Lo scultore Sotoo: Sagrada Familia, dove la pietra si fa preghiera
L'artista giapponese che da più di quarant'anni a Barcellona sta portando a termine la grande cattedrale seguendo le orme del maestro Antonio Gaudì è stato insignito del Premio Ratzinger 2024, primo asiatico a ricevere questo riconoscimento. "Finché Dio e il destino lo permetteranno, resterò qui, scolpendo, sognando e lavorando affinché ogni angolo di questo tempio rifletta la luce divina".
Città del Vaticano (AsiaNews) – Venerdì 22 novembre in Vaticano è avvenuta la cerimonia di consegna del Premio Ratzinger 2024, il riconoscimento assegnato dall’omonima Fondazione che dal 2011 nel nome di Benedetto XVI premia personalità che si sono distinte nella ricerca scientifica di carattere teologico. Per la prima volta quest’anno tra i due premiati - insieme al teologo americano Cyril O’Regan – figura una personalità asiatica: lo scultore giapponese Etsurō Sotoo, originario di Kyoto, che da 46 anni lavora a Barcellona nel cantiere della Sagrada Familia, la cattedrale tanto visionaria quanto densa di significati voluta da Antonio Gaudì (1852-1926), il grande architetto di cui è in corso la causa di beatificazione. Proprio Benedetto XVI il 7 novembre 2010 presiedette a Barcellona la solenne cerimonia di consacrazione di questo luogo così significativo per il nostro tempo. Pubblichiamo ampi stralci del discorso tenuto da Etsurō Sotoo nella xcerimonia di consegna del premio.
Quando giunsi per la prima volta a Barcellona dal Giappone, nel 1978, ricordo di essermi sentito come uno straniero in terra straniera. Ogni strada, ogni angolo, appariva pieno di storie e simboli che, all’inizio, mi erano estranei. Tuttavia, quando ho cominciato a lavorare la pietra, quando ho preso lo scalpello e ho cominciato a scolpire, sapevo che la pietra ha un suo linguaggio, un linguaggio che non ha bisogno di traduzione, per questo sono venuto a cercare la pietra dal Giappone all’Europa.
La pietra è grande arte o qualcosa di più. L’arte, nella sua forma più pura, è un universo di pietra, fino alla fine dell’universo dove nessuno è andato e non possiamo andare, ma so che la pietra c’è.
Lavorare alla Sagrada Familia mi ha fatto capire che, pur provenendo da culture diverse, condividiamo un’essenza comune che può essere espressa non solo attraverso l’arte, perché ho scoperto che Gaudí aveva un intuito un po’ orientale. Col tempo ho cominciato a sentire che le mie radici giapponesi e questa terra catalana erano connesse, come due rami dello stesso albero, che s’incontrano nella spiritualità della creazione. Voglio spiegare i frutti e le foglie che ho lavorato: più di 200 pezzi, ognuno più o meno di una tonnellata, ogni pezzo terminato in cinque giorni, cioè lunedì portavo la pietra e venerdì la consegnavo. Nessuno allora sapeva che senso avessero. I discepoli di Gaudí mi avevano ordinato di metterci frutti con sotto foglie, i frutti in pietra; sopra i frutti, colorato mosaico veneziano, e al di sotto frutti e foglie in pietra. Ma perché, che cosa significa? Capirlo mi era necessario per scolpire, perché uno scultore non si limita a tagliare la pietra senza senso e senza significato, e se non lo comprendevo non potevo lavorare. Quindi ho indagato, ma poiché nessuno lo sapeva, ho dovuto inventare. Noi cresciamo grazie alle parole. E noi stessi siamo frutti, lo dico con parole di papa Ratzinger: "Siamo frutti della natura".
Non dobbiamo solo rispettare la natura, Gaudí ha detto che la natura è la sua maestra, per esempio i frutti e le foglie. In Giappone, in natura senza foglie i frutti non nascono né maturano. In Giappone noi cresciamo e maturiamo grazie alle parole, perché le parole le scriviamo con i segni. L’ideogramma per Kotoba, parola è composto da due segni: “dire” e “foglie”, e letteralmente significa “fare del dire una foglia”. Il mio cuore mi dice che con questa verità le persone sentono o imparano, e che qui si cela il segreto che animava Gaudí: foglie e frutti come simbolo della crescita della nostra anima, perché questo tempio è uno strumento per farci crescere. Immagino che Gaudí non conoscesse la lingua giapponese, ma poiché egli ha imparato dalla natura, cioè la natura è stata la sua maestra, e anche la nostra cultura viene dalla natura, arriviamo alla medesima risposta.
È così che mi sono immerso nello spirito di quest’opera, sentendomi profondamente giapponese e allo stesso tempo figlio di questa città, come un seme che nato in Giappone è volato fino a Barcellona, città mediterranea, terra ricca dove cresce adattandosi e sviluppandosi ben oltre le mie aspettative. In ogni scultura, in ogni figura che ho sbozzato, ho voluto trasmettere qualcosa di quella dualità, di quell’incontro tra mondi che arricchisce, somma e approfondisce la nostra identità, perché quanto più sono diverse le culture che si uniscono, più nuova e più forte è la cultura che nasce.
