17/07/2014, 00.00
CINA
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Le PMI, la schiavitù dei migranti, l'urgenza di un'economia cinese fondata sulla dignità dell'uomo

di Maurizio d'Orlando
Lo sviluppo economico del Paese ha aperto squarci di libertà con le piccole e medie imprese, che però rimangono parassite dell'industria statale. Continua lo sfruttamento della manodopera dalle campagne. Essere schiavi in Italia "è meglio" che essere schiavi in Cina. Superare il confucianesimo gerarchico per centrare la società sulla persona. Il dono del cristianesimo alla Cina. Terza parte di tre.

Milano (AsiaNews) - La novità della Cina contemporanea rispetto all'epoca maoista sono le Piccole e Medie Imprese, le PMI. Anche questa novità è però in gran parte relativa e marginale, perché il sistema delle PMI non forma una struttura di imprese realmente indipendenti ed autonome regolate da un sistema di diritti e doveri ben precisi, garantiti da un sistema giudiziario non condizionato dal potere politico. Il cuore della macchina burocratica e giudiziaria cinese rimane quello di sempre, quello del regime, e continua ad essere regolato e controllato dal Partito comunista. Senza una certezza del diritto, un vero mercato stenta quindi a svilupparsi anche nella Cina odierna, anche con riferimento alle PMI. Ne consegue che le PMI nella maggior parte dei casi non sono che delle strutture vassalle legate da rapporti e vincoli neo-feudali al sistema delle grandi imprese. Su di esse ha finito per gravare gran parte della spinta alla ricerca di una maggiore efficienza del sistema nell'utilizzo delle risorse.

In parte, è vero, questa maggiore efficienza è stata anche ottenuta dallo sviluppo di un sistema di subfornitura che consente economie di scala alle aziende che producono la stessa componentistica per diverse imprese e diversi settori industriali. In gran parte, però, la maggiore efficienza economica è stata ottenuta "ottimizzando" la risorsa cardine di qualsiasi impresa manifatturiera, non le macchine o la struttura aziendale, ma il lavoro ed il suo costo. Le PMI per definizione possono più facilmente controllare il lavoro come fattore produttivo ed in questo sono state facilitate dall'abbondanza della manodopera - i lavoratori migranti - proveniente dal mondo agrario cinese.

L'agricoltura cinese, come già si è detto, sin dall'inizio e da sempre è stato il settore più negletto dello sviluppo cinese ed è rimasta legata ad una economia di pura sussistenza dei bisogni primari. Le campagne hanno quindi costituito un serbatoio umano di centinaia di milioni di persone per lo sviluppo della grande industria statale nel passato. Ancora oggi consentono ai contoterzisti della componentistica ed alle tante micro imprese minerarie, soprattutto di carbone, la principale fonte energetica cinese, di disporre di manodopera pronta ad accettare salari da miseria. Questo è un altro dei piccoli grandi segreti, che tutti conoscono, con cui la Cina è riuscita a contenere i costi delle sue esportazioni di beni industriali.

Parlare di diritti civili e di maggiore benessere per gli operai cinesi si può e se ne deve. Purtroppo, però - e tragicamente - tutto ciò spesso ha poco senso e scivola non di rado nella pura retorica: folate d'indignazione in Occidente e al massimo risultati di facciata. La grande industria cinese, non senza grandi sforzi, a volte, riesce persino a camuffarsi ed a mostrare un volto un po' più rispettoso delle persone.  Dietro di essa però i contoterzisti della componentistica e della subfornitura continuano come prima e - ignota a tutti nel mondo  - la popolazione agraria cinese, gli ultimi degli ultimi, vive come sempre in uno stato che nei fatti è di schiavitù servile.

In Italia non si capiva come mai gli operai delle fabbriche cinesi di Prato potessero accettare delle condizioni di vita e di lavoro giudicate dagli italiani sub-umane: si sono sentiti rispondere dagli stessi operai cinesi che per loro è molto meglio lavorare e vivere in tali condizioni in Italia che non in Cina. Se questo vale per le industrie tessili cinesi insediate in Italia a Prato, a maggior ragione vale per le imprese in Cina, dove la pressione della manodopera proveniente dalle campagne è maggiore.

Soprattutto quello che l'Occidente spesso non comprende è che lo stesso concetto di diritti civili non ha molto senso in un contesto cinese. La Cina ha infatti introdotto questa idea in due fasi della propria storia: prima quando fu rovesciato il Celeste Impero ed introdotta la Repubblica Nazionalista del Kuomintang con Sun-Yat-Sen ed in un secondo momento, nel 1949, con l'istaurazione della Repubblica Popolare Cinese con Mao. In entrambi i casi, però, la lettura che ne è stata data è legata al sistema di pensiero confuciano. In tal sistema è centrale la preoccupazione per il benessere comune e per l'Impero di Mezzo. I diritti civili in tale contesto sono dunque interpretati come una sorta di sistema di pesi e contrappesi che regolano il buon funzionamento della società. Nelle società occidentali, su entrambe le sponde dell'Atlantico, sono stati invece visti come valori assoluti derivanti dalla centralità e dignità della persona, un concetto questo che la Cristianità ha elaborato sulla base del diritto romano, ma anche e soprattutto dei valori evangelici. La differenza potrà forse sembrare sottile, ma è tutt'altro che così. Se i diritti civili sono valori subordinati alle esigenze della società, del benessere dell'Impero, vi si possono applicare abbondanti sconti in funzione delle opportunità ed esigenze contingenti. Molto diverso è invece il caso in cui i diritti civili sono valori, in certi casi indisponibili, legati alla persona umana, quali il diritto alla vita, alla libertà ed alla proprietà. Parlando pertanto di diritti civili dei lavoratori in contesti differenti può capitare di utilizzare termini identici, ma di riferirsi poi a concetti differenti.

La differenza tra questi due concetti può diventare poi rilevante in un momento di crisi come quello attraversato oggi dalle economie di tutto il mondo. In una società che non conosce il concetto di persona è più facile che si finisca per subordinare i diritti al contesto congiunturale.

La Cina si trova oggi, dal punto di vista istituzionale, alla vigilia di una svolta, forse di uno scontro civile. Il disagio per i rapidi ed inspiegabili arricchimenti e soprattutto per gli arbitri quotidiani e la mancanza della certezza del diritto è uno stato d'animo molto diffuso. Per questo le autorità sono molto vigili e reprimono ogni minimo accenno di dissenso. L'opposizione nella società civile e nel Partito hanno ben ragione a voler mettere in discussione i principi costituzionali di fondo. Non vorremmo però che si ricada nel dualismo Sun-Yat-Sen/Mao Tse Tung; Kuomintang/Partito Comunista Cinese, che ha già prodotto una terribile guerra civile. Ad AsiaNews ci permettiamo di suggerire agli esponenti delle istituzioni ed a quelli dell'opposizione di studiare come la cristianità occidentale abbia elaborato a partire da Carlo Magno il concetto di autorità politica suprema moralmente legittimata, distinguendola da quella usurpata, come quella di Napoleone che si auto-incoronò Imperatore. 

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