Leader palestinese: dietro l’espansionismo di Israele il vuoto politico di Europa e Stati Uniti
Bernard Sabella denuncia il nuovo corso di Israele, che prende la terra palestinese per “farne ciò che vuole”. I governi occidentali mostrano “completo disinteresse” per la questione e anche la soluzione dei due Stati è nel dimenticatoio. Il governo Netanyahu ha annunciato l’annessione di 234 ettari presso Gerico. Peace Now: “Confische su larga scala”.
Gerusalemme (AsiaNews) - Israele ritiene ormai di poter “prendere la terra” dei palestinesi e “farne ciò che vuole”, considerando il nostro popolo “solo una questione legata alla sicurezza”. Europa e Stati Uniti “dimostrano completo disinteresse” e non intervengono lasciando un enorme “vuoto politico”, ed è ormai evidente che il governo del premier Benjamin Netanyahu “non ha alcun interesse alla soluzione dei due Stati”. È quanto afferma ad AsiaNews il prof. Bernard Sabella, cattolico, rappresentante di Fatah per Gerusalemme e segretario esecutivo del servizio ai rifugiati palestinesi del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, commentando il nuovo progetto espansionista israeliano. Sulla vicenda è intervenuto anche il segretario generale Onu Ban Ki-moon, che definisce “illegale” l’annessione e invita Israele a fare marcia indietro.
Nei giorni scorsi Israele ha annunciato l’annessione di 234 ettari di terreno nei pressi di Gerico, nella valle del Giordano, in Cisgiordania. Il Cogat, organismo del ministero israeliano della Difesa incaricato di coordinate le attività all’interno dei Territori Occupati, ha spiegato che si tratta di “terre dello Stato” e che passano sotto il controllo diretto del governo.
“In questo modo - commenta il prof. Sabella - si mette la leadership palestinese e Mahmoud Abbas in un angolo. Ed è sempre più chiaro che la soluzione dei due Stati non è prevista dall’attuale esecutivo israeliano. Questo è un disastro perché, come hanno sottolineato anche autorevoli intellettuali israeliani fra cui David Grossman, non è possibile continuare a mantenere l’attuale status quo. Non si può continuare a occupare e sperare che la sicurezza migliori”.
“La politica dell’attuale leadership israeliana - avverte il rappresentante di Fatah - è di espropriare ancora più terra… e lo faranno!”. Essi sfruttano il “vuoto politico” lasciato dalla diplomazia internazionale, su tutti Europa e Stati Uniti, “il problema migranti e la guerra in Siria e Iraq per proseguire indisturbati. Del resto la questione palestinese non è certo all’ordine del giorno per i leader mondiali, che sembrano aver messo da parte il problema”.
“Nell’anno della Misericordia - conclude il leader cattolico, ricordando il giubileo di papa Francesco - e nel momento in cui chiediamo al mondo compassione, è importante richiamare tutti all’impegno di pace in Terra Santa. Anche se non potranno vivere fianco a fianco nell’amore, spero che palestinesi e israeliani possano farlo nell’accettazione reciproca”.
A raccontare per prima il nuovo atto unilaterale di Israele è stata l’Ong israeliana Peace Now, in prima linea nel denunciare le confische dei territori di Israele. Già a gennaio era emersa la possibilità di una nuova annessione, anche se si trattava di 1.500 dunams (circa 150 ettari) divenuti poi 2.342 in queste settimane. Secondo gli attivisti si tratta della “annessione più importante degli ultimi due anni” e riguarda “un’area strategica nella valle del Giordano”. Essa consentirà “lo sviluppo di nuove colonie” e la nascita “di centri commerciali e turistici”.
Negli ultimi mesi il governo Netanyahu ha assunto una serie di provvedimenti in chiave “espansionista”, proseguono gli attivisti, che confermano il cambiamento “di fatto della politica di Israele e il ritorno ai metodi di requisizione dei terreni” e di “confisca su larga scala”. Secondo Peace Now l’obiettivo è quello di “massimizzare” le acquisizioni di terreno nella zona di Gerico, per “prevenire l’eventuale sviluppo palestinese nell’area” e consentire al contempo “la promozione di alcuni nuovi progetti”. Essa pone inoltre le basi per la costruzione di 358 unità abitative nell’insediamento illegale di Almog e la confisca dell’acqua per rifornire le strutture commerciali e turistiche realizzate da Israele.
Gli insediamenti sono comunità abitate da civili e militari israeliani e costruite nei territori conquistati da Israele dopo la Guerra dei sei giorni nel giugno del 1967, in Cisgiordania, a Gerusalemme Est, nelle Alture del Golan e nella Striscia di Gaza. Nel 1979 Israele si è ritirata dagli insediamenti in Sinai dopo aver firmato l’accordo di pace con l’Egitto, e nel 2005 l’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon ha ordinato lo smantellamento di 17 colonie israeliane nella Striscia di Gaza.
Al momento le colonie si trovano a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e sulle Alture del Golan. Secondo dati del ministero degli Interni israeliano, gli insediamenti riconosciuti in Cisgiordania sono almeno 133 - cui si aggiungono un centinaio di “avamposti” - e ospitano circa 500mila persone, a Gerusalemme Est vivono circa 300 mila israeliani e 20 mila nelle Alture del Golan. Negli ultimi cinque anni i coloni israeliani in Cisgiordania sono aumentati del 20 per cento.
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