La libertà è il più grande nemico del fondamentalismo islamico
Una rivoluzione della morale non della rabbia
Per Wael Faroq i fatti di piazza Tahrir hanno mostrato il cambiamento spirituale e morale del popolo egiziano. “La gente – afferma – si è resa conto che era possibile mutare le condizioni del proprio Paese attraverso le proprie domande e desideri. I manifestanti non sono stati pilotati da nessuno, non sono andati dietro a un partito o a una ideologia, ma hanno creduto negli ideali di libertà e giustizia”. Secondo il professore è questa la grande novità della rivolta, unica nel mondo arabo insieme a quella tunisina. “Mubarak – spiega – ha avuto paura della piazza perché questo tipo di rivolta non fa parte della nostra tradizione. Lui non è riuscito a sopprimere la rivolta proprio perché incapace di confrontarsi con un cambiamento delle coscienze”.
Wael Farouq sottolinea che le manifestazioni sono state organizzate da giovani cristiani e musulmani, che hanno lavorato insieme prima, durante e dopo la rivoluzione senza partire dalla divisione religiosa, ma dalle proprie domande e desideri. “Durante la rivoluzione – racconta - non c’è stato nemmeno un episodio di aggressione contro le chiese. Ho visto con i miei occhi i musulmani proteggere i cristiani durante gli scontri e viceversa”. Secondo il professore, a quasi sei mesi dalle rivolte perdura questa unione, nonostante gli ex uomini del regime tentino in tutti i modi di fermare questo cambiamento. Ciò è dimostrato dai recenti attacchi contro le chiese copte compiuti dai salafiti. “Questi elementi estremisti – afferma - ricevono soldi dall’estero e sono guidati dagli uomini del vecchio establishment. Per questa ragione la battaglia non è fra cristiani e musulmani, ma fra egiziani di entrambe le fedi e gli elementi legati al vecchio regime, che non vogliono uno stato democratico e civile”.
La libertà, vera arma contro l’estremismo islamico
Secondo Wael Farouq gli ideali della rivoluzione stanno influenzando anche lo storico movimento religioso dei Fratelli Musulmani, accusato da più parti di cavalcare il vuoto lasciato da Mubarak e trasformare l’Egitto in uno Stato islamico. “Il rischio di una deriva estremista dell’Egitto – spiega – è ragionevole ed è giustificato da molti fattori. Tuttavia, in questa nuova realtà i Fratelli Musulmani non mi fanno paura”. Lo studioso sottolinea che l’ideologia dei Fratelli Musulmani ha subito profondi cambiamenti dopo la rivoluzione di piazza Tahrir ed è giusto che essi abbiano la possibilità di partecipare alla vita politica del Paese. “Dopo la rivoluzione – afferma - il movimento si è diviso in quattro partiti e lo è tutt’ora. La parte più liberale che ha aderito alle manifestazioni si è messa contro la leadership del movimento, chiedendo trasparenza e allontanandosi da posizioni fondamentaliste. Altri leader vogliono una divisione fra politica e religione e si sono staccati dalla parte più radicale dei Fratelli Musulmani”.
Secondo Wael una parte del movimento ha compreso che la popolazione non vuole uno Stato islamico, ma laico. Infatti, nel programma di Giustizia e Libertà, partito legato ai Fratelli Musulmani ammesso alle elezioni, si fa riferimento a uno Stato civile, basato sulla tradizione islamica e non sulla sharia. Essi sarebbero anche diposti ad accettare un cristiano come presidente. “A partire dal 1950 – sottolinea - i gruppi fondamentalisti hanno vissuto sotto regimi autoritari, che li hanno perseguitati e messi al bando, ma non hanno mai vissuto in regimi realmente democratici. La libertà è il più grande nemico del fondamentalismo. Per questa ragione io supporto il diritto dei Fratelli musulmani a partecipare alle vita politica, questo anche per isolare le componenti più radicali”.
I giovani di piazza Tahrir e la costruzione del nuovo Egitto
Wael Farouq spiega che dopo il Meeting del Cairo, avvenuto nell’ottobre 2010, e in seguito ai fatti di piazza Tahrir sono nati diversi gruppi di lavoro composti da giovani cristiani e musulmani e guidati da docenti e professori di varie università. “Queste persone – afferma - non sono attivisti politici, ma stanno aiutando i vari partiti liberali a coordinare la loro agenda politica in vista delle elezioni parlamentari di settembre. Molti di questi coordinatori hanno lavorato come volontari al Meeting del Cairo e hanno fatto con me dei corsi di formazione”. Il professore sottolinea che da queste attività è nato un comitato internazionale per discutere e comprendere come poter coordinare i movimenti liberali a partire dagli ideali emersi in piazza Tahrir. Il fine è creare un unico fronte liberale per le prossime elezioni parlamentari. “Ci stiamo battendo – afferma Wael - per ottenere una nuova costituzione che difenda i diritti delle minoranze in quanto cittadini egiziani”.
Tuttavia, per il professore il vero problema del popolo egiziano resta la crisi economica, aumentata con l’instabilità politica. “Dopo la rivoluzione – afferma - noi possiamo divedere la popolazione in tre gruppi: le persone che si sono arricchite con il regime di Mubarak, gli attivisti liberali e i milioni di egiziani che hanno sostenuto la rivoluzione, ma non vi hanno partecipato, seguendo i fatti alla televisione”. Wael spiega tutta questa gente ha riposto grandi speranze nella rivoluzione, ma la crisi economica dell’Egitto rischia di spegnere il loro desiderio di cambiamento. Secondo il professore i Paesi occidentali oltre a sostenere gli ideali della rivoluzione, devono aiutare in modo concreto anche la rinascita dell’economia egiziana, investendo nel Paese e risollevando il turismo, principale motore economico dell’Egitto. (S.C.)