La guerra russa contro il terrorismo
Quando un qualunque contenuto viene considerato una minaccia, non è più importante quanto questo rischio sia reale, e quanto siano efficaci le misure per contenerlo: importante è dare l’impressione che “tutto è sotto controllo, non ci sfugge niente” delle intenzioni malvagie della gente.
Una delle affermazioni più roboanti del discorso di Putin sulla piazza Rossa, peraltro in generale abbastanza fiacco e ripetitivo, pronunciato durante le celebrazioni per la Vittoria del 9 maggio, è stata la giustificazione della guerra della Russia contro il “terrorismo internazionale”. Questa espressione ha indicato nell’ultimo ventennio il pericolo proveniente per il mondo intero dall’estremismo islamico di Al Qaeda o dell’Isis, oggi ormai fantasmi del passato, mentre il terrore viene evocato, e allo stesso tempo provocato, proprio dalla Russia di Putin.
Da più parti in Occidente si vorrebbe indicare nella famigerata compagnia Wagner la “nuova Al Qaeda”, mettendo Putin e Prigožin sullo stesso piano di Bin Laden e del mullah Omar. Da parte russa si indicano i droni ucraini sulle torri del Cremlino come replica degli aerei sulle Torri Gemelle di New York, con un effetto decisamente farsesco e paradossale. E soprattutto i russi definiscono “atti terroristici” gli attentati contro diverse figure molto esposte nella propaganda putiniana, che si susseguono ormai da alcuni mesi.
Il 20 agosto 2022, nella provincia di Mosca, fu fatta saltare in aria la macchina dell’ideologo “eurasista” Aleksandr Dugin, in cui sedeva la figlia Daria, anch’essa protagonista attiva della propaganda. Il 2 aprile 2023 si è disintegrato con una statuetta di esplosivo il voenkor Maksim Fomin, alias Vladlen Tatarskij, voennij korrispondent (“corrispondente di guerra”), uno dei principali e assatanati blogger-propagandisti. Il 6 maggio, nei pressi di Nižnij Novgorod, è saltata in aria un’altra macchina, quella del noto e talentuoso scrittore Zakhar Prilepin, che si vantava del numero degli ucraini uccisi durante la sua partecipazione al conflitto, insieme al suo autista morto nell’esplosione. Questi tre episodi sono stati definiti come “terrorismo” ucraino e occidentale contro la Russia.
Lo stesso giorno dell’attentato a Prilepin, a Mosca è stata arrestata la regista Ženja Berkovič insieme alla sceneggiatrice Svetlana Petrijčuk, proprio con l’accusa di “giustificazione del terrorismo”. Non certo per aver in qualche modo approvato gli attentati o i droni, ma per lo spettacolo Finist, il falco chiaro, in scena dal 2021, sulle donne russe che emigrano in Siria per diventare mogli dei terroristi dell’Isis. È questo il terrorismo preferito dagli investigatori russi, che si può “smascherare” stando comodamente seduti alla tastiera del computer in ufficio, da dove osservare le opere teatrali e letterarie, o soltanto i vari post sui social network. Come “sostegno pubblico al terrorismo” viene indicata “l’espressione sia diretta che mascherata di simpatia per i terroristi”, anche in “film documentari o artistici, o in opere letterarie o pubblicistiche”. Tale sostegno può essere contenuto nelle parole dell’autore, ma anche attraverso i protagonisti positivi dell’opera, e senza essere contestato dalla logica della sceneggiatura. Insomma, basta il pensiero.
Il terrorismo è dunque l’ultima definizione del “nazismo” e “globalismo”, da cui la Russia è chiamata a difendere sé stessa, l’Ucraina e il mondo intero. È la versione più ampia del termine, che non riguarda solo attentati dinamitardi o attacchi aerei, ma ogni forma di violenza giustificata politicamente, a seconda del punto di vista di chi la denuncia. Del resto, le tante stragi provocate dalle bombe russe in Ucraina, come quella recente di Umani, sono ormai considerate non solo “crimini di guerra” come quelle di Buča e Mariupol, ma dei veri e propri atti di terrorismo internazionale.
L’ambiguità del termine si trascina da ben prima della guerra ucraina, indicando nel terrorismo sia le politiche repressive degli Stati, sia le azioni più o meno violente di protesta contro gli Stati considerati illegali o repressivi. Il “terrore putiniano” degli ultimi anni, in continua escalation a partire dall’annessione della Crimea nel 2014, evoca sia il “terrore rosso” della guerra civile seguita alla rivoluzione del 1917, sia il “terrore staliniano” degli anni Trenta, che ha sterminato con l’arcipelago del Gulag ogni forma di dissenso interno nell’Urss. Il termine deriva dal Terreur giacobino dopo la rivoluzione francese nel 1793-94, che intendeva inculcare questo sentimento nell’animo dei nemici della rivoluzione stessa.
