L'apatia del consenso popolare in Russia
L'esito delle elezioni presidenziali e la stessa percentuale dei votanti sono già di fatto decise mentre la gente si reca ai seggi. Il consenso al regime putiniano è stato definito dal dissidente Vladimir Kara-Murza - sepolto in un lager siberiano - soltanto un effetto “del terrore e dell’apatia”. E l’eterno zar è solo l’apparenza di un sistema che esclude l’anima umana.
Sono ancora in corso le elezioni presidenziali in Russia, ma il Comitato elettorale nazionale (Vits) ha praticamente già diffuso da qualche giorno i risultati, che vedono il presidente (mai) uscente Vladimir Putin vincitore con circa l’80%, su una cifra analoga di partecipanti al voto. L’affluenza è il dato più intensamente ricercato e garantito, nonostante la scarsa propensione degli elettori a recarsi alle urne, con la precettazione obbligatoria degli impiegati statali e dei dipendenti delle ditte che vogliono ancora avere un futuro in Russia, oltre alla manipolazione del voto elettronico, un meccanismo regalato dal Covid e ormai imprescindibile per arrotondare le cifre delle presenze “a distanza”, dimensione del mondo virtuale che sempre più sta sostituendo quello reale.
Il consenso al regime putiniano è stato definito dal dissidente Vladimir Kara-Murza - sepolto in un lager siberiano in attesa del colpo di grazia della “morte improvvisa” in stile navalnista - soltanto un effetto “del terrore e dell’apatia”, i sentimenti che caratterizzano l’attuale popolazione russa, in ossequio alle sue tradizioni secolari, i cosiddetti “valori morali e spirituali”: il terrore è la morale, l’apatia lo spirito di cui si nutrono i russi da oltre mille anni. In realtà secondo il Vits il consenso a Putin può essere tranquillamente calcolato al 100% e oltre, assommando i risultati degli altri candidati di contorno, essendo stato eliminato il possibile pallido oppositore Boris Nadeždin.
All’80% di Putin infatti si può tranquillamente assommare il 4% di Nikolaj Kharitonov, il candidato dei comunisti del Kprf, il partito rinato nel 1996 contro Eltsin e che ha fatto da apripista alla Russia Unita di Putin. Negli anni passati gli appelli al “voto utile” di Aleksej Naval’nyj avevano tentato di coinvolgere almeno in parte i comunisti in un’alternativa “ideologica”, se non proprio in una vera opposizione, appellandosi all’orgoglio di una formazione legata ai fasti del lungo dominio sovietico. Ma il 76enne Kharitonov non è certo un esponente dell’ala più interventista del partito, presiedendo dal 2021 il comitato della Duma per lo sviluppo dell’Estremo oriente e dell’Artico, e avendo ricevuto da Putin l’onorificenza di “Eroe del lavoro” soltanto lo scorso anno. Tanto meno appare in qualche modo attraente la candidatura del 56enne Leonid Slutskij accreditato al 3%, esponente dei liberal-nazionalisti del partito Ldpr fondato negli anni eltsiniani dal massimo populista russo degli ultimi trent’anni, Vladimir Žirinovskij, che è stato privato dalla morte prematura della gioia da lui tanto invocata, quella di assistere alla rivincita della Russia contro il mondo intero nella guerra in Ucraina.
Potrebbe forse considerarsi in qualche modo distaccata dall’apoteosi putiniana la presenza alle elezioni di Vjačeslav Davankov, quarantenne di Smolensk presentato dal partito “Uomini nuovi”, una formazione creata nel 2020 di orientamento “comunitario, liberale e progressista”, in realtà accusata di essere un progetto sponsorizzato dal Cremlino con l’obiettivo di sottrarre voti ai navalnisti. Davankov è attualmente vice-presidente dell’assemblea federale, una struttura sovra-parlamentare che appare meno coinvolta nella retorica bellica, ed è stato indicato da alcuni come possibile nome alternativo rispetto al consenso plebiscitario putiniano, dopo l’eliminazione di Nadeždin. Per questo le sue percentuali oscillano tra il 5 e il 7%, e rimane uno spazio valutato tra il 6 e il 9% di indecisi; se si attribuiscono anche queste cifre al sostegno del presidente, di fatto Putin vince con oltre il 100% dei consensi. Altri sondaggi meno ufficiali vedono Kharitonov e Slutskij davanti a Davankov, ma la differenza dei fattori non cambia le somme complessive.
