La lettura politicizzata dell'ayatollah di una dichiarazione teologica del Papa
di Fady Noun
Padre Samir Khalil Samir replica all’ayatollah libanese Mohammed Hussein Fadlallah che ha criticato l’appello di Benedetto XVI alla evangelizzazione.
Beirut (AsiaNews) – L’ayatollah libanese Mohammed Hussein Fadlallah, uno dei riferimenti mondiali dello sciismo, ha criticato domenica scorsa una recente chiamata di Benedetto XVI all’evangelizzazione del mondo. Un appello nel quale il Papa difende il principio della libertà religiosa in tutte le sue dimensioni : morale, sociale e di fede.
Il dignitario sciita si è espresso in un comunicato in quattro punti, del quale sintetizziamo l’essenziale.
Pur riconoscendo che l’appello alla predicazione religiosa è “una cosa naturale”, l’ulema osserva che l’evangelizzazione in questione, che tocca in particolare “regioni musulmane” cade in concomitanza ad “una campagna mondiale (…) mirante a deformare l’immagine dell’islam, presentato come un nemico della civilizzazione e del progresso dell’umanità”. “C’è da chiedersi - afferma Fadlallah - se esiste una concomitanza di interessi e di obiettivi tra l’appello del papa, la campagna ostile all’islam e le azioni militari di ingerenza negli affari di diversi Paesi islamici”. Dal che “ricordarsi delle amare esperienze di evangelizzazione del passato, venute nei nostri Paesi sulle spade dei crociati”.
Il dignitario sciita aggiunge ancora che “l’appello all’evangelizzazione lanciato dal papa si aggiunge a due precedenti prese di posizione: la prima ha tradito l’essenza dell’islam, considerato dal papa come una religione in contraddizione con la ragione e la libertà, la seconda in rapporto con quello che Benedetto XVI ha chiamato il ritorno del popolo ebreo sulla sua terra dopo 3mila anni, sapendo bene che quella entità compie le aggressioni più selvagge contro i più elementari diritti dell’uomo sulla sua terra”.
L’ulema ha tuttavia riconosciuto che “l’appello all’evangelizzazione fa parte della libertà di espressione”, ma si è chiesto “perché, allora, si fa un così grande clamore quando si tratta della ‘dawa’ (la ‘chiamata’ a seguire l’islam, ndr) musulmana?”.
Fadlallah ha aggiunto ancora che “la predicazione religiosa deve farsi, in generale, in un quadro culturale che fa riferimento alla ragione ed alle prove, sulla base del rispetto della persona e delle sue convinzioni e non sfruttando alcuni punti deboli dell’uomo, siano essi economici e culturali”. In conclusione, egli ha invitato tutti i musulmani del mondo ad eliminare quello che egli considera come “una analfabetismo religioso islamico” ed “a fare fronte a tutte le campagne che descrivono l’islam come la religione della violenza, dell’arretratezza, del terrorismo, della violazione dei diritti dell’uomo e dell’eliminazione dell’altro”.
Una informazione inesatta
“Mi sia permesso di lamentare qui una informazione imperfetta ed una lettura politica di un discorso teologico sulla missione della Chiesa”, replica da Beirut, in risposta a tali critiche padre Samir Khalil Samir, gesuita, direttore del Centro di documentazione e ricerca arabo-cristiana (Cedrac) dell’Università Saint-Joseph, una delle più antiche e prestigiose del Libano.
“In effetti – aggiunge – il Papa ricorda spesso l’obbligo della Chiesa di annunciare il Vangelo ed offrirne il messaggio al mondo intero, compresi i Paesi musulmani. Questa inclusione, ha apparentemente colpito l’imam Fadlallah. Ma se il Papa insiste per includere i Paesi islamici è proprio perché in questi Paesi il diritto di annunciare il Vangelo è negato ed in molti di loro, coloro che lo annunciano, come coloro che lo accolgono, vanno incontro a gravi pene”.
Le Crociate
“L’appello del Papa – aggiunge padre Samir - è stato messo anche in rapporto con le crociate, un salto indietro quasi di un millennio. Bisogna però sapere che le crociate non sono mai state un progetto di evangelizzazione dei musulmani, né in via di principio, né di fatto. Erano un progetto di autodifesa, secondo la mentalità medioevale”.
“L’imam sostiene che il Papa rimprovera all’islam di essere in contraddizione con la ragione e di essere una apologia della violenza. Ora, una cosa del genere non è stat mai detto, e neppure pensata da Benedetto XVI. Il Papa ha semplicemente sostenuto che c’è un pericolo reale, nell’islam contemporaneo, di rifiutare la razionalità e la libertà che da essa discende. E il Papa non ha neppure ceduto al mito del ‘ritorno’ degli ebrei in terra di Israele, come gli si rimprovera. Sia ben chiaro che il termine ‘ritorno’ non è stato mai usato da Benedetto XVI, né dal suo predecessore. Ricordando poi che il Vaticano è stato uno degli ultimi al mondo a riconoscere Israele e che l’ha fatto solo dopo che Yasser Arafat aveva riconosciuto ‘il diritto di Israele di vivere in sicurezza all’interno di frontiere ricoosciute’, cosa che fece a Tunisi il 9 settembre 1993. Il grande rabbino di Roma, Elio Toaff, per lungo tempo ha rimproverato a Giovanni Paolo II di non aver riconosciuto esplicitament lo Stato di Israele”.
La “libertà di espressione”
”Ciò detto, sembra di grande interesse il commento dell’imam Fadlallah sul diritto alla evangelizzazione ed alla ‘dawa’ musulmana, in quanto provenienti dalla libertà di espressione. E’ indispensabile che questo diritto sia affermato da tutti i responsabili cristiani e musulmani e che si organizzi una campagna comune per concretizzare questo diritto sia nella costituzione che nella pratica giudiziaria”.
”D’altro canto, le affermazioni dell’imam sulle condizioni di applicazione della libertà di espressione non appaiono affatto benvenute. Il dovere dell’annuncio, in effetti, deve far parte di un discorso religioso, morale e culturale, senza sfruttare nemmeno un po’ i bisogni economici o altri delle persone. Questo appello mi fa venire in mente una dozzina di trattati di autori medievali che definivano i criteri della ccettazione disinteressata di una religione. In parole più semplici, musulmani e cristiani debbono respongere qualsiasi atto di proselitismo che ha in sé una qualsiasi forma di costrizione”.
”Quanto all’appello conclusivo dell’imam, mi sembra importante. Noi soffriamo, effettivamente, come egli dice, di un ‘analfabetismo religioso’. In Medio Oriente più che altrove, soffriamo di violenza, di arretratezza e do violazione dei diritti dell’uomo. La questione è di sapere se si tratta di campagne condotte contro l’islam o se non siamo invece davanti ad una realtà molto particolare, messa in evidenza ed a volte, è vero, spinta all’eccesso dai media. Se i media criticano il mondo musulmano per questi motivi, forse c’è una ragione. Bisogna aver timore che questo complesso, diffuso nel mondo musulmano, di vederci sempre come vittime non ci impedisce di vedere e di affrontare i nostri problemi reali, di fronteggiare i nostri demoni”.
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