Il terrorismo ha poi ricevuto nuove applicazioni negli anni Settanta, per indicare le azioni sovversive dei palestinesi contro Israele, ma anche quelle dei gruppi radicali europei di destra e sinistra, soprattutto in Germania e Italia. Negli anni Novanta post-sovietici si indicava principalmente il “terrorismo ceceno”, per soffocare il quale fu scelto Vladimir Putin come nuovo primo ministro. Egli promise, nella sua prima dichiarazione pubblica, che “andremo a prendere i terroristi ovunque si nascondano, anche al cesso”, inaugurando la nuova stagione della “Russia forte” con il suo tipico linguaggio di strada.
Come osserva sulla rubrica Signal di Meduza la ricercatrice Liza Stampnitsky, il nuovo significato di “terrorismo” è una “invenzione dei politici e degli esperti nel campo della sicurezza”. Chiamare qualcuno “terrorista” significa “dichiararlo irrazionale, amorale e sanguinario, per di più destinato alla sconfitta nella lotta con lo Stato”. Non sono definizioni per cercare di capire gli avvenimenti, ma soltanto per costruire l’immagine del nemico.
La categoria del terrorismo è diventata indispensabile per tutti gli Stati contemporanei, anzitutto per giustificare il monopolio della violenza, che secondo la classica definizione di Max Weber, è la “funzione originaria dello Stato”. Nell’interesse per la “sicurezza”, lo Stato stesso estrae dall’ambito legale alcuni metodi di lotta politica, non per forza violenti, come il blocco delle strade o il divieto di accesso agli edifici del potere, come avvenuto a Mosca per la parata del 9 maggio, affermando di vedere delle minacce alla sua sovranità. Gli Stati più autoritari affibbiano la qualifica di terroristi a tutti i loro oppositori, ricorrendo per primi nei loro confronti ad azioni tipicamente terroristiche, dal sequestro di persona all’avvelenamento, infliggendo torture e condanne infinite.
Negli ultimi decenni, oltre ottanta Stati hanno inserito nella propria legislazione particolari articoli e misure anti-terrorismo, e la guerra russa sta facendo aumentare ulteriormente tale pratica, soprattutto rivelando le dimensioni senza limiti del “terrorismo virtuale” dei messaggi e narrazioni on-line che generano tendenze estremistiche, quindi “terroristiche”. Quando un qualunque contenuto viene considerato una minaccia, non è più importante quanto questo rischio sia reale, e quanto siano efficaci le misure per contenerlo: importante è dare l’impressione che “tutto è sotto controllo, non ci sfugge niente” delle intenzioni malvagie della gente.
E dire che la Russia è uno dei Paesi con la maggiore esperienza storica del terrorismo; nel XIX secolo, dopo la “liberazione dei contadini” decisa dallo zar Alessandro II, spuntarono come funghi le organizzazioni decise a sovvertire l’ordine dello Stato, fino alla famigerata Narodnaja Volja, la “Volontà del Popolo”, la madre di tutte le associazioni rivoluzionarie fino ai bolscevichi di Lenin, che dopo oltre sessanta tentativi riuscì ad assassinare lo zar nel 1881. I suoi seguaci, i narodovoltsy, ritenevano che la violenza fosse giustificata, perché la mancanza di libertà in Russia (quella concessa ai contadini era ritenuta insufficiente) non permetteva altri mezzi di lotta politica. Tutto questo fu mirabilmente descritto da Dostoevskij nei Demoni, profezia della rivoluzione dei Soviet nel 1917.
Le insurrezioni ottocentesche, in Russia e in tanti altri Paesi, hanno poi ricevuto un’aura romantica, che sta alla base delle rivoluzioni del Novecento. Oggi è rimasto solo l’effetto, per cui i terroristi sono tutti coloro che non corrispondono all’ideologia dominante, e quindi sono semplicemente “nazisti”, “fascisti” e così via, riducendo le differenze geopolitiche, sociali ed economiche a occasioni di schieramento fazioso. La Russia sta imponendo ulteriormente nel mondo intero un annullamento di ogni idea di Stato e di società, parlando di “valori da difendere” senza alcun contenuto reale, ma solo nell’interesse della propria parte, usando ogni mezzo a disposizione, incutendo terrore nell’animo di ogni essere umano.
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