Libertà religiosa: il dialogo fra sordi tra Cina e Unione Europea
di Bernardo Cervellera
A Bruxelles parlamentari e vescovi europei chiedono maggiore attenzione su persecuzione, libertà religiosa e diritti umani nei rapporti fra Ue e altri Paesi; a pochi passi, all’incontro con Wen Jiabao e altri rappresentanti asiatici si parla solo di economia. Eppure la Ue da sempre è orgogliosa di presentarsi come paladina dei diritti umani. Lo svuotamento delle parole è uno dei metodi del totalitarismo (H. Arendt).
Roma (AsiaNews) – Al Palazzo europeo di Bruxelles si sono avuti ieri due importanti raduni che mostrano la sordità - o la schizofrenia - con cui operano l’Unione europea e i suoi partner, soprattutto verso la libertà religiosa.
Quasi in contemporanea si sono svolti due incontri: quello sulla persecuzione dei cristiani, voluto dai vescovi europei e da membri del Partito popolare europeo, e quello di Asia-Europa, in cui il premier cinese Wen Jiabao ha fatto da protagonista assoluto.
Alla conferenza sui cristiani perseguitati, hanno preso parte – oltre ai parlamentari Mario Mauro, italiano, e al polacco Konrad Szymanski – diversi testimoni della persecuzione: mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk (Iraq); T.M. Joseph, preside del Newman College di Thodupuzha (India); Kok Ksor, presidente della Montagnard Foundation (Vietnam, con base negli Usa); mons. Eduard Hiiboro Kussala, vescovo di Tombura (Sud Sudan). Presenti pure rappresentanti di alcune agenzie che operano per sostenere le comunità perseguitate, come “Aiuto alla Chiesa che Soffre” e “Open Doors”.
Szymanski ha sottolineato che “l’Europa non può rimanere indifferente” al fatto che “il 75% delle uccisioni legate a crimini in odio alla religione colpiscono proprio i cristiani”. Mauro, a sua volta, ha affermato che “la libertà religiosa è la condizione attraverso cui tutte le altre libertà sono garantite”.
Per l’occasione, la segreteria del Comece (Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea) ha diffuso un Memorandum di 11 punti con richieste precise all’Ue per rafforzare il valore della libertà religiosa nei rapporti fra l’Unione europea e i suoi partner stranieri. Fra gli undici punti si domanda, ad esempio, che in tutti i dialoghi coi partner ci sia una parte dedicata ai diritti umani e alla libertà religiosa; che si verifichi anno per anno per i diversi Paesi come migliora la situazione; che si diano suggerimenti precisi sui passi che i Paesi dovrebbero compiere.
Il Memorandum non cita alcun Paese in particolare, ma fa accenno alle leggi sulla blasfemia - con un riferimento indiretto al Pakistan (e altri Paesi islamici) – e in maniera sfumata accenna (forse) alla Cina, quando afferma che bisogna “incoraggiare” quei Paesi che pur avendo firmato la Convenzione Onu sui diritti umani, devono tradurla in leggi. Pechino, infatti, ha firmato la Convenzione nel 1998, ma finora non ha mai attuato alcuna legge sulla libertà religiosa, preferendo regolamenti a livello provinciale e locale, sottoposti a interpretazioni, manipolazioni e violenze.
La conferenza si è conclusa con la promessa che una Dichiarazione scritta con questi contenuti e suggerimenti sarà presentata alla plenaria del Parlamento europeo entro poche settimane. Per essere adottata essa avrà bisogno del sostegno di 380 deputati entro tre mesi.
A poche centinaia di metri dalla prima conferenza si è tenuto invece il vertice dell’Asem, l’incontro fra Unione europea e Paesi asiatici. Al raduno hanno partecipato rappresentanti di 46 Paesi. Con grande stupore di alcuni osservatori presenti, si è parlato del clima, dello yuan, del terrorismo, dell’aiuto ai Paesi poveri, ma non dei diritti umani. Eppure, anche senza aspettare che venga adottata la Dichiarazione scritta della conferenza sulla persecuzione, l’Ue si vanta di inserire sempre nei suoi rapporti con gli altri Paesi la questione dei diritti umani (e della libertà religiosa, almeno come appendice ai diritti umani).
Alla presenza del premier cinese Wen Jiabao, la forte questione dibattuta – e che ha assorbito l’attenzione di tutti – è quella della rivalutazione dello yuan. Eppure, nel 2006, in occasione dei 30 anni di partenariato fra Cina e Ue, si è sottolineato l’importanza di domandare alla Cina la liberazione dei vescovi cattolici in prigione (ve ne sono due), la garanzia per la libertà religiosa e per la dissidenza.
Oltre alla Cina, all’incontro erano presenti rappresentanti pakistani, indiani e anche del Myanmar. Si poteva forse sollevare la questione delle leggi sulla blasfemia, le leggi anticonversione di alcuni Stati indiani, la repressione dei monaci birmani…. Invece silenzio. A proposito del Myanmar va detto che alcuni si sono stupiti per la presenza del ministro degli esteri birmano, essendoci un embargo sulla loro presenza nella Ue. Forse è espressione della “tradizionale tolleranza” dell’Europa.
La filosofa Hanna Arendt afferma che la forza del totalitarismo non sta solo nell’ideologia, ma nello svuotare il senso delle parole. Wen Jiabao continua a predicare – solo fra i leder cinesi – che la Cina ha bisogno di riforme politiche, ma non dice mai quali queste siano. E intanto attivisti per i diritti umani o giornalisti vengono imprigionati. In tal modo la parola “riforme politiche” viene svuotata di senso, come ci si aspetta da un regime totalitario.
Ma forse nella Ue si sta svuotando di senso anche la parola “diritti umani” e “libertà religiosa”. In tal modo si diventa conniventi con i regimi totalitari.
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