18/12/2020, 09.22
ALGERIA - ISLAM
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Lo Stato algerino, l’islam sunnita e le violazioni alla libertà religiosa

di Kamel Abderrahmani


Leggi liberticide tentano di imporre una corrente quale “verità” assoluta. La legge e la giustizia usate per colpire le minoranze musulmane o i cristiani. Nei tribunali radicali islamici chiedono giustizia contro gli “apostati”. Il silenzio della Lega algerina per i diritti umani e la sua indifferenza verso tutte le persecuzioni religiose.

Parigi (AsiaNews) - La libertà di espressione e di coscienza è un problema serio nei Paesi a maggioranza musulmana, soprattutto in Algeria. Essa è agonizzate, se non proprio inesistente. Lo Stato algerino cerca attraverso leggi liberticide di imporre la propria “verità”, come se fosse la verità assoluta: ovvero l’islam sunnita, o una delle varianti dell’islam istituzionalizzata e considerata ufficiale. 

In altre parole, lo Stato algerino è a immagine della maggioranza musulmana: ciascuna corrente è convinta che la propria interpretazione dell’islam sia la sola “autentica” e che quella delle altre correnti non sia altro che una versione eretica e falsa. Tuttavia, il pericolo consiste in questa volontà di imporre questa versione sunnita ai fedeli delle altre correnti dell’islam o di cercare di mettere a tacere gli ex-musulmani, siano essi atei o convertiti al cristianesimo. Tutto questo usando mezzi giuridici che dovrebbero essere messi al servizio della giustizia, del cittadino e non della religione, perché l’apostasia non è considerata come un crimine dalla legge algerina, come prevede l’articolo 144 bis del Codice penale. 

La caccia ai musulmani non sunniti e ai cristiani convertiti è in pieno svolgimento nel Paese e ha assunto derive assai pericolose. Lo Stato algerino ha deciso, senza un minino scrupolo, di perseguire sul piano penale una trentina di musulmani che appartengono alla corrente Ahmadi, con l’accusa di adesione a una ideologia diversa e deviante rispetto a quella ritenuta ufficiale e legittima nel Paese: quella sunnita. Essi dovranno comparire la settimana prossima davanti ai giudici del tribunale di Tizi-Ouzou, un centinaio di chilometri a est della capitale Algeri.

Bisogna peraltro notare che non è la prima volta che le minoranze religiose finiscono sotto l'attacco della magistratura in Algeria, per poi essere condannati. Nel 2017, per esempio, il capo di questa corrente musulmana (ahmadi) è stato condannato dalla giustizia algerina, vi è poi il caso del convertito cristiano Slimane Bouhafs che si trova oggi in esilio in Tunisia e, più di recente, l'attivista politica Amira Bouaroui, condannata per attentato al Profeta. 

Tutte queste sommosse non sono frutto del caso. Esse sono il risultato di un discorso ostile sviluppato dai vertici della fazione sunnita nei confronti degli Ahmadi. In altre parole, mutuando quanto dicono i sapienti sunniti: “Quella Ahmadi è una dottrina devastatrice e miscredente, che usa l’islam per mascherare i propri obiettivi perfidi e le proprie credenze corrotte”. Questa persecuzione nei confronti degli Ahmadi e i discorsi ostili sviluppati dai ministri degli Affari religiosi non fanno altro che aumentare l’intolleranza verso le sette minoritarie, siano esse legate in qualche modo all’islam o meno. 

Evocando i non musulmani o i cristiani convertiti, le autorità algerine continuano la loro caccia all’uomo. Giovani convertiti sono spesso incolpati di “offesa al profeta e di attentato ai precetti o ai dogmi dell’islam”. La costituzione algerina garantisce da un lato la libertà di espressione e la libertà di culto, ma dall’altro quanto avviene all’atto pratico è assai diverso. Tutto ciò svela la malcelata natura estremista islamica e la sua ostilità verso tutto quanto non è sunnita. 

I cristiani patiscono le molestie morali di cui sono vittime per mano della giustizia algerina: a titolo di esempio, la vicenda occorsa a Abdelghani Mameri, un cristiano copto che voleva promuovere la Chiesa ortodossa in Algeria e che è stato condannato martedì 15 dicembre dal tribunale di Amizour (Béjaïa) a “sei mesi di prigione e una multa di 100mila dinari”. L’aula è stata invasa da musulmani con barbe lunghe e ispide - simbolo del fanatismo e della falsità islamica - che sono venuti a sostenere la giustizia contro i cosiddetti “apostati”. 

Per quanto riguarda Mabrouk Bouakkaz, meglio conosciuto col soprannome di Yuva, un altro giovane convertito, eccone gli sviluppi della vicenda. Egli è stato rinviato a processo il 3 dicembre scorso dagli stessi magistrati in rappresentanza del pubblico ministero, il quale chiedeva nei suoi confronti una condanna a “sei mesi di carcere e 200mila dinari di ammenda” con gli stessi capi di accusa: “Offesa al profeta e attentato ai precetti o ai dogmi dell’Islam”. Il verdetto era atteso per ieri, ma siamo ancora in attesa dell’esito. 

Le reazioni virulente di cui lo Stato algerino ha dato prova non sono sempre così sorprendenti. Bollato come dittatura residuale, il potere algerino mediante la magistratura cerca di imporre l’islam nella sua versione sunnita a tutta la popolazione. In Algeria, nell’immaginario collettivo, per essere algerino bisogna essere sunnita, senza fare alcun riferimento all’appartenere a una patria o a una religione. La differenza è messa al bando e non vi è rispetto per la libertà religiosa, né verso i musulmani di altre correnti al di fuori dell’essere sunnita, tantomeno verso i non musulmani. Tuttavia, ciò che colpisce - per non dire sorprende - è il silenzio della Lega algerina per i diritti umani e la sua indifferenza verso tutte le persecuzioni religiose subite dalle minoranze in Algeria. Tutto questo è la prova che i diritti umani in Algeria non riguardano gli algerini non sunniti e non musulmani. 

In altre parole, se la libertà di coscienza è sancita dalla Costituzione, essa all’atto pratico è ancora molto lontana dall’essere una realtà: essa è piuttosto il sogno di alcuni algerini, perché oggi si afferma una pratica sunnita dell’islam estesa a tutta la società, a tal punto che durante il Ramadan alcuni cittadini che ne hanno la possibilità preferiscono fuggire dal Paese per vivere in libertà e senza minacce. Altri ancora, messi a tacere, preferiscono praticare il proprio culto nell’ombra per evitare le persecuzioni ufficiali e solenni che lo Stato algerino attua nei loro confronti.

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