qualche mese un forte legame di amicizia fra i due uomini, a dispetto della differenza di età, al punto che l’ottantenne capo di Stato Michel Aoun aveva davvero preso il 48enne Hariri sotto la propria ala. Tutto questo spiega, ai loro occhi, il fatto che Aoun si sia sentito così coinvolto sul piano personale in questa vicenda. Secondo queste fonti, vi è stato da parte del presidente un “riflesso protettivo” nei confronti del Primo Ministro, al di là dell'ovvia indignazione per aver visto trattato in questo modo il proprio capo del governo.
Questo coinvolgimento personale spiegherebbe anche, agli occhi delle stesse fonti sopraccitate, il perché il capo dello Stato avrebbe vestito l’abito della battaglia e sia sceso in campo per “liberare”, costi quel che costi, un uomo che ha imparato ad amare come se fosse un figlio.
Tuttavia, all’indomani dell’annuncio diffuso ieri del prossimo arrivo del premier libanese in Francia, il tono del presidente è cambiato. Michel Aoun si è visto ormai rassicurato, valutando che ora “la crisi Hariri” è sul punto di risolversi e che vi sono “soluzioni a tutti i problemi”. Il capo della diplomazia libanese Gebran Bassil dopo aver visitato tutte le grandi capitali europee ha egli stesso richiuso le ali ed è atterrato in Libano, per seguire gli sviluppi della vicenda, raccomandando al nuovo ambasciatore libanese a Parigi di mantenere gli occhi aperti.
E il compromesso?
Per violento e illegittimo che sia il modo usato, la “controversia Hariri” è però riuscita a rimettere in dubbio il compromesso che aveva portato all’elezione di Michel Aoun alla presidenza e l’istallazione di Saad Hariri al Gran Serraglio. Questo compromesso potrà essere salvato? E a che prezzo? E con che cosa potrebbe essere sostituito? Siamo forse condannati di nuovo all’immobilismo? Sono queste tutta una serie di domande alle quali è difficile dare una risposta, sia essa negativa o affermativa.
In definitiva, è tutto il Libano nella sua intierezza a essere “preso in ostaggio” dalla rivalità in atto fra l’Iran e l’Arabia Saudita. Intrappolato, dopo un anno di luna di miele, da questa rivalità, il suo avvenire dipende ormai da questo. Non è per far piacere al Libano che l’Iran sta rivedendo la sua politica di espansione militare criptica nel mondo arabo, e in particolare nello Yemen, dove è confermato che Hezbollah si sia impegnato con 3 o 400 esperti e addestratori militari. E ancora, non è certo per far piacere al Paese dei cedri se Mbs chiuderà un occhio sul lancio di un missile dallo Yemen in direzione dell’Arabia Saudita, sulle infiltrazioni nella popolazione sciita del Bahrain o se prende parte alla preparazione di un attentato in Kuwait.
Queste considerazioni saranno certamente al centro degli scambi fra Beirut e Parigi, che faranno seguito all’arrivo di Saad Hariri in Francia. Quanto tempo resterà Hariri nella capitale francese? Presenterà anche dalla Francia le sue dimissioni e, in caso affermativo, come verrà garantito il disbrigo delle ordinarie attività di governo? Andrà lo stesso in Libano, dove ha però affermato che la sua sicurezza personale è in pericolo? Un’eccezione costituzionale lo permetterà comunque in sua assenza, come ha insinuato il capo dello Stato? Di fronte a questi dubbi, l’unica certezza che ha il Libano in questo momento è che l’Europa e gli Stati Uniti, così come l’Iran, vogliono che nulla turbi la sua relativa stabilità e la ripresa delle sue istituzioni, a partire dalle elezioni legislative - le prime dal 2009 - in programma nel maggio 2018.
16/11/2017 09:02