"Libertà di fede" sempre sotto l'egemonia socialista
Pechino (AsiaNews/SCMP) La Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese (CPPCC) ha inserito la "libertà di fede" nella sua carta. Si tratta di un emendamento dell'articolo 14, approvato ieri, 12 marzo, alla seduta conclusiva della Conferenza.
Fonti religiose hanno già evidenziato che questo cambiamento non è un segnale di maggiore tolleranza verso la libertà religiosa.
In base all'emendamento, il 5º in 50 anni, la CPPCC deve anche "appoggiare il governo nel trattare le questioni religiose secondo la legge, insistere sui principi di indipendenza e auto-governo, adattare in modo costruttivo religione e società socialista l'una all'altra".
"La libertà di fede non è la stessa cosa della libertà di pratica religiosa. Non c'è affatto un allentamento delle restrizioni", ha detto uno studioso della religione, che ha criticato la revisione. Essa riflette il pensiero corrente di "adattare religione e società socialista l'una all'altra" sotto la guida del governo e veste di abiti nuovi vecchie limitazioni.
La CPPCC aveva promesso grandi cambiamenti nella regolamentazione della religione. Essa si riunisce ogni anno in parallelo all'Assemblea Nazionale del Popolo (ANP) e dovrebbe dare consigli ai politici, ma spesso si riduce a seguire le direttive già fissate dalla leadership.
Il Partito comunista esercita un controllo serrato sull'attività religiosa, proibendo riunioni e proselitismo senza l'approvazione del governo. Le comunità "sotterranee" che si sottraggono a questa subordinazione al governo sono oggetto di persecuzione e repressione.
Parlando alla seduta conclusiva dell'incontro, Jia Qinglin, presidente della CPPCC, ha ribadito il supporto agli emendamenti della costituzione, l'impegno a sostenere il principio "un paese, due sistemi" a Hong Kong e Macao, e gli sforzi verso la riunificazione di Taiwan in base allo stesso principio. (MR)