23/10/2024, 08.45
ARMENIA-AZERBAIGIAN
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La protesta degli armeni dell'Artsakh

di Vladimir Rozanskij

Le ong del Nagorno-Karabakh in piazza contyro la chiusura del gruppo di Minsk, l’unica istituzione in possesso di un mandato internazionale per il conflitto con l'Azebaigian. A un anno dalla campagna militare di Baku, gli esuli armeni vivono tuttora in condizioni precarie a Erevan o in accampamenti e nelle zone vicine alla frontiera, nella speranza di tornare nella patria nativa. 

Erevan (AsiaNews) - I rappresentanti delle Ong dell’Artsakh, il Nagorno Karabakh riannesso all’Azerbaigian, hanno organizzato un’azione di protesta presso il palazzo del ministero degli esteri di Erevan, chiedendo alle autorità di non sottostare alla pretesa di Baku di sciogliere il gruppo di Minsk dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, l’unica istituzione in possesso di un mandato internazionale per il conflitto tra Armenia e Azerbaigian.

Artur Grigoryan, uno dei rappresentanti delle associazioni, ispirate dal movimento “Tavowš in nome della patria” dell’arcivescovo Bagrat Galstanyan, ha comunicato di aver consegnato un appello al ministro degli esteri Ararat Mirzoyan, sottoscritto dai membri di oltre 50 gruppi che già a fine settembre avevano presentato analoga richiesta al presidente dell’Osce Ian Borg, il vice-premier di Malta.

Nel documento il “popolo dell’Artsakh” ricorda gli impegni della repubblica dell’Armenia nella difesa del Nagorno Karabakh, in accordo con le norme del diritto sia nazionale, sia internazionale. “L’Azerbaigian pretende sfacciatamente dall’Armenia di firmare una richiesta congiunta di scioglimento del gruppo dell’Osce, ma le autorità di Erevan non devono sottomettersi a questa e altre imposizioni delle autorità di Baku, perché sarebbe umiliante e priverebbe tutti gli armeni dei loro diritti più importanti”, ha affermato Grigoryan, insistendo sul fatto che “la difesa degli interessi dei cittadini dell’Artsakh e dei meccanismi internazionali che li garantiscono, è un aspetto della più importante questione della difesa degli interessi nazionali dell’Armenia”.

Oltre al vescovo Galstanyan, ha espresso il suo pieno appoggio il presidente del Partito Rivoluzionario dell’Artsakh, Artur Osipyan, secondo il quale “il problema del Nagorno Karabakh rimane aperto, e la comunità internazionale non ha dato una definizione esaustiva; perfino i membri dell’Onu hanno dichiarato che lo status della repubblica indipendente deve ancora essere risolto, è un compito di tutto il mondo armeno”.

Gli appelli dei cittadini armeni, ormai profughi, della regione passata sotto il controllo degli azeri, si sono rinnovati dopo il primo anniversario della conquista bellica del 20 settembre 2023, realizzata con un’azione militare di aggressione estesa all’uso di armi pesanti, artiglieria e aviazione d’assalto. Il 28 settembre l’allora presidente dell’Artsakh, Samvel Šakhramanyan, era stato costretto a sciogliere tutte le istituzioni repubblicane, e dal 1° gennaio 2024 l’Artsakh aveva smesso ufficialmente di esistere.

Il popolo degli armeni della regione occupata è stato costretto a un esodo biblico, di oltre 115 mila persone, recandosi nella patria storica, dove tuttora vivono in gran parte in condizioni precarie, senza mai rinunciare a difendere i propri diritti, ritenendo illegittima l’annessione dell’Artsakh all’Azerbaigian. Il governo di Erevan ha realizzato una serie di programmi per assistere i gruppi dei profughi per le necessità più urgenti e per la loro integrazione in Armenia, con una sezione speciale del ministero delle politiche sociali.

Molti profughi hanno trovato una sistemazione pur provvisoria nella capitale e in altre città, ma un numero considerevole vive ancora in accampamenti e nelle zone vicine alla frontiera con l’Azerbaigian, nella speranza di tornare nella patria nativa dell’Artsakh. Una di queste zone è la provincia di Tavowš, da cui la guida della locale eparchia, l’arcivescovo Bagrat, ha guidato il grande movimento popolare di protesta che chiede le dimissioni del ministro Nikol Pašinyan e dell’intero governo, giudicato arrendevole e “traditore”, avendo consegnato senza resistenza l’Artsakh all’Azerbaigian. Lo accusano di essere anche pronto a cedere altri territori, senza difendere l’integrità e l’identità della patria armena.

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