La società civile denuncia: In Uzbekistan rischiamo la guerra civile
Tashkent (AsiaNews/Agenzie) - L'Uzbekistan potrebbe essere alle porte di una guerra civile. Di fronte al costituirsi di un movimento di protesta su ampia scala, la sociologa Maryam Ibraginova, residente a Tashkent, spiega che "un eventuale stravolgimento politico nel Paese assumerebbe senza dubbio la forma di uno smantellamento sanguinoso della dittatura o di un violento scontro intestino. Non di una rivoluzione pacifica".
Nell'arco dell'ultimo mese, il Democratic Birdamlik Popular Movement ha pubblicizzato su internet una 'rivoluzione colorata', non violenta, con l'intento di catalizzare le diverse voci del dissenso contro il presidente Islom Karimov, ex membro del Partito comunista dell'Unione Sovietica, e presidente dell'Uzbekistan dal 1991, anno dell'indipendenza.
Bakhodir Choriyev, autore delle linee guida del movimento, è un oppositore del governo uzbeko residente negli Stati Uniti ed è convinto che nel Paese possa nascere uno sforzo non violento, senza vittime, mirato a deporre il regime di Karimov. "Vogliamo festeggiare il 22mo anniversario dell'indipendenza uzbeka (1 settembre 1991) con un chiaro passo verso la riaffermazione della democrazia" spiega l'attivista.
Nelle scorse settimane, sul sito fergananews.com - che ha dato ampia risonanza all'iniziativa - si è sviluppato un ampio dibattito al quale hanno partecipato diverse personalità del panorama intellettuale uzbeko. Tra queste, sia il blogger Yadgor Norbutev, che la sociologa Maryam Ibragimova, concordano nell'affermare che qualsiasi tentativo di sollevamento popolare porterebbe con ogni probabilità a una rivoluzione sanguinosa e alla disgregazione del Paese.
Secondo Yadgor Norbutev, "la popolazione uzbeka, soprattutto nelle campagne è troppo timida e sottomessa alle autorità per poter sposare le proteste"; mentre Maryam Ibragimova, la quale tratteggia un profilo accurato del sistema politico creato da Karimov, è convinta del fatto che il regime possa fare ancora affidamento sul sostegno delle classi privilegiate: dai liberi professionisti ai funzionari statali, troppo corrotti per rivoltarsi contro il presidente. "Inoltre - aggiunge la sociologa - se un sollevamento popolare dovesse aver luogo, vi sarebbero solo due soluzioni possibili: i Servizi segreti e l'esercito si unirebbero per instaurare una dittatura militare, oppure, nello scenario più drammatico, entrambi gli organi sarebbero paralizzati dalla corruzione e il caos degenererebbe in un conflitto civile. A questo punto il Paese sarebbe facile preda di separatisti, islamisti, narcotrafficanti e di grandi potenze come Russia, Cina e Stati Uniti".
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