14/05/2024, 09.57
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La violenza nelle scuole turche specchio di una crisi sociale ed economica

di Dario Salvi

L’omicidio di un preside per mano di un minore alimenta la polemica. A sparare uno studente che voleva “vendicarsi” dell’espulsione. Allo sciopero (anche) sindacati filo-governativi. P. Monge: l’ambito educativo è solo la “punta dell’iceberg”. Le quattro riforme Akp hanno stravolto l’istruzione di impronta laica e scientifica. La “nemesi” di Erdogan e l’ascesa di Imamoglu. 

Milano (AsiaNews) - L’omicidio di un preside di un istituto scolastico di Istanbul per mano di uno studente in cerca di “vendetta” per un precedente provvedimento di espulsione ha riacceso i riflettori sulla violenza nelle aule in Turchia e, più in generale, sul sistema educativo. Un evento terribile che ha scosso le coscienze. E che ha spinto diverse sigle sindacali degli insegnanti a proclamare un giorno di sciopero, perché non si tratterebbe “di un incidente isolato” ma è il risultato di una politica in atto da tempo di “discredito” del corpo docente. Tuttavia è “importante precisare che si tratta della punta dell’iceberg, di una crisi del sistema educativo, che si somma alle forti tensioni sociali” spiega ad AsiaNews p. Claudio Monge, domenicano, da tempo nella capitale economica e commerciale del Paese dove è parroco della chiesa dei santi Pietro e Paolo. “Questi attacchi - prosegue - sono spesso istigati e originati non tanto dagli studenti, quanto piuttosto dai familiari ed è riduttivo legare il tema della violenza solo all’ambito scolastico”.

Preside ucciso

A far esplodere la questione sulla quale media e commentatori rilanciano polemiche che vanno oltre la cronaca, alimentando discussioni sulla sicurezza negli istituti, è l’omicidio il 7 maggio scorso a colpi di pistola di İbrahim Oktugan, 74enne preside di una scuola privata. Ad aprire il fuoco uno studente che ha agito per vendetta, perché era stato cacciato in base a motivazioni di natura disciplinare. L’uomo è deceduto in ospedale a causa delle gravi ferite riportate, mentre il giovane - un minorenne identificato con le iniziali Y.K., proveniente da una famiglia di immigrati iracheni - è stato fermato dalla polizia mentre cercava di fuggire. Ora si trova rinchiuso in un carcere minorile in attesa di processo per omicidio premeditato. 

La vicenda ha sollevato polemiche su diversi fronti: dal racconto fatto dai media al legame col mondo dell’immigrazione che alimenta ulteriormente le ondate di xenofobia, sino al tema della violenza scolastica che da tempo sembra strutturale. Episodi di bullismo verso compagni e insegnanti accadono con sempre maggiore frequenza e si verificano già a partire dall’età di sei anni: secondo lo studio Education Monitoring 2020, un bambino su tre ha sperimentato attacchi in classe, con un dato del 14% maggiore fra le ragazze. A questo si affianca il tema dell’immigrazione, sebbene non vi sia un’incidenza più significativa fra quanti provengono dall’estero anche perché, solo di recente, un insegnante è stato attaccato da uno studente (turco) armato di coltello. E una professoressa incinta ha subito violenza dai genitori di un alunno, anch’esso turco, con la stampa che non ha posto particolari accenti sulla nazionalità a differenza dell’omicidio del preside.

Le organizzazioni del comparto scuola, anche quelle tradizionalmente legate al governo e ai partiti di maggioranza, hanno manifestato il loro scontento con una giornata di sciopero. Tuttavia, quello della violenza è un tema che non riguarda solo l’istruzione ed è andato crescendo - e aggravandosi - negli ultimi 10 anni anche per politiche discriminatorie perseguite dall’esecutivo, a partire dalla disuguaglianza di genere. A ciò si collega lo scontro fra classi sociali e gruppi etnici, la sfiducia nella giustizia e un aumento generalizzato di ira e malcontento, unito ad una intolleranza reciproca. 

Una ‘questione sociale’

