Le speranze di Beirut nell’intervento dell’esercito e della Lega Araba
di Paul Dakiki
Il comando ha annunciato che i militari impediranno “anche con la forza” di violare la legge e domani è attesa la delegazione araba. Ma su tutto pesa un Hezbollah che pone condizioni a tutto campo. Monito saudita ad Iran e Siria.
Beirut (AsiaNews) – Una dichiarazione dell’esercito libanese, che si dice pronto ad usare la forza per garantire il rispetto della legge e l’arrivo, annunciato domani, della delegazione della Lega Araba sono i due elementi di novità di una crisi, arrivata a contare 61 morti, che oggi segnala solo sporadici scontri a Tripoli.
A Beirut la situazione è calma, i soldati sono dispiegati nei punti chiave: alcuni negozi hanno riaperto, anche se scuole e università restano chiuse. Nelle strade meno deserte si vedono sostenitori di Hezbollah, ma in genere disarmati. Restano però bloccate le vie che conducono all’aeroporto e al porto.
Su entrambe le novità di oggi grava il peso degli armati di Hezbollah. L’indebolito governo di Fouad Siniora ha escluso di dimettersi – come vuole l’opposizione – ma ha dovuto ritirare i provvedimenti che hanno scatenato la reazione violenta del Partito di Dio: lo smantellamento della sua rete telefonica e la destituzione del responsabile della sicurezza dell’aeroporto di Beirut. Formalmente, entrambe le questioni sono state affidate all’esercito che, ancora formalmente, le ha “sospese”. Il consigliere politico del segretario generale di Hezbollah, Hussein Khalil, ha lasciato intendere che nessuno toccherà l’una o l’altro, ha dato il benvenuto alla delegazione della Lega, ammonendo sulla necessità che sia “equidistante” ed ha annunciato la prosecuzione della “pacifica” disubbidienza civile. Il che, secondo voci dello stesso partito, esclude che l’autostrada per l’aeroporto sarà riaperta, neppure per l’arrivo degli inviati arabi. Da parte sua, un fedele alleato del Partito di Dio, Michel Aoun, ha indicato le condizioni che saranno poste nei colloqui: dimissioni di Siniora, formazione di un governo nel quale l’opposizione abbia il diritto di veto su qualsiasi decisione e nuova legge elettorale. Dell’elezione del capo dello Stato - che il presidente del Parlamento, Nabih Berri, altro esponente dell’opposizione, ha rinviato, per la 19ma volta, al 10 giugno - non ha parlato. Forse non ha mai abbandonato la convinzione di poter essere lui, malgrado maggioranza ed opposizione sostengano di essere d’accordo su nome di Michel Sleiman, comandante dell’esercito.
Che, in certo modo, sta mostrando l’equidistanza di un capo di Stato. D’altro canto, concretamente, non ha la possibilità di fare molto di più, di fronte ad un gruppo più numeroso e meglio armato del suo esercito, nel quale sono sciiti – come Hezbollah ed Amal - il 35% dei militari.
Chi tenta di portare forza alla debolezza del governo è l’Arabia Saudita. Oggi il primo ministro Saud al-Faisal ha chiamato direttamente in causa l’Iran, principale alleato di Hezbollah, evocando tensioni con il mondo arabo se Teheran desse sostegno al “colpo” in Libano. All’altro sponsor del Partito di Dio, la Siria, ha chiesto di giocare un ruolo positivo. La stessa richiesta porteranno i rappresentanti della Lega Araba, che hanno già annunciato una visita a Damasco.
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