07/05/2024, 08.45
KIRGHIZISTAN
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La crisi del settore tessile in Kirghizistan

di Vladimir Rozanskij

Con i suoi 200mila lavoratori è una componente importante dell'industria locale, ma non riesce più a essere concorrenziale sui mercati internazionali. A pesare è il crollo del rublo, ma anche il costo del lavoro più alto rispetto a Bangladesh o Vietnam che impone un salto di qualità nella promozione dei propri prodotti.

Biškek (AsiaNews) - Il presidente dell’Associazione della moda e del tessile in Kirghizistan, Zafarbek Sulaymanov, è intervenuto in questi giorni sulla stampa per lamentare le condizioni sfavorevoli degli operatori del settore, che sta vivendo un periodo di forte crisi. Si tratta di una realtà molto importante dell’industria kirghisa, con oltre 200mila operatori, che non riesce a essere concorrenziale sui mercati internazionali, cedendo molte posizioni al vicino Uzbekistan.

Una delle cause indicate da Sulaymanov in un’intervista ad Azattyk è il crollo del rublo, la valuta russa che condiziona le operazioni nel tessile, che fino a due anni fa rendeva molto fruttuoso il commercio. Molti materiali necessari vengono acquistati in dollari, gli stipendi vengono pagati in som kirghisi e la vendita si effettua in rubli, che oggi diventano un terminale effimero dell’intera operazione. All’inizio il rublo era crollato molto in basso, distruggendo i piani del settore della moda e anche quelli dei commercianti nei bazar.

Gli imprenditori kirghisi non si sono persi d’animo e hanno reagito con prontezza, cercando di convertire tutto il giro d’affari in som kirghisi, a partire dai costi fissati in dollari. Si sono però accumulati altri problemi con i volumi delle produzioni, soprattutto nel confronto con l’Uzbekistan, dove è tradizionalmente più forte il settore della maglieria rispetto al tessile kirghiso. E una parte considerevole dei clienti si è spostata verso la Cina, dove il periodo della pandemia si è protratto più a lungo, e come spiega Sulaymanov “subito dopo hanno ripreso le attività accettando maggiori compromessi e distribuendo grandi sussidi”.

Il governo di Biškek l’anno scorso ha proposto agli imprenditori del settore di passare a un diverso approccio commerciale, unendo i maggiori gruppi in cluster e attirando i brand più noti a livello mondiale. In uno dei centri più interessati a Kara-Balte si è avviata in effetti un’attività comune kirghiso-uzbeka, e in seguito anche a Džalal-Abad, sostenuti dai fondi comuni dei due Paesi per lo sviluppo, con prevalenza della parte uzbeka. Il presidente ritiene però che siano “pensieri fantasiosi” quelli dell’invito in Kirghizistan di Zara o H&M, che ragionano su altri parametri: “Io stesso ho invitato una grande azienda a lavorare da noi: mi hanno commissionato un milione di magliette sportive a 1 dollaro l’una, ma a queste condizioni per noi è impossibile lavorare, e se sono andati in Bangladesh”.

Il tessile kirghiso non è pensato per mercati di massa e di basso livello, dove non è possibile reggere la concorrenza di altri Paesi con minori costi del lavoro e retribuzioni. Il Kirghizistan del resto è costretto a importare il cotone, non avendo una produzione di base sufficiente, e ha un alto costo del lavoro, con stipendi che variano da 400 a 800 dollari mensili, a fronte dei 150-200 del Bangladesh o del Vietnam, o perfino dello stesso Uzbekistan. Secondo Sulaymanov “è necessario orientarsi su altri segmenti di mercato, quelli econom-plus dove si possono piazzare non i milioni di magliette, ma centinaia di migliaia di buoni prodotti”.

I kirghisi lavorano il tessile sostanzialmente in subappalto, “anzi in sub-subappalto”; servirebbe un salto di qualità, imitando Paesi come la Turchia e la Cina con una produzione propria “made in Kirghizistan”, spiega l’imprenditore, raccontando che negli ultimi tempi gli operatori del tessile kirghiso hanno cercato agganci a Londra e a Milano. “I nostri colleghi inglesi e italiani si sono stupiti de fatto che noi lavoriamo con le stesse tecniche e gli stessi macchinari, ma non abbiamo un nostro brand internazionale”; serve una riqualificazione completa del settore per acquistare autorevolezza nei mercati.

La concorrenza mondiale nel tessile è molto forte, e per resistere molti imprenditori kirghisi hanno cominciato a far venire lavoratori a buon mercato da altri Paesi, dal Pakistan o dallo stesso Bangladesh, lasciando senza lavoro molti locali. “Serve maggiore impegno e disciplina”, conclude Sulaymanov, “il nostro settore si è sviluppato in modo caotico e guardando agli interessi della singola ditta”, mentre il Kirghizistan di oggi è chiamato a un salto di qualità per diventare un Paese più moderno ed efficiente, a partire dai settori cruciali della sua economia.

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