Le proteste sugli aiuti ai terremotati e i giochi tra Russia, Turchia e Occidente
Trascorsi ormai sei mesi dal sisma nelle aree siriane devastate c'è grande preoccupazione sul futuro in un territorio alla fame. Caduto nel vuoto l'appello a "non politicizzare" la gestione dell'emergenza umanitaria. Il nodo di Idlib, l'ultima roccaforte nelle mani delle milizie ribelli che si oppongono a Bashar al-Assad.
Mosca (AsiaNews) - In Siria continuano gli scandali e le proteste legate agli aiuti umanitari provenienti dall’Onu, accaparrati per interessi di parte sotto le coperture di Russia e Turchia. Gli attivisti accusano uomini d’affari fedeli al dittatore Bashar Al-Assad, che rivendono ai cittadini affamati quanto arrivato gratuitamente dal resto del mondo. E lo stesso governo siriano, spalleggiato da Mosca, esprime la sua contrarietà alle modalità con cui l’Onu distribuisce gli aiuti umanitari.
Gli abitanti della Siria - sia quelli dei territori sotto il controllo di Assad, sia in quelli in mano alle opposizioni - attendono con grande preoccupazione i giorni in cui cesseranno gli arrivi dei carichi umanitari, con il terrore esplicito di morire di fame. Su tutto questo si estende lo sguardo del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha imparato da tempo ad avvantaggiarsi da qualunque svolta apocalittica della politica locale e mondiale.
Si discute della questione da diversi mesi, dal terremoto che ha squassato le regioni meridionali della Turchia e quelle nord-orientali della Siria. L’attenzione di tutto il mondo si è giustamente fissata sulla Turchia, con l’evidenza della sua tragedia e delle rovine delle sue città riprese dalle telecamere di ogni agenzia. Per vari motivi invece la Siria, ormai da oltre un decennio sottoposta a distruzioni sistematiche, non ha attirato uguale interesse.
Secondo i dati dell’Onu, anche prima del terremoto in Siria almeno 15 milioni di persone (circa il 70% della popolazione) necessitavano di aiuti umanitari, ed ora questo bisogno si estende alla quasi totalità degli abitanti. Già a febbraio il rappresentante speciale per la Siria, il norvegese Geir Otto Pedersen, aveva invitato a “non politicizzare le consegne di aiuti umanitari”, aiutando piuttosto a “distribuirli quanto prima a tutti i siriani”.
La questione politica prevale invece su quella umanitaria, considerando che il regime vigente, supportato da Russia e Iran, controlla l’80% del Paese, mentre la regione di Idlib nella zona nord-occidentale rimane per Assad una fortezza inespugnabile. Fu proprio in seguito all’intervento della Russia che venne proposto a tutti gli oppositori, islamisti e non, di rifugiarsi attraverso il “corridoio sicuro” di Idlib, con tanto di servizio di autobus verdi per andarsene verso l’enclave della de-escalation al confine con la Turchia, dove vivono attualmente 3 milioni di persone, per lo più donne e bambini.
La Russia probabilmente riteneva sarebbe stato relativamente facile chiudere i conti con i rivoltosi, raccolti in una sola zona e non sparsi per tutta la Siria. È avvenuto invece il contrario, anche perché su Idlib ha messo le mani la Turchia, con la quale ormai collaborano sia le rimanenti milizie dell’Isis, sia gli altri avversari di Assad. Erdogan si assicura in questo modo la sorveglianza sulle basi russe dalla parte mediterranea, e tiene a bada i curdi siriani dall’altra parte, che vorrebbero con il sostegno americano giungere alla proclamazione di una regione autonoma insieme ai fratelli della parte turca. Le ambizioni imperiali di tutte le latitudini si scontrano in Siria, e a farne le spese è la popolazione affamata.
L’Onu ha sostenuto per anni l’enclave di Idlib, facendo passare i carichi umanitari dalla Turchia, attraverso il passaggio di Bab Al-Hawa nell’ambito del cosiddetto “meccanismo transfrontaliero”, che non necessita dell’approvazione di Damasco. Questo sistema è stato rinnovato ogni nove mesi dal Consiglio di sicurezza, nonostante la totale contrarietà della Russia, mentre altri aiuti arrivano tramite il Libano sotto il controllo governativo.
Dopo il terremoto gli Usa e la Ue, pur mantenendo in vigore le sanzioni alla Siria, per venire incontro alle necessità della popolazione in mezzo alle rovine, hanno inserito una clausola che facilità il trasferimento di aiuti umanitari per le organizzazioni assistenziali, anche se una parte dei pacchi segnati dalla scritta not for sale è finita sugli scaffali dei negozi. Ora lo “sconto per il terremoto” è scaduto, e i giochi di potere rischiano di diventare sempre più ambiziosi e radicali, sulla pelle dei poveri siriani.
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