Lotta alle VPN: il muro di internet soffoca anche il lavoro in Cina
Un programmatore informatico di Chengde si è visto confiscare dalla polizia tre anni di stipendio per aver utilizzato una VPN. Il dispositivo permette di aggirare il blocco su siti web stranieri imposto dalle autorità cinesi. La vicenda è vista con preoccupazione da professionisti e imprese che in Cina operano nei servizi internet e nel commercio estero. Intanto all'estero Pechino è attivissima nel difendere la propria narrazione sugli stessi social network "vietati" in patria.
Un programmatore informatico di Chengde, una città della provincia settentrionale dell’Hebei, ha dichiarato di essere stato multato dalla polizia per oltre 1,05 milioni di yuan (130.570 euro) - pari al suo stipendio per tre anni - perché utilizzava una VPN per accedere a siti web internazionali mentre lavorava da casa. La VPN (virtual private network) è uno strumento spesso utilizzato dagli utenti web cinesi per aggirare il firewall internet cinese.
Il provvedimento ha suscitato un dibattito online. Attualmente i principali servizi online forniti da Google, Facebook e Twitter sono bloccati dalle autorità cinesi, pertanto le aziende multinazionali, le imprese del commercio estero e le società di internet si affidano alle VPN per accedere alla sfera web internazionale. Molti temono che questa mossa delle autorità scoraggerà ulteriormente la gente comune dall'accedere liberamente a internet.
Il programmatore ha divulgato il documento e la decisione emessa dalla polizia della città di Chengde sul suo account su un social network. Secondo il documento, il programmatore lavorava come freelance da casa propria e dal 2019 riceveva incarichi da aziende straniere per scrivere codici da remoto. In un documento in cui la polizia ha chiesto alla banca di fornire informazioni sui suoi beni, è stato definito “un sospetto coinvolto in attività terroristiche”. L'Ufficio municipale di pubblica sicurezza di Chengde lo ha accusato di "aver creato un canale illegale verso le reti internazionali" e gli ha confiscato "il reddito illegale" di 1,05 milioni di yuan.
Nonostante abbia presentato un reclamo al governo, le autorità hanno confermato la decisione della polizia. Ora il programmatore intende intentare una causa contro la polizia e chiedere aiuto agli avvocati. Secondo il suo post, la polizia locale avrebbe individuato nel settembre 2022 un suo account Twitter, utilizzato per condividere contenuti e mettere "mi piace" ai post della sua azienda. La polizia ha anche sequestrato il suo telefono cellulare e il computer portatile, chiedendogli di fornire un contratto di lavoro, informazioni sulla sua azienda e sul suo conto bancario. Ad agosto, poi, è arrivata la confisca del suo reddito di tre anni di lavoro.
La legge cinese prevede che aggirare il blocco di Internet senza autorizzazione comporti una multa massima di 15mila yuan (1945 euro) e la confisca del reddito. In tutta la Cina è stato riferito che gli utenti del web vengono multati o detenuti per un breve periodo di tempo per aver utilizzato una VPN per accedere a servizi internet stranieri. Nello Xinjiang, la punizione può essere più severa: chi ha installato un'applicazione VPN sul proprio telefono può anche finire in carcere.
La polizia di Chengde tace sulla vicenda e disabilita i commenti sotto i suoi post sui social network. Molti cittadini sul web lamentano che la dura punizione terrorizza quanti hanno bisogno di aggirare il blocco di internet per accedere ai servizi web stranieri, in particolare i professionisti della programmazione informatica e del commercio estero. Alcuni commenti ritengono che l'elevato numero di confische sia legato allo stato finanziario del governo locale, ossessionato dai debiti.
Mentre le autorità cinesi stanno danno un giro di vite sull’utilizzo di strumenti per sfuggire alla censura sul web, i media ufficiali e le agenzie governative sono diventati più attivi e aggressivi nel diffondere l'ideologia e la narrazione del Partito Comunista Cinese sulle piattaforme social internazionali, nonostante questi strumenti siano bloccati nella Repubblica popolare cinese. Alcuni funzionari cinesi hanno persino discusso con personalità governative e pubbliche straniere su Twitter. Tuttavia, la Cina non ha mai detto come le agenzie governative e i funzionari accedessero ai siti web bloccati dalle autorità, né ha mai ammesso l'esistenza del firewall sui servizi internet locali.
Anche l'ex redattore capo del quotidiano ufficiale Global Times, Hu Xijin, ha commentato questo caso. Ormai in pensione, ma ancora attivo nella difesa delle autorità, si è detto d'accordo con il firewall internet per proteggere la “sicurezza politica e ideologica” della Cina, mentre ha sostenuto che il caso della confisca del reddito del programmatore aumenta i dubbi nella società e non giova all'apertura. Anche i suoi commenti online sono stati rimossi.
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09/01/2018 13:14