La morte del teatro in Russia
Tra le vittime dell'“operazione militare speciale” in Ucraina c’è anche un punto di forza della cultura nazionale russa. Con registi, attori e ballerini costretti a soccombere alla propaganda belligerante o a perdere il lavoro a cui hanno dedicato la vita.
Mosca (AsiaNews) - Il giornalista e commentatore Valerij Panjuškin ha lanciato dalle pagine del sito “Sistema” un grido d’allarme per la triste fine del teatro in Russia, una gloria della cultura nazionale che ora è costretta a soccombere alla propaganda belligerante del regime putiniano. Molti artisti e registi contrari alla guerra in Ucraina hanno già lasciato il Paese, le opere degli autori “non sicuri” vengono tolti dai repertori, e i nomi degli sceneggiatori “non degni di fede” sono cancellati dai cartelloni e dai programmi delle sale teatrali. Si chiudono anche gli spettacoli dove sono presenti attori che si sono espressi in modalità dissonanti rispetto all’operazione militare speciale, e quelli che rimangono in Russia preferiscono tacere, anche se pure questo può non essere sufficiente: spesso viene richiesto l’appoggio esplicito alla politica ufficiale.
I protagonisti del mondo della cultura devono trovare forme creative per affermare i “valori tradizionali”, per infangare i nemici e smascherare i traditori; molti lo fanno con sincero trasporto, ma la maggior parte si limita a delle allusioni. A guidare questa “mobilitazione culturale” non è neppure il ministero della cultura, ma le armate dei canali Telegram e altri mezzi social, che “giocano un ruolo nella cultura russa simile a quello che nell’antica Grecia era affidato agli oracoli”, osserva Panjuškin.
Il giornalista ricorda una serie di episodi che si sono succeduti dall’inizio dell’invasione in Ucraina, come quando proprio il 24 febbraio 2022, nella sala dell’accademia di Perm “Teatre-Teatre” era prevista la prima dello spettacolo Maskarad della ballerina Anna Abalikhina. Alla fine, invece di applausi e inchini, tutti sono rimasti in un silenzio di gelo. La stessa Anna ricorda che “nessuno si sentiva di giustificare la guerra, né gli artisti né gli spettatori, non è normale festeggiare il terrore e le tragedie”.
Gli attori discutono tra loro se sia giusto andare in scena in queste condizioni, come spiega un’attrice famosa, Čulpan Khamatova, “ne abbiamo discusso a lungo con Ženja Mironov” (un’altra stella del teatro russo), “che cercava di convincermi mentre stavamo per uscire con il ‘Maestro e Margherita’ che non possiamo tradire il nostro pubblico, soprattutto quello più giovane, cerchiamo almeno di trasmettere dei valori più grandi della guerra”. La Khamatova ha deciso di imbarcarsi su un aereo per la Lettonia, e solo dopo essere scesa ha scritto a Mironov che non sarebbe tornata, e ora lavora al Nuovo Teatro di Riga, dove è riuscita a far arrivare anche le figlie.
Tanti altri sono scappati subito dopo l’inizio della guerra, come il regista Dmitrij Krymov, che è volato a Philadelphia, dove al teatro Wilma ha subito messo in scena il cechoviano “Giardino dei ciliegi”. La Abalikhina era invece rimasta, ma a settembre dell’anno scorso ha telefonato allo sponsor dei suoi spettacoli di danza, dicendo: “Scusate, non ce la faccio più!”. Poco dopo la direttrice del teatro, Svetlana Guzij, è intervenuta a sostegno dell’operazione militare, mettendo una grande lettera Z sulla facciata del teatro. La ballerina ha pensato “almeno non sarà a mio nome”, pur avendo perso il lavoro e i guadagni.
Ad altri è andata peggio, dovendo pagare forti penali per la sospensione degli spettacoli, o finendo addirittura in galera. Mironov, uno delle figure più rappresentative di tutto il mondo teatrale russo, non parla con i giornalisti non statali e non russi, per cercare di salvare il Teatro delle Nazioni di Mosca; “per lui quella sala è tutta la vita”, assicurano i suoi amici. Aveva ottenuto il teatro in gestione nel 2006 quando praticamente stava cadendo a pezzi, cercando i soldi per il restauro e l’acquisto di macchinari teatrali moderni; i primi spettacoli, come i “Racconti di Puškin”, venivano provati dagli artisti nei bar della zona, per mancanza di spazi. Lì si sono riuniti per anni i migliori attori: Julia Peresild, Ksenja Rappoport, Andrej Smoljakov e altri, con registi del livello di Andrej Mogučij, Timur Bekmambetov, Stefan Braunschweig, Robert Wilson, e proprio la versione del “Maestro e Margherita” del canadese Robert Lepage era considerato un capolavoro assoluto anche dai critici. Finché si è arrivati agli arresti eccellenti come quello di Evgenija Berkovič, condannata addirittura per “istigazione al terrorismo” per il suo “Finist, il Corvo Bianco”. Come conclude Panjuškin, “allora bisogna considerare terroristi quasi tutti i registi e gli attori russi, e siamo ormai molto vicini a questo esito finale”. Il teatro russo scompare dalla scena, nel gelo della guerra.
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