Le nuove rotte dei migranti dall'Asia Centrale
Con le porte sempre più chiuse in Russia molti lavoratori dalla regione sono partiti per la Corea del Sud. Ma aumentano anche i centroasiatici che cercano prospettive nei Paesi occidentali, finendo spesso vittime di sfruttatori senza scrupoli. La Turchia come meta intermedia dove si fermano qualche anno sperando poi di poter raggiungere l'Europa o l'America.
Astana (AsiaNews) - In seguito alle incertezze economiche della Russia, in conseguenza della guerra in Ucraina, e alla crescente pressione dopo l’attentato terroristico dell’anno scorso a Mosca, i migranti dell’Asia centrale sono sempre più alla ricerca di lavoro ben pagato al di fuori del mercato russo. Sono diversi milioni di persone che non riescono a trovare lavoro in patria, e che per tradizione da molti anni sono abituate a trasferirsi per occupazioni stagionali in Russia, dove ormai l’economia è sempre più stagnante, e si rischia di incappare in repressioni sempre più dure, o di non riuscire nemmeno a ottenere il visto di lavoro e condizioni di vita accettabili.
In Occidente, nei Paesi europei o in America, gli stipendi sono certamente più alti che in Russia, ma ci sono ostacoli di diverso tipo, non ultimo la barriera linguistica, oltre ai disagi a livello culturale e sociale, e alla difficoltà di ottenere contratti secondo le varie regole nazionali. Uno dei Paesi più ricercati e per vari motivi più accessibili è la Corea del Sud, dove la crisi politica sempre più acuta sta però frenando anche i meccanismi economici, e rendendo complicata la sistemazione per chi viene da fuori. Come raccontano diversi migranti a Radio Azattyk, “gli ordini dei clienti sono sempre di meno, gli stipendi si riducono e le retate della polizia aumentano in continuazione”, creando a Seoul condizioni simili a quelle di Mosca.
Molti vanno in Corea dal Kazakistan, magari inserendosi nelle fabbriche per lavori in nero, e ora sono di fronte al dilemma se restare o tornare in patria, dove il tenge locale si sta svalutando sempre più, in seguito al crollo del rublo moscovita. La Russia nell’ultimo anno ha rimpatriato o impedito l’ingresso a decine di migliaia di migranti centrasiatici, e oltre alle conseguenze dell’attentato al Krokus City Hall di marzo, per cui sono stati accusati dei cittadini tagichi, a dicembre è stato fermato un migrante uzbeko, accusato dell’assassinio del generale Igor Kirillov, una delle figure più importanti del sistema della difesa di Mosca. Molti migranti lasciano la Russia senza nemmeno attendere l’ordine di rimpatrio.
Secondo i dati della Banca nazionale dell’Uzbekistan, i trasferimenti di denaro dalla Corea del Sud nel 2024 sono aumentati del 70%, superando il mezzo miliardo di dollari, anche se domina tuttora il traffico di denaro dalla Russia, che è arrivato a oltre 12 miliardi. Attualmente in Corea del Sud lavorano oltre 100mila uzbeki, ma il Servizio per le migrazioni di Taškent ha diramato un avviso secondo cui la quota migratoria di Seoul potrebbe essere sotto “seri pericoli” per oltre 10mila cittadini uzbeki che non hanno un contratto legale di lavoro. Il ministro degli esteri del Kirghizistan, Žeenbek Kulubaev, ha dichiarato che i migranti lavorativi in Russia nel 2023 erano 650 mila, e a fine 2024 se ne contavano 350 mila.
Aumentano i centrasiatici che si recano in cerca di occupazione nei Paesi occidentali, ma spesso con sistemi molto avventurosi e truffaldini, con mediatori che obbligano i migranti a pagare enormi somme per raggiungere i Paesi della Ue o gli Usa, senza poi ottenere veramente il lavoro promesso. Alcuni si affidano alle proposte rinvenute sui social network, in cui si offre ad esempio un posto come autista nella Repubblica Ceca, con uno stipendio di 3.500 dollari tramite la Czech Power Consulting, ma per ottenerlo bisogna prima pagare oltre mille dollari per visto e assicurazione, soldi che “verranno restituiti una volta assunti”. Una volta trasferiti i soldi, si chiude ogni contatto, e a nulla servono le richieste alla polizia o all’ambasciata del proprio Paese a Praga; c’è chi ha perduto oltre 20mila dollari per questi imbrogli, cercando di raggiungere gli Stati Uniti.
Uno dei Paesi più realistici per cercare lavoro è la Turchia, che offre occupazioni con compensi piuttosto moderati, tra i 700 e gli 800 dollari mensili, ma da cui sembra più facile trasferirsi in America o in altri Paesi europei dove “si guadagna in un anno quanto in 10 anni a Istanbul”. Sempre che non si cada nuovamente nelle macchinazioni dei trafficanti, magari restando al verde in qualche città sudamericana o messicana, senza riuscire a raggiungere la meta agognata.
Foto: Flickr / Maureen Barlin