Quella che i sindacati e autorevoli esperti chiamano “emergenza scuola”, in realtà è parte di una questione più ampia che abbraccia l’educazione, la società e la politica turca degli ultimi due decenni, “in cui il sistema educativo è stato depotenziato. In Turchia - spiega p. Monge - vige l’obbligo scolastico dai sei ai 17 anni, il tasso di iscrizione alla primaria [stando alle statistiche ufficiali] è del 94% circa, che scende al 91% per un primo e parziale abbandono scolastico con la secondaria e si mantiene con l’istruzione superiore”. “Il problema - prosegue - è legato a un cambiamento nell’anima stessa della nazione, la violenza è il riflesso di tensioni sociali per una crisi economica drammatica e per tagli importanti dei fondi per l’istruzione”. Il governo aveva promesso “politiche di protezione dei bambini, per strapparli al lavoro minorile e l’obbligo scolastico sino a 17 anni andava in questa direzione, ma il calo significativo nelle politiche familiari e sociali” non ha permesso di arginare la deriva violenta. “Il numero di bambini tra i 15 e i 17 anni che lavorano per strada è aumentato di 110mila unità rispetto al 2011 - sottolinea il religioso, direttore del Centro studi DoSt-I (Dominican Study Institute) di Istanbul e dal 2014 consultore del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso – e il tasso di aumento del numero di minori lavoratori, che ha raggiunto i 620mila, è del 20%. Parallelamente, il ministero del lavoro e della Sicurezza sociale ha visto ridotto il budget per la ‘lotta al lavoro minorile’ da circa 1,2 milioni di euro nel 2023 a poco più di 825mila euro di quest’anno. Più denaro all’industria delle armi [come avevamo raccontato in questo articolo del passato], anche per l’effetto volano rappresentato dalla guerra in Ucraina”. 

Vi è poi il tema dei programmi scolastici, che in 22 anni di governo Akp (Partito della Giustizia e dello sviluppo del presidente Recep Tayyip Erdogan) ha registrato quattro revisioni, l’ultima di recente approvazione. “In due decenni vi sono stati - spiega p. Monge - cambiamenti significativi, legati a una visione morale-religiosa della vita e della società. Circa il 35% del materiale è stato tagliato dal nuovo curriculum, con la teoria dell'evoluzione limitata alla biologia secondaria, e il creazionismo finanziato da alcune denominazioni cristiane protestanti degli Stati Uniti.” Si lamenta poi una mancanza di educazione civica, a discapito di una “moralizzazione in senso religioso dei comportamenti che portano a considerare lo studente ideale non in base alla preparazione intellettuale, ma ai dettami morali di ispirazione islamica”. A questo si lega un aumento di scuole religiose (imam hatip), col sostegno del ministero per gli Affari religiosi (Diyanet), fra i pochi “ad aver beneficato di un costante aumento dei fondi. Nella sola Istanbul si stimano 10mila bambini dirottati dall’educazione pubblica verso scuole illegali a ispirazione religiosa. Non dobbiamo - spiega - pensare a un indottrinamento di stampo talebano, quanto piuttosto a un depotenziamento della capacità critica” funzionale a un futuro elettorato più manovrabile.

Istruzione al servizio del potere 

Il pesante intervento governativo sull’indipendenza degli atenei turchi e il forte controllo sui rettorati, successivo alle misure autoritarie seguite al fallito golpe del 2016, hanno causato una vera e propria “fuga di cervelli all’estero”. Sembrano lontane le battaglie per l’educazione pubblica di uomini e donne condotte da Mustafa Kemal Ataturk, padre fondatore della moderna Turchia presidenziale, che “l’aveva resa per decenni un modello all’avanguardia nel mondo islamico”. Sono tutti elementi in gioco, sottolinea il domenicano, “ma bisogna fare attenzione al quadro complessivo e capire che la violenza nelle scuole è solo la punta dell’iceberg”.

Depotenziare l’istruzione, non sostenere il futuro delle giovani generazioni bloccando l’inserimento del mondo del lavoro sono questioni legate alla grave crisi economica, conseguenza anche di politiche clientelari che hanno aumentato la corruzione. “Una nemesi - commenta p. Monge - perché questo era stato proprio uno dei temi che avevano guidato l’ascesa di Erdogan”. Ma la corruzione resta diffusa ed endemica, “messa a nudo dalle devastazioni provocate dal terremoto del febbraio 2023 con lo sbriciolamento di interi, lussuosi palazzi di recente costruzione” i cui appalti erano stati assegnati a imprese e personalità legate ai vertici del potere.

Tanti segnali che stanno a indicare forse l’inizio della parabola discendente del presidente, a dispetto di un suo confermato attivismo in politica estera. “Alle ultime elezioni presidenziali ha vinto, ma non ha trionfato” ricorda il religioso. “E il voto recente per le amministrative ha confermato una generale sconfitta dell’Akp al vertice delle principali città del Paese, oltre che a Smirne, che è un tradizionale feudo dell’opposizione, e con la conferma dei sindaci uscenti di Ankara e, soprattutto, Istanbul”. Nella capitale economica e culturale del Paese si gioca il futuro della Turchia, anche perché lo stesso Erdogan ha sempre usato il voto nella sua città natale come un referendum sulla sua persona. “In quest’ottica - spiega - si va affermando la figura dell’attuale sindaco Ekrem İmamoğlu, che è all’opposto come stile rispetto al presidente non solo nel messaggio e nei contenuti, ma anche nei toni pacati che si distaccano dall’approccio populista. Anche nelle vicende giudiziarie intentate contro di lui - conclude - egli non ha mai attaccato frontalmente i suoi avversari politici o la magistratura”. 

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