La ‘guerra delle olive’ dei coloni (e della polizia) ai palestinesi in Cisgiordania
All’ombra del conflitto a Gaza (e con gli Hezbollah libanesi a nord) gli israeliani stanno perpetrando una “politica” di violenze contro agricoltori e terre. Una “politica” di Stato che unisce movimenti pro-occupazione e istituzioni. Con Ben Gvir una vera e propria task force contro gli attivisti stranieri che sostengono i palestinesi, a colpi di arresti ed espulsioni.
Milano (AsiaNews) - Nel solo mese di ottobre si sono verificati almeno 80 incidenti che hanno visto coinvolti 42 villaggi palestinesi in cui la popolazione locale, col sostegno di organizzazioni internazionali, è impegnata in una delle poche attività che forniscono ancora un sostegno economico: la raccolta delle olive. A documentarlo è l’ong israeliana Yesh Din, che parla di sparatorie, aggressioni violente, minacce ed espulsioni dei raccoglitori, blocchi delle attività, furto di colture, attrezzature e sradicamento forzato delle piante. All’ombra del conflitto a Gaza, e dell’escalation con gli Hezbollah libanesi nel fronte nord di questo intricato puzzle regionale, si sta consumando una “guerra silenziosa” lanciata da coloni e gruppi estremisti israeliani contro civili palestinesi. Un quadro di abusi e violazioni compiute sotto gli occhi della polizia e delle forze di sicurezza dello Stato ebraico, presenti nell’85% dei casi: gli agenti infatti, lasciano campo libero agli assalitori o essi stessi alimentano le violenze.
"Una politica di Stato"
Il crescendo di violenze combinate di coloni ed esercito preoccupa le Nazioni Unite: secondo l’Ufficio Onu per gli affari umanitari (Ocha) lo Stato ebraico usa tattiche “belliche” in Cisgiordania che non risparmiano nemmeno i coltivatori, con un aumento delle vittime. Fra l’8 e il 14 ottobre nove palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane, scatenando un allarme diffuso fra le comunità locali e gruppi pro diritti umani. “Il numero crescente di incidenti e la cooperazione tra i coloni e il personale delle forze di sicurezza - sottolineano gli esperti di Yesh Din - fanno temere che i blocchi alla raccolta delle olive in Cisgiordania sia una politica deliberata di Israele”.
Uno degli incidenti più rilevanti si è verificato quando Hanan Abd Rahman Abu Salameh, donna di 59 anni, è stata uccisa da un soldato israeliano mentre raccoglieva olive vicino a Jenin, crivellata da una decina di colpi. Yesh Din ha anche documentato 32 attacchi di coloni contro i palestinesi e le loro proprietà dall’inizio di ottobre e circa 600 ulivi pregiati sono stati “distrutti, vandalizzati o sottratti dai coloni” prosegue il rapporto. Per le comunità palestinesi della Cisgiordania il frutto rappresenta il bene più importante ed è parte integrante della storia e della tradizione locale, generando fino a 70 milioni di dollari all’anno per i produttori. Tra il 25% e il 33% della popolazione è coinvolto a vario titolo nell’industria delle olive, dalle quali si ottengono fra gli altri il rinomato olio e il sapone.
Inoltre, agli attacchi e agli espropri si sommano le pesantissime restrizioni nell’accesso ai terreni durante gli ultimi raccolti. A denunciarlo è l'altra ong israeliana HaMoked, che sostiene i contadini nella raccolta: per “centinaia di migliaia di palestinesi - affermano - è l’evento più importante dell’anno” sia a livello “culturale” sia come “principale fonte di sostentamento”. Un appuntamento che quest’anno, più che in passato, è “davvero in pericolo” perché in molte aree le autorità israeliane hanno “chiuso” l’accesso alle terre oltre il muro divisorio. Queste aree indicate come Seam Zone dall’esercito (Idf) costituiscono quasi il 10% della Cisgiordania. Circa 150 città e villaggi palestinesi hanno uliveti in queste aree molto fertili. Se in passato i coltivatori dovevano affrontare forti restrizioni e vincoli burocratici, dal 7 ottobre 2023 il passaggio è pressoché interdetto e i cancelli chiusi, mentre i tempi si fanno sempre più ristretti per scongiurare la perdita del raccolto.
