Le torture 'sanitarie' delle prigioni russe
Le "maniere forti" sono ormai strumenti di pressione sistematica, soprattutto nei confronti dei prigionieri politici russi. Un'inchiesta di Mediazona racconta le storie di chi è stato sottoposto alla violenza nelle carceri russe per estorcere confessioni forzate.
Mosca (AsiaNews) - Le accuse di repressioni e violenze nei lager e nelle prigioni russe vengono regolarmente respinte dai politici putiniani, che parlano di “misure sanitarie minimali”, necessarie per evitare i pericoli di estremismo in questo difficile periodo della “operazione militare speciale”, come ha detto il consigliere del presidente Valerij Fadeev. Un servizio di Andrej Karev, corrispondente di Mediazona per il settore giudiziario, mette in evidenza come in realtà non siano così lontani i tempi delle peggiori persecuzioni sovietiche, tanto da parlare oggi di “terrore putiniano”.
Come afferma anche il relatore speciale dell’Onu, Mariana Katsarova, le torture e le maniere forti sono ormai strumenti di pressione sistematica in Russia, soprattutto nei confronti dei prigionieri politici, di chi si pronuncia contro la guerra, dei rappresentanti delle minoranze etniche e di chiunque osi criticare il regime vigente. Si torna alla repressione degli inakomysljascye, i “diversamente pensanti”, come venivano definiti i dissidenti ai tempi di Breznev, usando la violenza per ottenere confessioni forzate e diffondere la paura in tutta la popolazione.
Ibrahim Orudzev, uno studente condannato a 16 anni per la preparazione di attentati e diffusione di tendenze terroristiche, ha raccontato nell’aula di tribunale a Mosca di essere stato sottoposto a torture dalle guardie carcerarie. Dopo 10 giorni di arresto amministrativo per resistenza a pubblico ufficiale, all’uscita dalla cella di detenzione si è visto parare davanti “un misterioso collaboratore della polizia in maschera”, che gli ha dato un’innocua pacca sulla spalla con espressione alquanto minacciosa, invitandolo a sedersi in macchina. Nell’auto lo aspettavano altri due uomini, probabilmente membri dell’Fsb, che hanno infilato sulla testa di Ibrahim un sacco da scarpe, stringendolo in manette. Essi hanno spiegato che lo stavano osservando da tempo ed erano “scontenti del suo comportamento”, cominciando a picchiarlo sulla schiena con espressioni molto volgari e umilianti, la più leggera delle quali era “solo tua mamma pensa che tu sia un bel ragazzo, in realtà non servi proprio a nessuno”.
Giunti al luogo dell’interrogatorio, nel cortile lo attendeva il suo “curatore”, che ha cominciato a percuoterlo con un manganello a molle con una sfera d’acciaio, e il trattamento è durato per l’intera notte. Tra le minacce è stato comunicato a Ibrahim che “ci è stato ordinato di spezzarti due dita”, e quando in tribunale si è chiarito che tutte le dita erano a posto, il giudice ha ironizzato sprezzante che “qualcuno andrà punito per mancato adempimento degli ordini ricevuti”. La mattina dopo una guardia si è presentata davanti a Orudzev con una siringa, dichiarando che gli avrebbe “iniettato il virus dell’Aids” se egli non avesse “raccontato tutto”.
Un’altra testimonianza raccolta è quella del 23enne Gerej Dzamalutdiov, abitante del Daghestan accusato per i disordini all’aeroporto di Makhackala del 29 ottobre 2023, che sostiene di essere stato arrestato per sbaglio, ma è stato costretto a riconoscersi colpevole con forti pressioni. Durante il tentativo di pogrom antisemita, la videocamera di un negozio lo ha ripreso mentre usciva dal suo turno di lavoro notturno, e il giorno dopo è stato fermato dai poliziotti per il controllo dei documenti. Non avendo con sé il passaporto, Gerej è stato portato direttamente in questura, dove è stato accusato di teppismo per passare anch’egli attraverso il “trattamento sanitario” delle violenze corporali, fino ad ammettere di aver partecipato agli scontri dell’aeroporto. Essendo il giovane piuttosto robusto e resistente, oltre alle torture è stato necessario minacciarlo di accusa per traffico di droga, con pacchetti di narcotici “trovati” tra i suoi effetti personali.
Molte altre storie vengono riportate dal servizio, come quella della 41enne Evgenija Konforkina, che è stata condannata per alto tradimento dopo aver cercato di portare al suo ippodromo, dove lavora come istruttrice, alcuni cavalli dall’Ucraina. I parenti non sanno dove attualmente sia detenuta, e temono per la sua stessa vita; come era accaduto per il dissidente-martire Aleksej Naval'nyj, finire nel “tritacarne” delle prigioni e dei lager putiniani può diventare un incubo da cui non c'è risveglio.
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