Lahore, famiglia cristiana costretta a fuggire a causa dell’odio religioso
AsiaNews ha raccolto la storia della famiglia di Victoria (nome di fantasia), costretta ad abbandonare la città di origine perché cristiana. Ma anche a Lahore, dove si sono trasferiti, i cristiani subiscono atteggiamenti di intolleranza e odio contro le minoranze, ben lontani dalle dichiarazioni dei proclami politici.
Lahore (AsiaNews) – Una famiglia cristiana residente a Lahore è stata costretta a fuggire dal Punjab per le minacce ricevute dai musulmani. La madre Victoria (nome di fantasia per motivi di sicurezza) ha raccontato ad AsiaNews la storia della sua famiglia, da cui emerge quanti passi indietro abbia fatto in questi anni il Pakistan nel rispetto delle minoranze religiose, che erano state esaltate da Mohammad Ali Jinnah per il loro grande contribuito alla nazione. Infatti l’11 agosto del 1947 viene ricordato in Pakistan come il giorno dello storico discorso di Jinnah, fondatore del Pakistan moderno, all’Assemblea costitutiva del neonato Stato. L’11 agosto di quest’anno è tornata la paura di nuove persecuzioni.
Victoria è una donna cristiana di 45 anni. Insieme al marito e ai tre figli (un maschio e due femmine), vive in una piccola casa di due stanze a Lahore. La mattina insegna in una scuola cristiana e il pomeriggio impartisce lezioni private nella sua abitazione.
La famiglia però è originaria di Khanewal, una cittadina nel sud del Punjab. Lì Victoria insegnava in una scuola, con un contratto regolare e contributi pensionistici, il marito gestiva un piccolo negozio, mentre i tre figli frequentavano una scuola media inglese.
La loro vita era trascorsa in modo sereno fino a quando un pomeriggio, nel 2013, il figlio maggiore Najam (abbreviato con l’iniziale “N”, nome modificato per sicurezza) dichiara di non voler più andare a scuola. Victoria rimane stupita dalla decisione del figlio e domanda spiegazioni. Dopo aver ascoltato i tre ragazzi, scopre che a scuola “N” era stato preso e gettato a terra da un ragazzo più forte. Mentre gli comprimeva la gola impedendogli di respirare, il ragazzo ha urlato contro “N”: “Recita i Kalma” [i 6 articoli di fede con cui si effettua la conversione all’islam, ndr].
Victoria racconta di aver denunciato il fatto all’amministrazione, che ha porto le sue scuse e garantito di risolvere la questione. Invece dopo qualche mese le altre due figlie sono state costrette da uno studente a recitare il “Naat” [poema in onore del profeta Maometto, ndr] di fronte all’assemblea scolastica. Dopo quell’episodio, il padre dello studente ha rivendicato che le ragazze non fossero più cristiane, e questo ha spinto Victoria a lasciare la città per evitare conseguenze più tristi.
In una notte del dicembre 2013, la famiglia ha abbandonato casa, affetti, lavoro e si è trasferita a Lahore, la città che alcuni amici avevano indicato loro come più rispettosa delle minoranze. I figli hanno continuato gli studi con buoni risultati, mentre il marito non è riuscito a ricostituire l’attività commerciale. Perciò è Victoria, con il suo lavoro precario e faticoso, che manda avanti la famiglia.
La donna racconta che l’11 agosto di quest’anno, giorno in cui in tutto il Pakistan si celebrava la Giornata delle minoranze nella data dello storico discorso del 1947, la famiglia è ripiombata nella paura. “N” è stato vittima di nuove vessazioni in un’università privata a Gahzi Chowk, in Ferozepur Road.
Il ragazzo frequenta un college pubblico, dato che la famiglia non può permettersi la retta di uno privato. Le scuole pubbliche organizzano delle giornate di formazione in quelle private. È in una di queste che “N” ha assistito ad una lezione di scienza islamica (una materia obbligatoria) dove l’insegnante, invece di attenersi al programma di testo, ha pronunciato discorsi provocatori e predicato contro i non musulmani. “N” e altri due colleghi cristiani sono rimasti pietrificati quando hanno sentito che il docente dichiarava che “l’universo è stato creato per i musulmani, mentre i non musulmani ne beneficiano in modo ingiustificato. Quindi l’uccisione di cristiani, ebrei e indù è da giustificare”.
“N” ha temuto per la propria vita. “Se i compagni di classe avessero scoperto la mia religione – ha raccontato –, mi avrebbero fatto a pezzi”. Soprattutto è rimasto scioccato dal fatto che fosse un insegnante a pronunciare quelle parole. Mentre a Khanewal, “l’oppressore era uno studente, che mi ha liberato non appena l’insegnante è entrato in classe, a Lahore l’oppressore era l’insegnante stesso”.
Ciò che più preoccupa, conclude la madre, è che la persecuzione proviene da coloro che dovrebbero dare l’esempio: “La propaganda politica afferma in maniera altisonante di porre fine al ‘discorso dell’odio’. Ma i fatti mostrano l’altra faccia della medaglia”.
12/09/2017 10:55
14/09/2017 11:30