13/06/2024, 11.03
ARABIA SAUDITA - ISLAM
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Lo spettro di Gaza aleggia sui pellegrini alla Mecca per l’Hajj

Oltre un milione e mezzo di fedeli musulmani sono già arrivati ai luoghi santi dell’islam. Da Riyadh divieto assoluto di proteste per la guerra nella Striscia o di “politicizzazione” dell’evento che deve restare religioso. Incognita caldo per la salute dei partecipanti. Per la prima volta in un decennio, e dall’inizio del conflitto, si registra il ritorno di migliaia di siriani. 

Riyadh (AsiaNews) - Oltre un milione e mezzo di pellegrini (il dato ufficiale diffuso oggi da Riyadh parla di 1.547.295 persone) hanno raggiunto la Mecca, il cuore dell’islam, per partecipare all’annuale pellegrinaggio maggiore (Hajj), che ogni fedele deve compiere almeno una volta nella vita. Un appuntamento che inizia domani e segnato, quest’anno, dalla guerra lanciata da Israele ad Hamas a Gaza, in risposta all’attacco terrorista del 7 ottobre, che ha già causato la morte di quasi 38mila palestinesi nella Striscia. Tuttavia, almeno secondo le intenzioni delle autorità saudite l’attenzione legata all’evento dovrà concentrarsi sulle preghiere e i rituali religiosi, lasciando da parte ogni rivendicazione di altra natura: la scorsa settimana, infatti, il ministro saudita per l’Hajj e l’umrah Tawfiq al-Rabiah aveva avvertito che “non sarà tollerata alcuna attività di natura politica”.

Oltre all’incognita caldo, con temperature previste in media attorno ai 44 gradi e il rischio di problemi di salute - lo scorso anno oltre 2mila persone hanno sofferto di colpi di calore, esaurimento, crampi ed eruzioni cutanee - il grande interrogativo è legato a Gaza: la guerra lanciata da Israele ad Hamas sottolinea Umer Karim, esperto di questioni saudite all’università di Birmingham, ha creato “un senso diffuso di ira nel mondo musulmano in generale”, trasformando l’Hajj in un “test” per la leadership di Riyadh. Vi è il timore di proteste di singoli o di gruppi, prosegue, è i vertici del regno comprendono che “si tratta di un terreno scivoloso”. “Per i governanti sauditi, quindi, condurre l’Hajj - conclude lo studioso - è una questione di prestigio, ma anche un banco di prova per il loro governo”.

L’Arabia Saudita non ha mai riconosciuto Israele, ma il principe ereditario Mohammed bin Salman, governante de facto, stava considerando di stabilire legami diplomatici formali con Israele prima dell’attacco del 7 ottobre. Tuttavia, i funzionari ribadiscono che i legami sono impossibili senza passi “irrevocabili” verso il riconoscimento di uno Stato palestinese, a cui Israele si oppone da tempo. Nei giorni scorsi il re saudita Salman ha emesso un decreto per ospitare mille pellegrini “delle famiglie dei martiri e dei feriti della Striscia di Gaza”, portando a 2mila il numero di palestinesi ospiti quest’anno, come riferisce l’agenzia di stampa ufficiale.

Nei giorni scorsi le autorità saudite hanno fissato per il 14 giugno l’inizio dell’Hajj, dopo che gli osservatori astronomici del Paese hanno individuato la luna crescente; al contempo, la Corte suprema ha stabilito l’avvio del dodicesimo e ultimo mese del calendario islamico, Dhu al-Hijjah, in cui cade il pellegrinaggio. Esso comporta una serie di rituali da compiere in quattro giorni alla Mecca e nei dintorni. Il momento culminante è il secondo giorno, quando i pellegrini pregano sul monte Arafat dove Maometto ha tenuto l’ultimo sermone. La visita avrà luogo il 15 e la festa di Eid al-Adha cadrà il giorno successivo. Il ministro al-Rabiah ha dichiarato che “circa 1,2 milioni di pellegrini provenienti da vari Paesi” sono già arrivati e altri ancora sono previsti in queste ore.

Nel 2019, quasi 2,5 milioni di musulmani hanno eseguito l’Hajj prima che la pandemia di coronavirus interrompesse i raduni (religiosi e non) nel mondo, bloccando anche il più importante pellegrinaggio islamico. Nel 2023 si è tenuto il primo senza restrizioni Covid-19 dall’inizio della pandemia, cui hanno partecipato oltre 1,8 milioni di fedeli che hanno completato i diversi riti. Di questi, circa il 90% provenivano dall’estero secondo le statistiche ufficiali fornite dal governo.  

Inoltre, i pellegrinaggi maggiore e minore alla Mecca (Hajj e Umrah) rappresentano una consistente fonte di reddito per Riyadh, che sotto il principe ereditario Mbs ha avviato un ambizioso programma di riforme per affrancare l’economia dai proventi del petrolio. Il flusso di turisti e fedeli nei luoghi santi dell’islam garantisce introiti per oltre 12 miliardi di dollari ogni anno, per un evento che oltre all’elemento religioso racchiude un valore profondo dal punto di vista economico e politico, oltre a rappresentare un momento critico in tema di sicurezza. 

L’Hajj è uno dei cinque pilastri della fede, e ogni musulmano è obbligato a compierlo almeno una volta nella vita. In passato è stato utilizzato da Riyadh come arma politica, negando il visto di ingresso e la partecipazione a fedeli iraniani (sciiti) o siriani. Esso è stato inoltre teatro di incidenti o attentati, con migliaia di morti: nel 2015 una fuga precipitosa fra la folla ha causato almeno 2.300 vittime; nel 2006 oltre 360 pellegrini sono morti durante il rituale di lapidazione, in cui si lanciano pietre e ciottoli contro tre lapidi simbolo del rifiuto di Satana; nel 1989 un doppio attacco all’esterno della grande moschea ha causato una vittima e 16 feriti, per l’attentato giustiziati 16 kuwaitiani. 

Infine, per la prima volta in 10 anni si registra il ritorno di migliaia di siriani: i pellegrini potranno partecipare all’Hajj dopo l’interruzione legata al conflitto divampato nel 2011, grazie anche alla decisione dei leader arabi di riaccogliere il presidente Bashar al-Assad sotto la loro sfera di influenza, pur avendolo combattuto duramente negli anni più sanguinosi della guerra. Lo scorso anno Riyadh ha ristabilito i legami con Damasco e a maggio ha nominato il proprio rappresentante diplomatico che tornerà a occupare l’ambasciata saudita in Siria. Per favorire l’arrivo sono inoltre ripresi i voli diretti fra Damasco e Jeddah, come sottolinea l’84enne Berlanta Dimashqiya mentre si prepara al rituale: “Sono estremamente felice. Non riesco ancora - ha raccontato l’anziano alla Reuters - a credere che parteciperò all’Hajj”. Con lui, almeno 7mila siriani si sono già diretti nelle scorse settimane alla Mecca, come conferma il direttore generale dell’Aviazione civile siriana Bassem Mansour. “Le nostre attrezzature e i nostri aeroporti sono sicuri, le nostre piste di atterraggio sono buone, così come lo sono i nostri aerei”. Dietro le rassicurazioni, gli attacchi ripetuti in questi anni dell’aviazione israeliana che ha colpito a più riprese anche lo scalo siriano.

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