La visita di Francesco e la missione affidata al popolo armeno
Il Papa non ha indietreggiato nel nominare il Male con il suo nome e ha riconosciuto il diritto del popolo armeno alla memoria. Ma questa memoria non può più essere fine a se stessa: deve divenire la vocazione della gente e della diaspora armena. Questi devono divenire ambasciatori e ponti di unione fra le culture che hanno incontrato dopo il genocidio, lavorando per la pace e la convivenza religiosa. Da un armeno della diaspora.
Parigi (AsiaNews) – La “storica visita” di papa Francesco in Armenia è stata la visita di un “grande amico della nostra nazione e del nostro popolo”. Lo ha detto il presidente Serge Sarkissian a conclusione dei tre giorni di viaggio apostolico del pontefice nel Caucaso. Le parole di Francesco, ha aggiunto il conduttore televisivo dell’emittente di Stato, “sono arrivate dritte ai cuori del popolo dell’Ararat, un ciclone che ha rimesso in discussione troppe convinzioni e prese di posizioni”.
Il Papa non ha indietreggiato nel nominare il Male con il proprio nome, pronunciando - nonostante le pressioni della Turchia - la parola “genocidio” che l’entourage del pontefice voleva questa volta glissare per evitare una crisi con Ankara. Ma il pontefice ha ancora una volta sottolineato l’importanza di riconoscere le colpe come primo passo verso la giustizia e la vera riconciliazione. Papa Francesco ha difeso più volte nei suoi discorsi il diritto e dovere degli armeni alla memoria: “Che Dio protegga la memoria del popolo armeno. La memoria non deve essere diluita o dimenticata, la memoria è fonte di pace e di avvenire”. Ma ha anche invitato questa “prima nazione cristiana” a non arenarsi nel passato, a fare un passo avanti e guardare verso il futuro per “non privare l’umanità del ruolo che spetta agli armeni” nei tempi odierni.
“Fate la pace con i turchi”, ha esortato, e arrivate alla “pace nel Nagorno-Karabakh”. E questo nonostante sia bene a conoscenza, forse lui più di chiunque altro, che la Turchia non è ancora pronta a guardare in faccia la propra storia e abbandonare il negazionismo. “Aprite le barriere” ha voluto dire, facendo volare in direzione del confine chiuso con la Turchia le due colombe dal luogo dove era tenuto prigioniero San Gregorio Illuminatore battezzatore dell’Armenia. E dal luogo dove la colomba dell’Arca di Noé annunciava una nuova era per i sopravvissuti al diluvio.
Ma sopratutto ha invitato il popolo armeno a ritrovare il suo ruolo essenziale nel mondo di oggi, essendo loro diventati la prova che “la speranza (è) più forte di qualsiasi difficoltà”. “Il Papa ci ha fatto riflettere” ha commentato mons. Raphael Minassian, vescovo dell’Eparchia di Armenia, Georgia, Russia ed Europa Orientale.
Per il direttore generale di Oeuvre d’Orient, mons. Pascal Gollnisch, il ruolo che gli armeni hanno nel mondo di oggi è chiaro: “Sono un popolo straordinario, presenti in tutto il mondo attraverso i discendenti dei sopravvissuti al Genocidio sparsi in tutto il pianeta che costituiscono la diaspora armena. Sono insomma portatori di doppie culture, unite fra di loro attraverso la cultura armena”.
Vi sono quelli di cultura armena e slava, che vivono Russia e nell’Europa orientale; quelli di cultura armeno–mediorientale (nei Paesi del Medio Oriente) e di cultura armeno-occidentale, quelli dell’Europa e delle Americhe. “Tutto oggi si gioca in questi Paesi – dice mons. Gollnisch – e la missione degli armeni nell’era presente a cui si riferisce il Papa è quella di unire il mondo servendo come ponti di unione fra i mondi arabi, il mondo slavo e l’Occidente”.
È la vocazione degli armeni di oggi, aggiunge, un popolo “dilaniato da una sofferenza che lo ha spinto in tutti gli angoli della Terra come ambasciatori legati all’Armenia, l’unico Paese nel mondo ancora composto al 98% da cristiani”. Possono “svolgere il ruolo di intermediari nel riportare memoria, fede e misericordia, in altre parole pace e convivenza, in questi tempi tribolati”. Sono queste anche le parole chiave ed il senso del Messaggio della dichiarazione comune firmata ieri fra la Santa Sede ed il Katolicossato armeno di Etchmiadzin.
Il Messaggio è stato recepito in pieno, attraverso il presidente della Repubblica di Armenia Sarkissian, il quale ha affermato: “Siamo pronti ad una pace regionale e duratura”. Il leader politico ha anche sottolineato la capacità degli armeni alla convivenza inter-religiosa, che li rende in grado di “convivere armoniosamente coi popoli e minoranze di altre religioni” come dimostrano “gli ottimi rapporti con la Repubblica islamica dell’Iran”.
Ma la risposta più chiara è giunta soprattutto attraverso il dono fatto dalla Chiesa apostolica armena a Francesco: una scultura che rappresenta l’Arca di Noè arenata sul Monte Ararat. L’Arca ha la forma di un vaso di bronzo che reca la lettera “E’” in armeno (simbolo per Dio) con una vite, che è stata riempita ed annaffiata dal Papa insieme al Katolicos di terra e acqua consegnati loro da armeni venuti da tanti Paesi del Medio Oriente: Libano, Siria, Iraq, Turchia, Giordania, Israele, Iran, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti. Una risposta che non poteva essere più eloquente.
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