La lotta per il secondo posto, nella raccolta delle briciole rispetto al consenso incontrastato allo zar regnante, non ha certo un grande significato per il futuro della politica in Russia, tanto più che anche alle elezioni precedenti di terzo-quarto mandato erano stati messi in campo altri candidati di facciata per abbellire la consacrazione “democratica” del presidente. Queste però sono elezioni speciali, sia per lo stato bellico che impone alla Russia di rianimare il patriottismo militante, sia per la grande manifestazione della “fine di ogni dissenso” legata alla morte di Aleksej Naval’nyj giusto un mese fa, seguita dalla processione funebre dei fiori deposti alla tomba come espressione muta e plateale della solidarietà popolare ai perseguitati dal regime. Lo stesso Naval’nyj aveva proposto il “mezzogiorno contro Putin”, recandosi tutti insieme alle urne alla stessa ora, gesto impossibile da proibire ufficialmente, anche se facile da confondere con orari controllati da parte degli scrutatori e delle forze dell’ordine; per ogni evenienza, le autorità hanno ammonito chi intende partecipare ad “assembramenti sediziosi di mezzogiorno”. Per il resto c’è confusione tra i seguaci del politico ucciso nel lager di Kharp: la moglie di Naval’nyj, Julia, ha proposto di scrivere il nome del marito sulla scheda, o comunque di annullarla scrivendo frasi in favore della pace e di condanna dell’oppressione di regime. Molti hanno però obiettato che le frasi estranee alla lista dei candidati possono essere ignorate, assegnando il voto allo stesso Putin, e per questo hanno proposto di annullare la scheda votando due o tre candidati contemporaneamente, oppure di votare Davankov per far vedere con qualche punto di percentuale il desiderio di un’alternativa.
Di fronte a queste incertezze, risuonano ancora più acute le parole dello stesso Naval’nyj dal lager, pochi giorni prima della sua morte: “Voi vi state angosciando, mentre io me la godo. Io non ho il vostro problema, perché i condannati non possono votare, ma ho un altro problema: mi preoccupa la vostra angoscia, perché non sapete che fare a mezzogiorno del 17 marzo. Io vi ho invitato a votare contro Putin, cioè per qualunque altro candidato, ma per quanto ripeta che non conta né politicamente, né matematicamente per chi voi votiate, vi toccherà comunque entrare nella cabina elettorale e prendere in mano la scheda… il voto utile è solo contro Putin, non a favore di nessun altro, mettete un nome a caso”. L’unico voto che non si può esprimere è quello “contro tutti”, una variante che esisteva negli anni ’90 ed è scomparsa con l’avvento di Putin nel 2000. Probabilmente gli ricordava il vote blanc della rivoluzione francese, che veniva calcolato come percentuale non di astensione, ma di rifiuto di tutti i candidati, e nemmeno questa modalità si può accettare nella Russia putiniana, perché aprirebbe uno spiraglio a inammissibili sentimenti di insoddisfazione.
In ogni caso, la processione dei fiori alla tomba di Naval’nyj, che prosegue incessante anche dopo i giorni delle esequie, rimane una manifestazione di protesta ben più efficace di qualunque minima strategia elettorale, tanto che la procura generale ha istituito il nuovo crimine di tsvetopoloženje, la “deposizione di fiori” davanti a monumenti e luoghi pubblici. Non si riesce comunque a vietarla al cimitero di Borisovo, soprattutto in questo periodo di inizio delle celebrazioni quaresimali, quando diventa sempre più frequente la visita al cimitero ai propri cari nell’avvicinarsi del disgelo primaverile e dell’annuncio pasquale, quando tutti i fedeli ortodossi sono invitati a recarsi presso le spoglie dei defunti per comunicare la Radonitsa, la gioia della risurrezione di Cristo. L’espressione del pensiero alternativo rimane un fattore importante, non solo nella partecipazione emotiva alla tragedia di Naval’nyj, ma in tante altre manifestazioni di dissenso represse con i metodi del terrore, arresti e multe per frasi e sorrisi sgraditi, fino alle torture e agli assassini nei lager. Ci sono i preti pacifisti scomunicati, gli intellettuali emarginati e gli attivisti di qualunque associazione impediti di proseguire le proprie iniziative, comprese quelle ecologiste o animaliste. C’è il milione di russi fuggiti all’estero, e seguiti con apprensione dai propri familiari rimasti in balia del mostro statale. Più del terrore e delle persecuzioni, rimane però la questione veramente angosciosa circa le condizioni del popolo russo, costretto a inchinarsi alla divinizzazione zarista che minaccia il mondo con la guerra nucleare: rimane l’apatia, l’assenza di un qualunque desiderio di esprimere sé stessi e il proprio spirito, la notte dell’anima che caratterizza la Russia di Putin.
I russi hanno la memoria dei tempi antichi e di quelli sovietici, quando le motivazioni per qualunque iniziativa erano predefinite dall’ideologia dello Zar o dello Stato, e la condizione di pace e benessere della vita sociale non prevedeva l’assunzione personale di alcuna responsabilità, né da parte dei singoli, né delle famiglie o di qualunque altro gruppo, ufficiale o spontaneo. Il trauma del decennio “liberale” eltsiniano, con la prevaricazione di ogni principio e di ogni diritto da parte dei più violenti, dei più arroganti e dei più sfrontati, gli oligarchi e i banditi fino ai politici in cerca soltanto di potere, ha generato il desiderio di consegnarsi nuovamente nelle mani di un “sistema” stabile e garantito, più ancora che in quelle di un “uomo forte” autoritario o carismatico. L’eterno Putin è solo l’apparenza di un sistema che esclude l’anima umana, e non cambierebbe nulla se al suo posto ci fosse soltanto un sosia o uno spettro, che getta ombra sulla Russia e sul mondo intero.
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