Forse non c’è esempio migliore del Portale della Natività, dove gli angeli musicanti e il coro dei bambini celebrano la nascita di Gesù Bambino. Per me queste sculture non sono solo figure di pietra. Sono un canto alla vita, un tentativo di catturare quei bambini nella pietra come se fossero i miei figli vivi, come se ogni figura stesse per muoversi, ballare o cantare. Questo è il segreto di Gaudí: egli cercava sempre forme che facessero sembrare la statua di pietra viva, in movimento.
Quando iniziai a lavorare la pietra, venne a trovarmi un signore molto anziano, e mi disse: "Quel bambino sono io, quando avevo nove o dieci anni giocavo a palla davanti alla Sagrada Familia e ogni volta che passava il signor Gaudí interrompevamo il gioco, ci fermavamo in segno di rispetto. Un giorno questo signor Gaudí si avvicinò a me e, mettendomi una mano sulla testa, mi disse: 'Ti darò una caramella se farai da modello'. Io non sapevo che cos’è un modello, con i miei amici sono andato a visitare il suo studio".
Non mi aspettavo di poter vedere un modello vivente di quella facciata, pensavo che fossero tutti morti, e sono anche felice di aver reso qualcosa di molto simile a quell’uomo. Non è quello che sentiamo tutti dentro? Quell’impulso ad avvicinarsi, a toccare il divino. Non stiamo semplicemente realizzando una figura e tanto meno un monumento, ma dobbiamo realizzare qualcosa di vero. Il Gesù Bambino che è lì non è di pietra, tutti vogliono vederlo come duemila anni fa, là dove davvero esisteva, tutti vogliono esserci, insieme ai Magi, presenti all’evento più importante e magnifico di quel momento.
La gente si chiede come si possa continuare a costruire senza Gaudí. L’arte non è che qualcuno ha sbagliato e noi seguiamo questa strada sbagliata, l’arte è, come la scienza, ricerca della risposta giusta, perché anche se Gaudí non c’è più e non ha lasciato dati, se guardiamo dove guardava Gaudí, troviamo sempre la risposta corretta. Questo è il mio modo di costruire la Sagrada Familia.
Oggi, dopo quasi un secolo e mezzo da quando Gaudí iniziò a lavorare, siamo più vicini che mai a vedere la Sagrada Familia completata. Ma mi chiedo: anche quando il progetto architettonico verrà portato a termine, è davvero possibile che un’opera come questa sia terminata? Si può dire completato qualcosa che sta crescendo? La Sagrada Familia non è solo una costruzione; è un simbolo della nostra capacità di creare qualcosa più grande di noi, qualcosa che dura, che trascende. Gaudí ha detto: «Quanto più ci mettiamo, meglio è, perché il padrone di quella casa non ha fretta». Aggiungo che questo tempio è uno strumento eterno che costruisce noi: Papa Benedetto ha detto nella sua omelia che «la Chiesa non ha consistenza da se stessa; è chiamata ad essere segno e strumento».
Personalmente so che la mia missione in quest’opera non è terminata. Ci sarà sempre qualcosa in più da fare, qualche dettaglio da perfezionare, qualche spazio da riempire di significato, qualcosa da restaurare e migliorare. Diceva Gaudí che il suo vero committente era Dio e credo che, in qualche modo, tutti noi che lavoriamo qui sentiamo questa stessa vocazione. Il mio lavoro non è solo scolpire la pietra, ma darle vita, trasmettere attraverso di essa la fede e l’amore che Gaudí ha sognato. Pensando sempre: come possiamo dare felicità a questo grande cliente, Dio? La risposta è: «Cerchiamo semplicemente di rendere felici noi stessi, come ogni genitore si sente felice quando vede i propri figli felici, amati».
Pertanto, finché ci sarà una scintilla di creatività, finché ci sarà una pietra in attesa di essere scolpita, resterò qui, a servire quest’opera con umiltà e devozione. Nel frattempo cerchiamo di migliorare il lavoro, imparando, costruendo noi stessi come esseri umani.
Per me la Sagrada Familia non è solo un edificio in costruzione: è una preghiera che si eleva, un canto che celebra la grandezza di Dio e la nobiltà dello spirito umano. E so che, in questo luogo, troverò sempre una casa, una ragione per andare avanti, uno scopo che mi riempie il cuore. Siamo semplicemente una nota all’interno della partitura che armonizza la musica di Dio.
Quando vedo i visitatori meravigliarsi davanti alle sculture, fermarsi a osservare ogni dettaglio, so che il mio lavoro, il nostro lavoro, acquista significato. L’opera della Sagrada Familia è un invito al dialogo con Dio, alla pace, alla comunione. Ed è questo, alla fine, che mi dà la forza. Sento che la mia vita, la mia cultura, la mia storia e ciascuno dei giorni che ho dedicato a questa Basilica non solo sono valsi la pena, ma mi sento costruito da essa, non lei da me.
La Sagrada Familia continuerà a essere un faro di speranza e di amore per tutti coloro che la visiteranno. E io, finché Dio e il destino lo permetteranno, resterò qui, a prendermi cura di lei, scolpendo, sognando e lavorando affinché ogni angolo di questo tempio rifletta la luce divina, quella luce che ci unisce e ci ricorda che, alla fine, "tutti siamo uno nell’amore".
"ECCLESIA IN ASIA" È LA NEWSLETTER DI ASIANEWS DEDICATA ALLA CHIESA IN ASIA
VUOI RICEVERLA OGNI DOMENICA SULLA TUA MAIL? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER A QUESTO LINK
20/08/2017 12:17
18/08/2017 11:19