09/07/2024, 08.45
RUSSIA-LETTONIA
Invia ad un amico

La sorte difficile dei russi in fuga per aver detto no

di Vladimir Rozanskij

Il sito internet Silema racconta le condizioni dei profughi fuggiti per non combattere nella guerra contro l'Ucraina internati nel campo di Mutsenieka. I drammi di chi sta ai margini del conflitto in corso e non viene accolto né da una parte, né dall’altra.

Riga (AsiaNews/Agenzie) - Secondo gli uffici doganali della Lettonia, nel 2023 hanno attraversato illegalmente la frontiera dalla Russia e dalla Bielorussia 13.683 persone, e ne sono stati riconosciute profughi per ragioni umanitarie solo 428. Nel 2024 in tutto hanno cercato di entrare solo 126 persone, con un regime di più stretta sorveglianza ai confini, e solo alcuni hanno ottenuto la possibilità di rimanere legalmente nel Paese baltico. Sono persone che cercano una vita migliore e fuggono dalla guerra, che ieri ha mostrato nuovamente tutto il suo orrore con il missile lanciato contro l'ospedale pediatrico di Kiev. Uomini che non vogliono morire né uccidere, hanno timore delle mobilitazioni o di essere reclutati a forza nell’esercito degli invasori.

Sono cittadini della Russia, o migranti dell’Asia centrale che vivono in Russia, che aspirano a ottenere visti europei anche se attraversano clandestinamente le frontiere, si consegnano alle autorità e chiedono asilo. Mentre si valutano le loro richieste, vengono rinchiusi in campi di raccolta, ostelli o direttamente in prigione. Il sito Sistema ha cercato di entrare in contatto con loro, mentre attendono per mesi o anni il loro destino.

Uno dei campi profughi si trova a Mutsenieka, a pochi chilometri da Riga, la capitale della Lettonia, poco oltre l’enorme complesso dell’Ikea. Se ci si reca in autobus, alle ultime fermate non si trova più nessun cittadino lettone, e si è insieme a nigeriani, siriani, libici, marocchini, tagichi, uzbeki e russi di nazionalità mista, quelli più facilmente inviati al fronte, in un miscuglio di lingue e costumi nazionali. A Mutsenieka ci sono due centri, uno aperto e uno chiuso al pubblico, cioè un ostello e una prigione, con livelli di vita molto simili.

Nel centro “aperto” la differenza è il rumore e l’allegria, nonostante le condizioni non certo molto favorevoli. Ci sono molti volontari che portano qualcosa da mangiare, anche se il menu quotidiano non va molto oltre la ciotola di riso in bianco. Nel centro “chiuso”, come racconta Said, uno dei profughi, “c’è molto silenzio, ma si mangia molto meglio”; lui è rimasto rinchiuso per sei mesi, e ora vive nell’ostello, libero di parlare con i giornalisti. Il suo amico Ibrahim (nome di fantasia, non sia mai che venga rimpatriato in Russia), è stato trattenuto nel lager per due anni.

Uno dei corrispondenti è riuscito a farsi aprire la porta della prigione urlando in russo, finché una delle guardie è uscito dicendo “lo sapevo che solo un russo può venire in questi posti con le sue gambe, chi è che deve incontrare?”. Tutti i reclusi hanno comunque il diritto di incontrare le persone, chiamando con il telefono della prigione e accordandosi per l’appuntamento, e sottoponendosi all’ennesima perquisizione. I corrispondenti di Sistema sono riusciti a incontrare Ibrahim, in tuta sportiva, ben lavato e rasato, allegro e disponibile, che parla russo senza accento.

Il profugo racconta di essere un funzionario di una delle prefetture di una città del Caucaso, e mentre riparava uno dei computer aveva trovato dei documenti con una lista di persone che erano destinate al rapimento, per ottenere riscatti o da inviare alla guerra in Ucraina. Ibrahim ha deciso di avvisare tutte le persone minacciate di rapimento, e il giorno dopo la madre di uno di loro è venuta in prefettura a lamentarsi, dicendo che avrebbe scritto a Putin, e solo grazie a una brava persona era riuscita a far scappare il figlio.

La sera stessa Ibrahim è fuggito in Polonia, ma è stato fermato alla frontiera bielorussa, finché per altre vie, dopo vicissitudini tra la Francia e la Turchia, è finito nel lager della Lettonia, cercando di evitare il rimpatrio in Russia, che “sarebbe una condanna a morte”. Di storie come queste se ne raccolgono molte, sono i drammi di chi sta ai margini del conflitto in corso e non viene accolto né da una parte, né dall’altra, perché non esiste un versante dove vivono soltanto “i buoni”.

 

Foto: Flickr / Eduards Osis

TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
Dalla mite Riga una lezione di pace
22/07/2022 08:47
Papa nei Paesi baltici: in Lettonia, ci dicono di discriminare, ma scegliamo la fraternità
24/09/2018 16:44
Papa nei Paesi baltici: in Lettonia, unità dei cristiani è in chiave missionaria
24/09/2018 11:47
Dopo la Lituania anche Estonia e Lettonia escono dal forum guidato da Pechino
12/08/2022 12:05
Papa Francesco nei Paesi Baltici, tra memorie e speranze
21/09/2018 14:55


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”