Task force anti-attivisti
Nelle ultime settimane Israele ha al contempo intensificato gli sforzi per ostacolare il lavoro di attivisti e organizzazioni internazionali che operano in Cisgiordania, in particolare quanti sostengono la raccolta delle olive. Dall’inizio di ottobre otto stranieri sono stati arrestati e cinque di loro successivamente espulsi o costretti a lasciare il Paese, mentre agli altri tre è stato vietato l’accesso per periodi variabili. Le detenzioni rappresentano un’escalation delle restrizioni all’accesso internazionale al territorio occupato, politica facilitata da una speciale “task force” creata ad aprile dal ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir. Una forza che ha come obiettivo il controllo degli attivisti stranieri e che opera sotto l’unità centrale di polizia israeliana di Shai (Cisgiordania), in coordinamento con l’Autorità per la popolazione e l’immigrazione.
Secondo i dati del Fondo per i difensori dei diritti umani, almeno 15 attivisti stranieri per sono stati arrestati e poi espulsi o costretti a lasciare il Paese. Il magazine +972 ha raccolto diverse testimonianze riguardanti minacce, intimidazioni e false accuse durante gli interrogatori da parte degli agenti della sicurezza. Molti dicono di essere stati bollati come “terroristi”, “persone che hanno in odio Israele”, “sostenitori di Hamas” e di voler “attaccare ebrei e soldati”. In alcuni casi, la polizia ha presentato loro delle fotografie che rivelavano lo stretto e prolungato monitoraggio sia sul campo che attraverso i loro social media.
Al riguardo, vi sono americani, tedeschi, canadesi e coreani fra quanti sono finiti nel mirino di questa speciale forza di polizia il cui scopo secondo Ben-Gvir è di contrastare le attività di “anarchici e terroristi” a colpi di “arresti ed espulsioni”. Netta Golan, fra i fondatori dell’International Solidarity Movement (Ism), sottolinea il ricorso estensivo all’accusa di “terrorismo” da parte della polizia. “Incolpano persone che non hanno alcun legame con gli atti di violenza, mentono ed esagerano - attacca - per arrivare al livello di ‘sostegno al terrorismo’ e ‘incitamento alla violenza’”. “Quando queste accuse - prosegue - sono rivolte a cittadini internazionali, [la polizia] non deve provarle e le persone vengono fermate e deportate”. “Ma quando le stesse accuse sono rivolte ai palestinesi, in Cisgiordania, vengono mandati in detenzione amministrativa [senza accuse o processo], torturati e rischiano di morire di fame in prigione. E a Gaza - conclude - vengono uccisi con i loro figli e intere famiglie”.
Coloni, un anno di attacchi
Infine, gli attacchi contro terre e agricoltori palestinesi si inseriscono un quadro più ampio di violenze perpetrate dai coloni ebraici, con l’avallo delle autorità di governo israeliane - in alcune frange legate ai movimenti pro-occupazione - che alimentano una assalti ed espropri. Uno degli ultimi episodi risale alla mattinata di ieri, quando un gruppo di coloni ha dato alle fiamme diverse auto e veicoli di palestinesi, dopo aver preso di mira un’area industriale nei pressi della cittadina di Al-Bireh, in Cisgiordania. Secondo alcune testimonianze almeno 20 vetture sono state incendiate da assalitori armati, che non hanno esitato ad aprire il fuoco contro squadre della protezione civile e ambulanze intervenute sul posto, impedendo di raggiungere i mezzi incendiati e prestare i soccorsi.
Secondo i dati palestinesi, nell’ultimo anno - in seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 che ha innescato il conflitto a Gaza - i coloni israeliani hanno compiuto circa 16.663 raid contro persone, terreni e proprietà in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est.
Le stime del movimento israeliano anti-occupazione Peace Now mostrano che vi sono almeno mezzo milione di coloni - illegali per il diritto internazionale - sparsi in 146 insediamenti e 224 avamposti. Attacchi che sono collegati ad una situazione generale di forte tensione in tutta la Terra Santa per un conflitto che, in poco più di un anno, ha causato la morte di quasi 43.300 palestinesi, in larga maggioranza civili soprattutto donne e bambini. Una spirale di violenza che, seppur focalizzata sulla Striscia, non ha risparmiato nemmeno la Cisgiordania dove secondo il ministero palestinese della Sanità si contano almeno 768 vittime e altri 6300 feriti in operazioni dell’esercito o in attacchi di coloni. Una escalation che non si è interrotta ma è andata inasprendosi dopo una sentenza della Corte internazionale di giustizia, che a luglio ha dichiarato “illegale” l’occupazione pluridecennale della terra palestinese da parte di Israele. I giudici hanno infine chiesto - sinora invano - l’evacuazione di tutti gli insediamenti esistenti in Cisgiordania e a Gerusalemme est.
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