L’assalitore di Rushdie, la (presunta) radicalizzazione libanese e l’asse con Teheran
I genitori di Hadi Matar provengono dal villaggio meridionale di frontiera di Yaroun, area controllata da Hezbollah, da cui sono emigrati 30 anni fa. L’avvicinamento all’islam estremo avvenuta (forse) durante un soggiorno nel 2018. L’inchiesta statunitense e i risvolti per la regione mediorientale. Khamenei ha ricordato che la fatwa contro lo scrittore è “solida e irrevocabile”.
Beirut (AsiaNews) - L’assalitore dello scrittore britannico Salman Rushdie, colpito nello Stato di New York il 13 agosto scorso, è di origine libanese. Ma possiamo affermare che egli si sarebbe radicalizzato proprio in Libano? E ancora, egli avrebbe agito da solo o al soldo di qualcuno? Queste sono le questioni fondamentali che emergono in queste ore nel Paese dei cedri, dopo che sarebbe emerso da fonti concordanti che Hadi Matar e i suoi genitori provengono dal villaggio meridionale di frontiera di Yaroun (Bint Jbeil). Un luogo abbandonato almeno 30 anni fa, ben prima della nascita del loro figlio maggiore.
Interpellato dall’emittente Al-Jadid (NTV), il presidente del consiglio municipale di Yaroun, Ali Qassem Tahfa, ha sottolineato che Hadi Matar “è nato e cresciuto negli Stati Uniti, ma che sua madre e suo padre, oggi divorziati, provengono da Yaroun”. Senza negarlo, il funzionario municipale è rimasto evasivo e vago sulla presenza di suo padre in Libano. Al principale quotidiano in lingua francese L’Orient-Le Jour (OLJ), il direttore generale della sicurezza, generale Abbas Ibrahim, ha affermato che Hadi Matar “non ha mai messo piede in Libano”.
Tuttavia, questa dichiarazione è state indirettamente smentita dalla madre dell’interessato, Silvana Fardos, che in una intervista al britannico Daily Mail ha rivelato che il figlio ha soggiornato in Libano nel 2018 per rivedere il padre, rientrato nel Paese di origine dopo la separazione. Da “figlio affettuoso e giovane come tanti altri”, egli si è trasformato dopo questo soggiorno “in un individuo introverso e di cattivo umore” ha aggiunto la donna. Al suo ritorno, spiega il quotidiano, Hadi Matar “inizia a litigare con la madre, alla quale rimprovera il fatto di incoraggiarlo a studiare invece di concentrarsi sulla religione”.
Dalle rivelazioni di Silvana Fardos è facile dedurre che la radicalizzazione di Hadi Matar si è concretizzata proprio in Libano. Possiamo dunque supporre che l’inchiesta aperta negli Stati Uniti finirà per dirigersi, prima o poi, in direzione del Libano. Ed è altrettanto evidente che, in attesa di una rogatoria internazionale in tal senso della giustizia americana, il generale Abbas Ibrahim, si occuperà direttamente della questione - un caso assai imbarazzante per il Paese del cedri -, potendo contare sulla fiducia delle autorità statunitensi. Del resto gli stessi vertici di Washington lo hanno coinvolto a più riprese, in passato, in alcune vicende delicate e più di recente nell’affaire Austin Tice, un fotografo americano scomparso a Damasco nel 2012, ancora oggi nelle mani di sequestratori la cui identità resta sconosciuta.
Dato che Yaroun si trova situata in una circoscrizione di frontiera, area nella quale poche cose avvengono senza il benestare e il controllo del partito di Dio (Hezbollah), è assai probabile che l’inchiesta in Libano si scontrerà con gli sforzi che la giustizia americana farà per verificare se davvero Hadi Matar ha intrecciato in Libano legami con i Pasdaran. Di contatti con i Guardiani della rivoluzione iraniani hanno parlato alcuni media iraniani come Vice World News, che rilancia fonti interpellate dietro garanzia di anonimato in Europa e Medio oriente.
In queste ore l’Iran, dopo tre giorni di completo silenzio, ha negato “categoricamente” anche il minimo coinvolgimento nell’attacco a colpi di coltello sferrato negli Stati Uniti contro Salman Rushdie, scaricando la colpa sull’autore dei “Versetti Satanici”. “Neghiamo con forza - ha sottolineato nella conferenza settimanale il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran Nasser Kanani - qualsiasi legame fra l’aggressore e l’Iran” e “nessuno ha il diritto di lanciare accuse contro la Repubblica islamica”.
In realtà, se come sembra, Hadi Matar è vicino per ideologia alla Repubblica islamica, nulla fa pensare per il momento che il suo gesto sia stato fatto dietro comando. “Pur essendo evidente la natura internazionale della forma estremista dell’islam [sciita] iraniano, non possiamo dire in questa fase se l’uomo ha agito secondo convinzioni proprie, sia stato ispirato [da Teheran] o se abbia agito per ordine e dietro impulso dell’Iran” sottolinea a l’OLJ Ali Fathollah-Nejad, ricercatore associato presso l’Istituto Issam Farès dell’Università americana di Beirut. Tuttavia, appare innegabile che parte di responsabilità ricada ancora sull’Iran, dato che l’ayatollah Ali Khamenei ha diffuso un messaggio su Twitter nel 2019, in base al quale risulta che la fatwa lanciata dal suo predecessore Khamenei contro Rushdie sia ancora oggi “solida e irrevocabile”.
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