06/11/2024, 16.00
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Le reazioni (e le attese) dell’Asia alla rielezione di Trump

Nessun commento da Pechino che definisce il voto americano "una questione interna". I presidenti della Corea del Sud e delle Filippine sottolineano la "forte leadership" del tycoon guardando al Pacifico. Il cambogiano Hun Sen (dopo aver piazzato il figlio a capo del governo) si avventura in riflessioni sulla democrazia americana. L'indiano Modi: lavoriamo insieme per la stabilità e la prosperità globali. E al Congresso cresce ancora il "Samosa caucus".

Milano (AsiaNews/Agenzie) - Come tutto il resto del mondo anche l’Asia in queste ore si interroga sulle possibili ricadute dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca per un secondo mandato. E negli stessi messaggi di congratulazioni inviati al presidente eletto dagli Stati Uniti da molti leader locali emergono alcune questioni cruciali intorno al tema delle relazioni tra le due sponde del Pacifico.  

Com'è consuetudine nessuna reazione ufficiale all’elezione di Trump è giunta dalle autorità di Pechino. “Le elezioni presidenziali degli Stati Uniti sono una loro questione interna: rispettiamo la scelta del popolo americano”, ha risposto oggi laconicamente a una domanda in proposito la portavoce del ministero degli Esteri cinese Mao Ning durante la conferenza stampa quotidiana. Nessun commento nemmeno sull’ipotesi che durante la sua nuova presidenza Trump possa spingere ulteriormente sull’acceleratore nello scontro commerciale con la Repubblica popolare cinese. In campagna elettorale il magnate aveva detto che “dazi” è “la parola più bella del dizionario”, promettendo di aumentare le attuali tariffe al 60% su tutte le importazioni cinesi e aggiungendone una globale del 10 o 20% su tutte le merci straniere che entrano negli Stati Uniti. Su questo la portavoce del governo cinese si è limitata a dire “Che non rispondiamo su domande ipotetiche”.

Al contrario, con il nuovo presidente degli Stati Uniti si è invece subito complimentato il presidente di Taiwan, Lai Ching-te: “Congratulazioni sincere per la tua vittoria - gli ha scritto in un post sul social network X -. Sono fiducioso che la partnership di lunga data tra Taiwan e gli Stati Uniti, costruita su valori e interessi condivisi, continuerà a fungere da pietra angolare per la stabilità regionale e porterà a una maggiore prosperità per tutti noi”.

Parole simili sono giunte anche dal presidente della Corea del Sud, Yoon Suk Yeol, su un altro fronte geopolitico oggi particolarmente caldo in Asia: “Sotto la sua forte leadership - ha scritto Yoon in un messaggio a Trump - il futuro dell'alleanza tra la Repubblica di Corea e gli Stati Uniti e quello dell'America stesa sarà più luminoso. Non vedo l'ora di lavorare a stretto contatto con lei”. Di una dimostrazione al mondo della “forza dei valori americani”, parla anche il presidente delle Filippine Ferdinand Marcos Jr. esprimendo l’auspicio che “l’incrollabile alleanza” tra Manila e Washington sia “una forza per il bene, che tracci un percorso di proprietà e di amicizia nella regione e in entrambe le sponde del Pacifico”.

Tra i commenti asiatici più singolari sulle elezioni negli Stati Uniti quello di Hun Sen, l’uomo forte di Phnom Penh, oggi presidente del Senato in Cambogia dopo aver piazzato il figlio Hun Manet alla guida del governo al posto suo. In maniera pungente scrive su Facebook che “la società americana non è pronta ad accogliere le donne come leader, anche se gli Stati Uniti si presentano come la terra della democrazia di genere”. Hun Sen sostiene inoltre che la vittoria di Trump “dimostra che gli americani amano la pace piuttosto che una guerra senza fine in Ucraina e in Israele”. 

Da parte sua Anwar Ibrahim, il premier della Malaysia - il Paese che nel 2025 avrà la presidenza di turno dell'Asean - esprimendo le sue felicitazioni al presidente eletto, ha espresso l'auspicio che gli Stati Uniti rinvigoriscano il loro impegno nel Sud-est asiatico e contribuiscano a porre fine ai conflitti in Palestina e in Ucraina.   

Congratulazioni “all’amico Donald Trump” sono giunge anche del premier indiano Narendra Modi: “Mentre costruisci sui successi del tuo precedente mandato – scrive Modi in un post su X - non vedo l'ora di rinnovare la nostra collaborazione per rafforzare ulteriormente il Partenariato globale e strategico tra l’India e gli Stati Uniti. Insieme, lavoriamo per la crescita dei nostri popoli e per promuovere la pace, la stabilità e la prosperità globali”.

I media indiani, intanto, si interrogano anche sulle ripercussioni per l’economia locale della vittoria di Trump: le imprese indiane – osservano - sperano di poter beneficiare indirettamente di nuove opportunità in caso di inasprimento della guerra dei dazi tra Washington e Pechino. Va ricordato, però, che nella logica dell’America First Trump ha criticato anche le politiche commerciali dell’India e dunque potrebbe fare pressioni su Delhi in settori come le tecnologie digitali, l’industria farmaceutica e il tessile. Altro capitolo aperto è quello dei visti: nel suo primo mandato le imprese indiane erano state fortemente colpite dalle restrizioni nel rilascio dei permessi di soggiorno. Anche se negli ultimi anni hanno accresciuto le assunzioni di personale locale, mettendosi così al riparo da possibili future restrizioni in materia di immigrazione.

Sempre sul tema dei rapporti con Washington va aggiunto, infine, che Delhi potrà contare nei prossimi quattro anni anche su un ulteriore crescita del cosiddetto “Samosa caucus”, cioè il gruppo di eletti a Capitol Hill di origini indiane. Su nove candidati alla Camera dei rappresentanti ben sette, infatti, sono riusciti a conquistare il proprio seggio, due cioè in più rispetto alla precedente legislatura. Va ricordato, inoltre, che anche la moglie del nuovo vice-presidente J. D. Vance, è di origini indiane: Usha Chilukuri è infatti un’avvocata nata in California, figlia di immigrati indiani provenienti dal distretto di Khrisna in Andhra Pradesh.

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