La difesa della vita nell'India dell'aborto e dell'eutanasia
di Jeanette Pinto
Jeanette Pinto, prolife della diocesi di Mumbai, ha offerto la sua testimonianza al Congresso missionario indiano, su invito di mons. Agnelo Gracias, responsabile della Commissione Famiglia nella Conferenza dei vescovi indiani. Per Jeannette la difesa della vita è divenuta una vocazione. “Pensavo che l’aborto fosse un fenomeno dell’occidente”, ma la “cultura della morte” uccide migliaia di bambini anche in India.
Mumbai (AsiaNews) - Sono cresciuta in una famiglia numerosa. I miei genitori sono stati sempre a favore della vita con i loro 12 figli. Io sono la maggiore. Sono cresciuta in una piccola cittadina e ho un ricordo felice dell’infanzia passata con i miei fratelli. I miei genitori ci hanno dato una buona educazione trasmettendoci i valori del rispetto, dell’obbedienza e dell’aiuto vicendevole.
Io sono pienamente convinta che Dio ha un disegno ed un compito per ogni persona. Nulla accade a caso. Il compito della mia vita era di essere insegnante e l’ho svolto con impegno per oltre 40 anni. Felicemente sposata, con due figli maschi ed una vita che ruotava attorno ai miei tre uomini di casa.
Nel 1985 - avevo una quarantina di anni - rimango vittima dell'inquinamento. Continui e violenti episodi di bronchite mi hanno fatto ammalare di asma. Vengo ricoverata più volte in preda agli attacchi e questo spegne i miei sogni e demolisce la mia vita che fino ad allora procedeva serena. Cado in depressione. E a peggiorare la situazione, rimango vedova di mio marito a 48 anni. Poco dopo i miei figli lasciano casa per frequentare la scuola superiore. Poi la mia asma peggiora e non sono più in grado di insegnare. Alla fine decido di ritirarmi volontariamente dalla scuola senza avere un piano su cosa fare e come continuare la mia vita.
All’improvviso mi sono sentita abbandonata ed in balia dei venti. Un giorno, durante uno dei tanti episodi di asma che mi toglie il fiato, urlo: “Signore, abbi pietà di me”. Sono come schiacciata a terra, ansimante per tirare un solo un respiro. Nel bel mezzo della mia lotta sento una voce lieve, che mi sussurra le parole del vangelo di Matteo (19,21): “Non aver paura, vieni e seguimi”.
Nelle mie orecchie risuona un chiamata potente. Sento che è lo spirito del Signore e allora chiedo: “Dove Signore, dove devo seguirti? Mostrami la via”. Il mio respiro torna ad calmarsi. Lentamente sono avvolta da una sensazione di pace e in silenzio mi sottometto e abbandono al Signore. Sussurro: “Signore, fa di me ciò che desideri. Non la mia, ma la tua volontà”. Da quel momento in poi ho lasciato che fosse il Signore ad occuparsi della mia vita.
Allora non sapevo nulla di iniziative in difesa della vita. Ma stranamente, Dio mi fa conoscere un signore ottantenne, Kevin Fernandes, che condivide con me la sua agonia e la sofferenza per la triste vicenda dei bambini mai nati, che gli angustia il cuore. Io sono libera e non ho un impiego. Lui mi chiede di partecipare ai programmi di sensibilizzazione che organizza con il suo gruppo tra gli studenti di scuola superiore e college . Vedo i documentari “Il grido muto” e “L’eclisse della ragione”. Rimango scioccata scoprendo i modi in cui avvengono le uccisioni dei bambini mai nati. Non riesco a capire quale madre disumana possa uccidere un bambino senza voce, innocente e indifeso. Pensavo che l’aborto fosse un fenomeno dell’occidente, ma mi rendo conto che in India, il Medical Termination of Pregnancy Act del 1971, ha scatenato questa violenza silenziosa anche nella nostra società producendo migliaia di aborti.
Una voce dentro di me mi ha invitato ad un impegno missionario, ad andare ad insegnare alla gente che “aborto” significa “uccidere”, “assassinio nell’utero materno”, e che è contro “la legge di Dio”. Un bambino è un prezioso dono di Dio, nessuno ha il diritto di togliergli vita. Ma non mi sento degna. Cosa so io dell’aborto per andare in giro a insegnare? Sono una professoressa di storia dell’Asia, dell’Europa e del mondo. Mi dico: “Non posso farlo. Chi mi starà ad ascoltare?” Ma come posso stare in silenzio davanti a quest'opera del demonio. Mi tornano alla mente le parole di Lois McMaster Bujol che scriveva: “I morti non possono chiedere giustizia; è dovere di chi vive fare questo per loro”.
