La primavera uzbeka, dopo anni di quasi-stalinismo
Da quasi due anni, il nuovo presidente Shavkat Mirziyoyev sta liberalizzando il Paese, aprendo l’economia a investimenti stranieri di oriente e occidente, amnistiando gli oppositori politici. Vi è una rinascita culturale e turistica. Un modello di convivenza interreligiosa fra musulmani e cristiani.
Mosca (AsiaNews) - Lo scorso 18 ottobre a Mosca è stato inaugurato un monumento in onore del primo presidente dell’Uzbekistan, Islam Karimov, uno dei grandi “satrapi” orientali ereditati dal regime sovietico in Asia centrale. Lo stesso giorno, il presidente russo Vladimir Putin è volato a Taškent per una visita ufficiale; l’ultima visita era stata due anni fa negli stessi giorni, proprio ai funerali di Karimov. L’interesse della Russia per questo Paese non è trascurabile, vista la grande partita geo-politica che si gioca nella regione insieme a Cina e Stati Uniti.
A parte le grandi strategie internazionali, è interessante il confronto tra lo sviluppo dell’Uzbekistan e quello dei Paesi circostanti, compresa la Russia. Il passato sovietico ha giocato qui un ruolo fondamentale, e solo ora sembra stia iniziando una transizione a dimensioni più aperte della politica e dell’economia, mentre la Russia si sta sempre più richiudendo a imitazione del regime novecentesco.
L’ex-primo segretario del partito comunista in Uzbekistan, appunto Karimov, ha guidato il Paese senza interruzioni dal 1989 al 2016, conservando il sistema economico sovietico e imponendo un regime molto autoritario, lasciando alle opposizioni e a ogni forma di dissenso un’unica scelta: quella dell’esilio. Tutti i tentativi di manifestare ogni pensiero alternativo sono finiti con la carcerazione di centinaia di persone.
Negli ultimi due anni, il clima nel Paese è decisamente cambiato, tanto da parlare di “disgelo” come ai tempi di Khruščev in URSS, o addirittura di “primavera uzbeka”: è stato liberalizzato il corso del dollaro, i prigionieri politici sono stati amnistiati, si è cominciato a sviluppare il turismo e invitare nel Paese gli investitori stranieri. La liberalizzazione uzbeka è stata lodata da molti organi di stampa occidentali, compreso il New York Times. Da diversi Paesi si organizzano spedizioni, sostenute dalle stesse autorità uzbeke, alla ricerca di miniere d’oro, che sembra giacere in abbondanza nel sottosuolo.
Uno dei principali miliardari belgi, Patokh Chodiev, è un cittadino di origine uzbeka, che ai tempi del crollo del comunismo si occupava dei rapporti commerciali tra Unione Sovietica e Giappone. Dopo aver accumulato una fortuna all’estero negli anni di Karimov, facendo affari soprattutto col Kazakistan, oggi è uno dei protagonisti della rinascita in patria, avendo rifondato la squadra di calcio del Pakhtakor di Taškent, una delle formazioni più gloriose dei tempi sovietici. Chodiev sta costruendo un nuovo stadio per i tifosi, ma ha anche aperto un club intellettuale, dove gli uzbeki di successo da tutto il mondo si riuniscono per discutere il futuro della nazione. Un suo compagno di scuola, Alisher Usmanov, è diventato uno degli uomini più ricchi della Russia, e sta costruendo un gigantesco gruppo turistico a Bukhara, sede dell’antico khanato mongolo, e un grande istituto di studi islamici nella capitale Taškent.
Il nuovo presidente Shavkat Mirziyoyev ha ricevuto il potere quasi per successione dinastica da Karimov, dopo essere stato suo primo ministro per 15 anni. Senza criticare il predecessore, ha velocemente impostato un grande programma di cambiamento, aprendo agli influssi esterni di oriente e occidente. La svolta ha suscitato stupore perché sotto il regime di Karimov, Mirziyoyev non aveva mai lasciato trasparire alcun orientamento liberale, rimanendo sempre piuttosto defilato.
Le riforme avvengono sempre accompagnate alle lodi del leader defunto, in onore del quale è stato costruito un solenne memoriale a Samarcanda, la più antica città dell’Uzbekistan, centro della leggendaria “via della seta” asiatica che oggi si vuole ricostruire. Anche il monumento moscovita rientra in questa esaltazione del passato, necessaria a camuffare il rinnovamento presente.
In Uzbekistan, tra l’altro, si sperimenta un importante modello di tolleranza religiosa. Accanto alla maggioranza musulmana convivono pacificamente un 10% di cristiani, per lo più ortodossi, ma anche protestanti e cattolici, che hanno la propria amministrazione apostolica indipendente dal 2005, retta dal francescano Jerzy Maculewicz. Il governo è impegnato a difendere i confini dai tentativi di penetrazione dei combattenti dell’Isis, in fuga dalla Siria, che si stanno concentrando in prevalenza proprio nei Paesi dell’Asia centrale.
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