La guerra turca ai curdi si combatte anche sui media: censura, arresti e siti oscurati
Il Consiglio supremo per radio e televisioni mette a tacere ogni voce critica dell’operazione militare. Elogi per i media che “contribuiscono all’unità nazionale”. Cronisti arrestati per aver rilanciato dichiarazioni ufficiali delle forze arabo-curde. Nel Paese in atto da giorni un blocco mirato dell’accesso a internet. Una censura superiore a quella post-golpe 2016.
Istanbul (AsiaNews) - L’offensiva lanciata dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan contro i curdi in Siria si combatte anche, sul fronte interno, nel mondo dei media e della comunicazione; una guerra a colpi di censura su tv, giornali e social network, di arresti di oppositori e critici o di semplici cittadini che mettono in dubbio le politiche di Ankara. Una conferma arriva dal Consiglio supremo per radio e televisioni (RTÜK), che in una nota ufficiale diffusa in questi giorni minaccia di “mettere a tacere” le voci contrarie all’operazione “fonte di pace”.
“Non tollereremo trasmissioni - affermano i vertici RTÜK - che servano allo scopo del terrorismo, o che possano disinformare i nostri cittadini con informazioni false o tendenziose”. Per questo saranno presi provvedimenti rigorosi contro questi organi di informazioni; al tempo stesso, il consiglio supremo per radio e tv elogia invece quanti “contribuiscono all’unità nazionale” diffondendo veline governative.
Nei giorni scorsi un paio di cronisti sono stati arrestati per aver rilanciato dichiarazioni ufficiali delle Forze democratiche siriane (Sdf), l’alleanza arabo-curda protagonista della lotta contro lo Stato islamico (SI, ex Isis), oggi nel mirino delle truppe di Ankara. Non solo giornalisti, ma anche decine di internauti sono finiti dietro le sbarre per aver condiviso post sui social che hanno indispettito le autorità di governo.
Il responsabile dei servizi digitali del quotidiano online BirGün è stato incriminato per “aver instillato inimicizia e odio” nel popolo e non potrà lasciare il Paese. Egli dovrà rispondere in base all’articolo 216 del codice penale turco, per aver usato notizie “ricevute da agenzie” nella scrittura di un pezzo pubblicato sul sito. Anche in questo caso, l’unica fonte ammessa è quella ufficiale.
Un altro aspetto che differenzia la censura messa in atto in questi giorni è che risulta mirata e colpisce alcune zone in particolare del Paese, come il sud, mentre in altre aree gli accessi a sociale e siti web risulta più regolare. Per la zona meridionale, vicina al confine siriano e dove si concentra il maggior numero di curdi, il blocco si spiega con la necessità di impedire l’accesso o lo scambio di informazioni fra oppositori.
Secondo il sito Netblocks, fra i più importanti nel rilevamento della censura in rete, la Turchia ha messo nel mirino i social più popolari come Facebook, Instagram, Twitter e Whatsapp che risultano inaccessibili in tre grandi centri del sud: Gaziantep, Şanlıurfa e Hatay. Dietro il blocco vi sarebbe la mano di Türk Telekom, il principale provider del Paese partecipato per alcune quote anche dallo stesso governo turco.
Vi è poi infine un dato interessante da rilevare in tema di censura: in occasione del (fallito) golpe del luglio 2016, le autorità avevano tagliato per intero l’accesso alla rete su scala nazionale, ma solo per alcune ore. Oggi, invece, l’oscuramento è selettivo, riguarda solo alcune zone del Paese e si protrae ormai da diversi giorni. Un segnale che anche dal punto di vista tecnico, sottolineano gli esperti, “le capacità stanno migliorando” e questo è fonte di “preoccupazione” per minoranze, dissidenti politici e oppositori. “Non è la prima volta che succede - sottolinea il direttore ricerche di Freedom House Adrian Shahbaz - e non sarà certo l’ultima”.
14/10/2019 08:56