01/09/2010, 00.00
ISLAM – STATI UNITI
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La moschea a Ground Zero, tra islamofobia e fondamentalismo islamico

La proposta di costruire un luogo di culto musulmano vicino ai luoghi simbolo dell’11/9 ha scatenato polemiche. Il tema, rilanciato dal Centre Européen d’Etudes Arabes, ha raccolto l’opinione dei lettori che parlano di “paura, panico e tensione”. P. Samir Khalil Samir, gesuita ed islamologo, sottolinea l’aspetto “politico”, invita i musulmani a indagare le ragioni alla base dell’islamofobia e auspica una “reinterpretazione” dei passaggi del Corano in cui si invita alla violenza.

Parigi (AsiaNews) – La proposta di costruire una moschea a Ground Zero, New York, a poca distanza dai luoghi simbolo degli attentati dell’11 settembre 2001 ha scatenato dibattiti e polemiche negli Stati Uniti e nel mondo. La vicenda è seguita con attenzione anche dal Centre Européen d’Etudes Arabes, con sede a Parigi in Francia, che ha proposto un quesito ai lettori e raccolto pareri – contrastanti – di personalità musulmane. Il centro riporta anche una riflessione e un commento di p. Samir Khalil Samir, sacerdote gesuita ed islamologo, promotore in prima persona del dialogo interreligioso fra le grandi fedi monotsite.

Il Centro ha chiesto ai propri lettori se la ragione delle “obiezioni” dei cittadini americani alla costruzione di “una moschea a New York” sia di natura “religiosa o politica”. Al-Husaini Mohamed Muslim, professore universitario in Belgio, spiega che “non si tratta questioni religiose o politiche”, ma di “un complesso di paura”, perchè “statunitensi ed europei temono i musulmani e l’islam a causa del terrorismo”. Wedwed, nickname di uno scrittore del Regno unito, punta il dito contro il “comportamento scorretto” dei musulmani che “continuano ad attaccare le altre religioni” e “ si rendono impopolari”, invitandoli a “ritornare al vero [spirito] dell’islam”. Fra i commenti riportiamo anche quello di Ayman, egiziano, attivo nel campo della finanza che ricorda come “la moschea è un luogo di preghiera e di incontro spirituale”. Egli aggiunge anche che un rifiuto “non è contro l’islam”, ma contro “la gente musulmana” e parla di “panico e tensione”, ma “col tempo” vi sarà “maggiore comprensione”.

Da questi primi commenti, cui si aggiungono altre riflessioni di musulmani americani, a giudizio di p. Samir emergono tre aspetti rilevanti: innanzitutto le reazioni vanno inquadrate nel “contesto politico” degli Stati Uniti, che si avvicinano alle elezioni di medio termine, e le opinioni del presidente Barack Obama o del sindaco di New York possono essere “pura politica”; la scelta del luogo, a due passi da Ground Zero, può essere vista come “provocatoria” o quantomeno “indelicata”, come sottolineato dagli stessi musulmani americani; infine, ricorda il sacerdote gesuita, è “innegabile” che l’islam generi una “paura” in molti. Essa viene definita “islamofobia”, ma non necessariamente nel senso di “aggressività contro l’islam”.

In tema di islam e islamismo, p. Samir sottoliena che è giusto non confonderli ma “questo discorso non sarà credibile finché le autorità religiose non avranno chiaramente e pubblicamente inventariato e reinterpretato i passaggi del Corano e gli hadit in cui si invita alla violenza”. Il sacerdote auspica una revisione del testo musulmano, alla luce della “non violenza e tolleranza”. Egli propone inoltre una “collaborazione fra esperti delle tre religioni monoteiste”, siano essi religiosi e laici, che possa essere “fruttuosa per tutto il mondo”. P. Samir conferma infine l’esistenza dell’islamofobia in quanto “paura dell’islam”: essa “non è priva di fondamento” e “più che condannarla, bisogna cercarne le cause per porvi rimedio”.

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