07/12/2024, 01.08
MONDO RUSSO
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Le sfide del Mondo russo secondo Kirill

di Stefano Caprio

Il patriarca cerca ultimamente di smarcarsi e sottolineare la sua superiorità nella “sinfonia” russa tra il trono e l’altare. E negli ultmi tempi si sono evidenziati almeno due argomenti su cui la Chiesa ortodossa russa non si è sentita particolarmente in sintonia con le istituzioni statali: le risposte alla crisi demografica che finiscono per mettere sotto accusa lo stesso celibato dei monaci e il divieto di qualunque preghiera organizzata nelle case private.

Il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill (Gundjaev), ha presieduto la XXVI sessione del Concilio Popolare Russo Universale, sul tema del “Mondo Russo: le sfide esterne e interne”, coadiuvato dall’amministratore del patriarcato, il metropolita Grigorij (Petrov) e da altre personalità ecclesiastiche e del mondo della cultura russa, come il professor Aleksandr Šipkov, rettore dell’università ortodossa San Giovanni il Teologo. Si notava una generale assenza dell’alta dirigenza politica, con un messaggio d’auguri molto sbrigativo del presidente Vladimir Putin letto da uno dei suoi vice, Sergej Kirienko, forse per una certa gelosia di ruolo nei confronti del patriarca, che cerca ultimamente di smarcarsi e sottolineare la sua superiorità nella “sinfonia” russa tra il trono e l’altare.

Non sono mancati peraltro i tanti gerarchi della Chiesa ortodossa, vescovi, sacerdoti e monaci con la presenza di alcuni deputati della Duma e di altre istituzioni, con rappresentanze di altre confessioni religiose e delle accademie. La riunione è stata trasmessa in diretta dai canali televisivi ortodosso-patriottici Soyuz e Spas, oltre che dal portale ufficiale del patriarcato di Mosca, e aperta dall’inno nazionale della Federazione Russa. Il patriarca ha comunque ringraziato il presidente Putin per la sua “partecipazione alla formazione della politica statale, che viene sostenuta dalla Chiesa e dal Concilio russo universale”, ammiccando al fatto che tale istituzione risale agli anni precedenti alla salita al trono dello stesso presidente, grazie all’iniziativa negli anni Novanta dell’allora metropolita Kirill, oggi patriarca.

Kirill cerca di rimarcare la sua funzione di guida ideologica del Paese, nell’elaborazione di una “politica volta all’affermazione della libertà, dell’indipendenza, dell’autentica indipendenza della nostra Patria nella libertà, e allo stesso tempo nella custodia di quei valori tradizionali che stanno alla base della nostra civiltà”. Il patriarca rivendica il patrocinio dei contenuti fondamentali della politica putiniana, che la Chiesa ha proposto fin dai tempi tumultuosi delle aperture eltsiniane all’Occidente, ricordando che “la tradizione è la trasmissione di tutto ciò che è importante, indispensabile e utile per le persone, ciò che costituisce il pegno del loro benessere e del loro futuro”.

Per evitare equivoci, viste le interpretazioni sempre più fantasiose dei “valori tradizionali” da parte dei politici e dei propagandisti russi, il patriarca rimarca che “l’Ortodossia è la fede tradizionale, e noi affermiamo che proprio la Chiesa trasmette nei tempi questi importantissimi valori e significati di generazione in generazione, attraverso l’insegnamento della dottrina, la preghiera, la formazione delle convinzioni spirituali e teoriche delle persone, per questo è la Chiesa il principale fattore di consegna dei valori al mondo contemporaneo”. Kirill loda il “modello particolare di collaborazione tra la Chiesa e lo Stato nel nostro Paese”, che addirittura “non si era mai visto nel passato”, mettendo lo zar Putin al di sopra di tutti i principi e imperatori (e segretari di partito) dei secoli precedenti, e se stesso al di sopra di tutti i patriarchi non solo moscoviti, per cui oggi “il potenziale della Chiesa nella custodia dei valori viene realizzato al massimo livello possibile”.

Secondo questa interpretazione non è mai esistito uno Stato più cristiano della Russia di oggi, “le generazioni precedenti potevano soltanto sognare un sistema così perfetto”, garantisce Kirill, in cui “la Chiesa vive nella più assoluta libertà, nessuno si intromette nelle sue attività, e lo Stato si rivolge con grande rispetto alla sua missione”, collaborando soprattutto nell’ambito dell’educazione dell’infanzia e della gioventù e nella creazione di “un sano clima culturale nel Paese”, tutte cose senza le quali “il nostro popolo perderebbe la sua identità”, assicura il capo degli ortodossi russi. Egli sottolinea le dimensioni speciali del rapporto tra la Chiesa e lo Stato in Russia con tre termini in particolare, la vzaimodejstvie (“azione reciproca”), il dialogo e il sorabotničestvo (“collaborazione”, in versione russo-antica), tre inflessioni di uno stesso concetto che vogliono esaltare sia le decisioni pratiche, sia la sintonia ideologica che la “parità di efficacia” delle due istituzioni.

