La periferia russa che protesta contro la guerra
Nella località siberiana di Čita il 1° maggio un raduno promosso dai comunisti locali è diventato l'occasione per rispolverare slogan pacifisti di sovietica memoria contestando il conflitto di oggi in Ucraina. E ora si stanno vietando anche molte manifestazioni locali del 9 maggio - il giorno della Vittoria - per evitare proteste.
Mosca (AsiaNews) - In diverse città della Russia si è approfittato delle manifestazioni pubbliche in onore della Festa del Primo Maggio, tradizionalmente molto sentita sia per il valore ideologico e simbolico ereditato dai tempi sovietici, sia perché si tratta della data a cui si attribuisce l’inizio del disgelo, con gite e feste nei boschi e presso i laghi, dove si rompe il ghiaccio per tuffarsi nella vita che rinasce. In questo caso, è stata anche l’occasione per sfuggire alla retorica bellica, condivisa dalla stragrande maggioranza della popolazione per conformismo e sottomissione, quando in realtà molti vorrebbero avere la possibilità di esprimere sentimenti di pace.
Alla periferia della città di Čita in Siberia si è riunito un gruppo di manifestanti con cartelli Niet Voine, “No alla Guerra”, e Miru Mir, “Pace al Mondo”, dopo che le autorità della regione del Zabajkal avevano negato la richiesta avanzata dai comunisti locali del Kprf di radunare il tradizionale meeting in centro città. In centinaia si sono così diretti verso il parco della frazione di Tekstilščikov, vicino alle fabbriche tessili che danno lavoro a molte persone. Le forze dell’ordine hanno cercato di impedire l’accesso alla zona, dove alla fine sono riuscite a radunarsi solo poche decine di persone.
Come ha affermato il deputato della Duma regionale Jurij Gajduk, si stavano organizzando anche gli iscritti ai sindacati della zona, a cui è giunto un ordine tassativo di non presentarsi al raduno. Si è presentata solo una rappresentante sindacale, ma ha avuto timore di intervenire sul palco. Oltre a evitare proclami pacifisti, come ha spiegato Gajduk, le autorità locali temevano anche le contestazioni al governatore Aleksandr Osipov, in relazione al peggioramento delle condizioni sociali ed economiche, che comincia a farsi sentire soprattutto nelle zone periferiche della Federazione russa.
Secondo il deputato “non conta tanto il numero ridotto delle persone che si sono riunite, ma anche la totale assenza dei mezzi d’informazione, che avrebbero potuto trasmettere il nostro messaggio a tutto il popolo… C’erano solo un paio di giornalisti dei media statali: tanto quelli la verità non la raccontano mai”. Del resto, se si fossero presentati dei giornalisti indipendenti, anch’essi non avrebbero potuto diffondere nulla, perché “li avrebbero sbattuti immediatamente in galera, magari con una condanna a vita”.
I pochi partecipanti hanno comunque parlato della guerra in Ucraina, come un altro deputato regionale, Vladimir Kurbatov, che ha detto: “Io non volevo prendere il microfono, ma questa mattina si è rivolta a me una donna a cui hanno tagliato la luce in casa, e ha il marito che sta combattendo in Ucraina. Lei non ha i soldi per pagare le bollette, e quello che il marito guadagna al fronte non si sa se e quando potrà arrivare. Lo ha spiegato ai funzionari dell’energia elettrica, dichiarandosi disponibile a pagare prendendo soldi in prestito… Sapete che cosa hanno fatto quei capitalisti? Se ne sono andati in ferie, lasciandola senza luce con tre bambini piccoli. Lo Stato promette di aiutare le famiglie dei nostri soldati, ma in realtà di casi come questo ce ne sono tanti; se non è la luce, manca perfino la legna”.
Le critiche dei presenti non si sono quindi limitate alle autorità locali, ma sono arrivate fino a mettere in dubbio le capacità e i proclami del presidente Putin, accusato di mettere in crisi l’intero Paese per la mania della guerra in Ucraina. L’avvocato Aleksandr Ždanov, esponente dell’associazione “Solidarietà civile”, lamenta che “anche se nel Codice Penale si chiariscono quali sono le formule punibili per discredito delle Forze Armate, in realtà si viene arrestati solo per la scritta Niet Voine, che era uno slogan dello Stato stesso fin dai tempi sovietici, mentre ai propagandisti si permette di urlare cose indicibili e criminali, incitando perfino a lanciare le bombe atomiche”. Ždanov avverte che “anche se il 90% della popolazione sostiene la propaganda, con la guerra nucleare il 90% della popolazione sparisce per sempre”.
Gli effetti della crisi economica rendono sempre più tesa la sensazione di impotenza e sconfitta anche verso la guerra. Per questo si stanno vietando ovunque perfino le manifestazioni del 9 maggio, data ancor più simbolica di una Vittoria, che ormai sembra essere sempre più improbabile e fasulla.
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