La tradizione delle Chiese siriache, strumento di dialogo con l’islam
Un incontro della Pro Oriente Forum Syriacum evidenzia il ruolo che la prurisecolare convivenza delle antiche Chiese della Mesopotamia con i musulmani può avere in materia di dialogo, testimonianza cristiana, coesistenza e cooperazione.
Salisburgo (AsiaNews) - Eredi di una plurisecolare tradizione di convivenza fianco a fianco con i musulmani, le Chiese di tradizione siriaca hanno ancora oggi un importante ruolo da svolgere in materia di dialogo, testimonianza cristiana, coesistenza e cooperazione. E’ la conclusione alla quale è giunto l’incontro svoltosi dal 14 al 16 novembre a Salisburgo, in Austria, su iniziativa della Pro Oriente, fondazione dell’arcidiocesi di Vienna, che nell’ottobre 2006 ha dato vita alla Pro Oriente Forum Syriacum. Essa riunisce studiosi della tradizione delle Chiese siriache ed ha l’obiettivo di promuoverne l’eredità e di lavorare per una migliore comprensione ed un reciproco arricchimento e di rafforzare la solidarietà.
"Le Chiese siriache incontrano l’Islam: esperienze del passato e prospettive del futuro“, tema del primo incontro accademico, ha visto gli interventi di studiosi provenienti da Iraq, Siria, Stati Uniti, Austria, Germania, Olanda, Italia, India e Francia.
Il quadro che ne è emerso parte dalla costatazione che, all’inizio, l’islam è entrato a stretto contatto con la cristianità dell’eredità e della tradizione siro-aramaica. L’antico periodo degli Umayyad è segnato da un atteggiamento aperto e tollerante verso i cristiani. Una delle ragioni prinicpali può essere stata nella necessità dei musulmani di ottenere le loro conoscenze economiche ed amministrative per governare ed organizzare i territori da poco conquistati (per esempio San Giovanni damasceno e suo padre).
Nell’atteggiamento dei musulmani nei confronti dei cristiani, ben presto si manifesta una certa ambivalenza, dettata dalle cicostanze sociali e politiche: a volte maggiore apertura e tolleranza, altre maggiore aggressività ed anche oppressione. Questa ambivalenza è facilmente giustificata sulla base di differenti versetti coranici.
I testi riguardo all’islam scritti in siriaco (circa 20) erano per lo più ad uso interno nelle comuità cristiane e riguardavano l’educazione ed il rafforzamento nella loro fede o aiutavano a rispondere ad alcune domande ed obiezioni avanzate dai musulmani. Quelli scritti in arabo, miravano a presentare i dogmi e la morale cristiani agli islamici. Alcuni di questi sono di natura apologetica, altri sono chiaramente polemici.
Il periodo Abbaside, inaugura un tempo di ampia e fertile scambio culturale come conseguenza della diffusione della lingua araba. Su incarico dei califfi, (bayt al-hikma-casa della saggezza) numerosi cristiani di tradizione siriaca intrapresero una sistematica traduzione – specialmente di argomenti riguardanti scienze, filosofia e medicina – dal greco in arabo, attraverso il siriaco. In tal modo, la conoscenza del mondo greco-romano fu disponibile come uno die fondamenti della cultura arabo-islamica. E attraverso la presenza araba in Spagna, questa eredità fu trasmessa ai cristiani europei del Medio Evo.
Nel XII e XIII secolo, dopo aver contribuito allo sviluppo della cultura araba, cristiani e musulmani sono vissuti in un comune ambiente culturale del quale condividevano i valori e le conquiste. Per esempio, il più famoso studioso siriaco occidentale del tempo, Bar Hebraeus, era capace di distinguere tra islam, come gruppo di credenti e come tradizione culturale e spirituale.
Per il periodo ottomano, l’attenzione degli interventi e della discussione è stata centrata sull’applicazione del sistema Millet, come un nuovo concetto che definiva lo status delle comunità religiose non musulmane. Il sistema ha avuto un impatto molto profondo sull’identità delle diverse comunità cristiane. Ha lasciato segni permanenti nella mentalità della gente ed anche nelle istituzioni. Moli die problemi che i cristiani del giorno d’oggi incontrano nel mondo islamico non possono essere compresi se non si tiene conto dell’esperienza del sistema Millet, che è sopravvissuto, in un modo o nell’alto, nei moderni Stati a maggioranza islamica. Il suo reale impatto resta ambiguo e necessita di ulteriori ricerche.
Il resoconto dell’esperienza indiana dell’islam culle coste malabaresi ha contribuito ad una più ampia comprensione della coesistenza cristiano-islamica. Esso ha anche illustrato come l’interferenza occidentale del periodo coloniale ha distrutto i modi tradizionali di convivenza.
Nelle conclusioni dell’incontro di Salisburgo, oltre ad evidenziare l’importanza dell’esperienza siriaca e del ruolo che essa può svolgere nel presente, si è espressa la speranza che possa aiutare i cristiani siriaci a conservare meglio ed a far fruttificare la loro ricca eredità ed offrire il loro contributo, che è unico, per la ricerca dell’unità die cristiani e per la costruzione di un migliore e fraterno rapporto con i loro vicini musulmani.
Alla conferenza di Salisburgo sono stati presentati i seguenti studi:
Il dialogo islamico-cristiano nelle fonti siriache. Una introduzione (Mar Louis Sako, Kirkuk, Iraq); Il siriacismo nel Corano arabo (Sidney Griffith, Washington D.C., USA – letto in sua assenza); Le Chiese siriache nel periodo Umayyad (661-750) (Mor Gregorios Yohanna Ibrahim, Aleppo, Syria); Le risposte cristiane nel periodo Umayyad (661-750) (Dietmar W. Winkler, Salzburg, Austria); Il contributo della cristianità della Mesopotamia durante il periodo Abbaside (Mar Bawai Soro, California, USA – letto in assenza); Il rinascimento siriano. Un periodo di dialogo interreligioso ed interculturale? (Herman Teule, Nijmegen, Olanda); Lo status personale dei cristiani nell’Impero ottomano (1453-1923) (Mar Mikhael Al-Jamil, Roma, Italia); L’incontro tra le Chiese siriache e l’islam nel periodo ottomano: alcuni aspetti (Martin Tamcke, Göttingen, Germania); I rapporti tra cristiani e musulmane sulla costa malabarese (Baby Varghese, Kerala, India) e Le minoranze cristiane nei Paesi del Medio oriente: una traccia della situazione presente e delle prospettive future (Joseph Yacoub, Lyon, Francia).
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