In realtà, negli ultimi tempi si sono evidenziati almeno due argomenti su cui la Chiesa ortodossa russa non si è sentita particolarmente in sintonia con le istituzioni statali a vari livelli. Il primo riguarda la questione della crescita demografica, un argomento su cui Putin insiste fin dall’inizio della sua presidenza, ormai un quarto di secolo fa, senza ottenere alcun risultato: la Russia del 2000 sfiorava i 150 milioni di abitanti, oggi rischia di scendere sotto i 140, se non si tiene conto delle popolazioni ucraine forzatamente “annesse” della Crimea e del Donbass. Per stimolare la generazione di nuovi figli, la Duma di Mosca è arrivata a ipotizzare sussidi e sostegni di ogni genere per le ragazze dai 13 anni in su, a prescindere dalla loro condizione matrimoniale, con una propaganda ossessiva per cui “basta farsi mettere incinte”, poi ci pensa lo Stato, una propaganda decisamente poco “ortodossa”. Senza contare che la Chiesa preferirebbe una campagna più decisa per vietare gli aborti anche nelle cliniche private, cosa che viene invece rifiutata da tutte le amministrazioni regionali.

Questa linea di incitazione alla natalità “ad ogni costo”, inoltre, ha preso una piega sgradevole per le tradizioni ecclesiastiche quando si vuole punire la “propaganda child-free”, mettendo sotto accusa ogni stile di vita che non si orienta all’unione sessuale generativa, come la grande tradizione monastica ortodossa, che solo dopo molte insistenze è stata esclusa dalle misure di esecrazione previste dalle nuove norme in questo campo. Nella Chiesa russa i preti diocesani e di parrocchia sono obbligatoriamente sposati e con molti figli, costituendo di fatto una “casta sacerdotale” molto particolare, ma la dirigenza ecclesiastica si forma esclusivamente tra i monaci, che sono i grandi predicatori della fede patriottica e della guerra santa, quindi da onorare ed esaltare senza mettere ombre inutili sulla loro condizione di vita, esente dalla generazione di figli.

L’altra presa di posizione che ha molto indispettito il clero ortodosso è stata l’assoluta proibizione, confermata anch’essa da provvedimenti legislativi, di qualunque preghiera nelle case private, che nelle intenzioni doveva colpire in particolare le comunità evangeliche, pentecostali e sette come i Testimoni di Geova e altre, ma ha finito per intralciare anche le attività dei sacerdoti ortodossi (e cattolici) che hanno la consuetudine di recarsi a benedire le case e incontrare le persone nella loro abitazione, soprattutto nel periodo invernale e natalizio. Anche in questo caso si è resa evidente la notevole distanza di mentalità tra i politici, che riprendono con grande facilità alcune impostazioni tipiche dei tempi sovietici, e gli esponenti dell’Ortodossia, che nel rapporto con i fedeli non si limitano alla semplice propaganda, come è inevitabile che avvenga dopo oltre trent’anni di libertà religiosa, almeno a livello formale.

Queste dimensioni controverse della concezione ideologico-religiosa del “mondo russo” sono rimaste comunque sullo sfondo della sessione del Concilio russo universale, che ha poi previsto nuove celebrazioni della storia bellico-patriottica della Russia, come ulteriori manifestazioni a San Pietroburgo intorno alla figura del principe vittorioso Aleksandr Nevskij, di cui si pretende il ritorno della solenne urna funeraria dalla città di Vladimir alla capitale del nord, città natale di Kirill e Putin, dove si cerca in ogni modo di nascondere le evidente radici di “apertura all’Occidente” previste fin dalla fondazione da parte di Pietro il Grande. Il patriarca ha sottolineato anche in questo caso, come già avvenuto nei mesi scorsi per l’icona della Trinità di Rublev, gli sforzi che sono stati necessari per “superare le opposizioni del personale del museo” in cui è conservata l’urna argentea, coinvolgendo direttamente il presidente per far rimettere le spoglie nella sede simbolica di colui che aveva sconfitto svedesi e teutonici, antenati dei “nazisti ucraini e occidentali” di oggi.

In conclusione del suo intervento, il patriarca ha ricordato perfino come fin dai primi tempi delle attività del Concilio russo universale lui avesse raccomandato la lotta contro l’alcolismo, ma nessuno gli dava retta, citando frasi dei salmi sulla “gioia del vino” e le risposte del principe Vladimir di Kiev agli emissari musulmani, rifiutando di assumere l’islam perché non possiamo fare a meno di bere. Oggi l’alcolismo in Russia è diventato nuovamente una piaga che si trascina dai campi da battaglia ai cortili delle case, dove chi è ubriaco si concede alla “morte bianca” del gelo, senza neanche rendersene conto. E l’ultima stoccata di Kirill è stata indirettamente rivolta allo stesso Putin, condannando il “linguaggio volgare” che indebolisce la salute morale della persona; il presidente è noto per le sue espressioni “di strada”, ma pur essendo astemio, ascoltando il patriarca si sarà versato un bicchiere.

 

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