Le mie preghiere ed una fiducia profonda in Dio mi assicuravano che quando Dio da un compito ti sostiene. È una vocazione nella vocazione, significa che devo tornare ad insegnare. Ma c’è anche il fatto che soffro di asma: che dire delle mie condizione di salute? Questo pensiero mi fa sentire debole e senza forza. Apro la Bibbia ed i miei occhi incontrano la seconda lettera ai Corinti (12, 9) e leggo: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Subito mi sento rinfrancata. Infatti ero stata scelta da Dio. Certo. Dio non chiama chi è capace. È lui che rende capaci quelli che chiama.
Con mia sorpresa un giorno il card. Simon Pimenta mi chiama nel suo ufficio. Mi parla della sua angoscia davanti alla “cultura della morte” che prende il sopravvento nel mondo d’oggi e in particolar modo nella nostra città e nell’arcidiocesi. Mi chiede di cominciare ad impegnarmi nel Ministero per la vita.
Per me è stata una chiamata che ho accettato con umiltà rispondendo: “Farò del mio meglio”. E così nel 1997 nasce il Comitato diocesano per la vita. Nel 1998 partecipo alla Conferenza mondiale per la vita a Toronto e lì incontro p. Paul Marx, OCB, fondatore di Human Life International. Mi benedice e mi dice: “Dottoressa Pinto, lei è la nostra sola speranza in India”. Sento questa frase come un investitura e la conferma che Dio ha posto questo carico sul mio cuore. Sono la sua messaggera in difesa della vita e la mia missione è predicare “il Vangelo della vita che è al cuore del messaggio di Gesù”.
Con tristezza, tuttavia, ho presto realizzato che nessuno voleva sentire nulla di difesa della vita. Gli anni ’60 e ’70 hanno ormai devastato la cultura della vita che allora era prevalente. Nessuno vuole sentirsi dire verità come “la vita comincia con il concepimento”, “l’aborto è l’uccisione di un bambino mai nato” e “la contraccezione è un peccato”. Ben poche coppie usano i metodi naturali quando hanno facili soluzioni a portata di mano. Gli scienziati vogliono sostituirsi a Dio e sostengono l’eutanasia e la clonazione.
Il punto della questione è che viviamo in una cultura asfissiata dai media dove non c’è quasi spazio per la realtà, la verità i valori. Amore, sesso e sessualità sono ovunque, nulla è ormai più sacro. La gente vuole il piacere del sesso senza conseguenze, e quindi noi, che siamo impegnati nella difesa della vita, veniamo criticati, guardati con cinismo e ridicolizzati. Siamo sfidati a discutere difendendo il Papa e gli insegnamenti della Chiesa cattolica. Ma la mia fede, la mia fiducia e obbedienza nella parola di Dio mi legano e impegnano nella missione. Nonostante tutto, io persevero con pazienza in questo ministero.
Oggi, a dodici anni di distanza, la nostra arcidiocesi celebra ogni anno la Giornata della Vita, pubblica un bollettino trimestrale, ha istituito i “Monumenti per i bambini mai nati” e creato consapevolezza sui diversi problemi legati alla vita. Con orgoglio, ma anche in tutta modestia, posso dire che abbiamo inciso non solo nella realtà della nostra diocesi, ma abbiamo acceso l’attenzione anche in altre diocesi del Paese. Questo ministero ha cambiato la mia vita. Sono lieta di aver avuto il coraggio di rispondere alla chiamata e dare tutta la mia vita.
Cosa possiamo fare per essere difendere la vita? Il primo passo avviene nella proprie case. Ogni famiglia affronta problemi diversi. Avete genitori, nonni o membri anziani, date loro un po’ del vostro tempo, della vostra comprensione e compassione per attenuare le loro difficoltà e alleviare le loro sofferenze. Mettetevi nei loro panni. Combattete i sentimenti di inutilità e contribuite a rendere gioiosa la loro vita.
Se qualche membro della famiglia soffre forme di dipendenza o se nella casa c’è disarmonia che incrina i rapporti, dovete mostrare amore e apprezzare ogni piccola cosa che viene fatta. Potete rispondere al sentimento di angoscia generato da errori e difetti con la vostra comprensione, i suggerimenti e consigli.
Possono esserci bisogni particolari che toccano i bambini del vicinato. Potete insegnare, giocare, passare del tempo con loro ed anche offrire momenti di riposo per i loro genitori. Se capita che una minorenne incinta confidi a voi le sue ansie e paure, immedesimatevi con lei, consigliatela e siate per lei un sostegno saldo. Pregate per lei e con lei.
Potete anche diventare un volontario Prolife del Comitato per la vita, offrendo il vostro tempo o varando iniziativa per aiutare altri. Aiutate a asciugare le lacrime dei cuori addolorati, ascoltate le loro afflizioni con amore e fate vostre le loro pene. Aiutate le speranze ed i sogni della gente rendendoli vostri. Per essere prolife, tutto quel che vi serve e fondare la vostra vita sul “rispetto per la dignità che Dio ha donato ad ogni persona perché questa è la nostra eredità divina”.
Vedi anche