La corruzione in Tagikistan è ‘sistemica’
Lo denuncia Transparency International. Dušanbe al 150° posto su 180 Paesi nella lotta alla corruzione. Un problema che riguarda tutte le ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale e del Caucaso. Le autorità tagike cercano di nascondere il fenomeno.
Mosca (AsiaNews) – La sezione per l’Asia centrale di Transparency International ha pubblicato il suo indice di diffusione della corruzione per il 2021, mettendo il Tagikistan al 150° posto su 180, nel gruppo dei primi 30 Paesi di questa classifica negativa. Come afferma Oltina Mirzobekova, consulente di Transparency, la corruzione in Tagikistan riveste un “carattere sistemico”.
Secondo questa indagine, la maggioranza dei tagiki ritiene che le tangenti, l’appropriazione di fondi statali, l’impotenza del governo a eliminare il fenomeno, il nepotismo e altri problemi simili sono diventati ormai abituali. Come esempi, la Mirzobekova cita “la mancanza di indipendenza degli organi giuridici e di difesa del diritto”, la “non trasparenza nel lavoro degli organi statali, che non rendono conto di nulla alla popolazione” e anche “la presenza di conflitti d’interesse, soprattutto ai massimi e medi livelli del potere”.
I giornalisti di Radio Ozodi hanno provato invano a chiedere un commento su queste valutazioni all’Agenzia statale per il controllo finanziario e la lotta alla corruzione, che già gli anni scorsi aveva fatto sapere di non ritenere credibili queste inchieste internazionali. Nei mesi scorsi il presidente Emomali Rakhmon aveva riconosciuto ingenti perdite nelle spese pubbliche per fenomeni corruttivi, oltre un miliardo di somoni (circa 80 milioni di euro) nel 2019-2020, dei quali 693 milioni erano stati rimborsati dal bilancio statale.
Molti esperti sostengono che le statistiche non riflettano la situazione reale, ed esistano schemi corruttivi molto estesi per suddividere il denaro pubblico. Il presidente viene criticato per aver dato vita a un “governo familiare”, che crea le condizioni per la corruzione. Il capo dell’Agenzia anti-corruzione, Sulaimon Sultonzoda, ha comunicato in diverse conferenze stampa dei mesi scorsi che i suoi collaboratori hanno avuto “oltre 700 colloqui e incontri” con funzionari dei ministeri e degli enti statali e regionali, producendo un vasto materiale documentale.
Secondo Šukrat Latif, esperto in questioni sociali, questi annunci sono “soltanto propaganda, assolutamente inefficace”. Egli ha osservato che in una situazione in cui le persone hanno paura a denunciare un funzionario per non attrarre sulla famiglia conseguenze negative, queste dichiarazioni risultano decisamente poco incisive.
Un giornalista tagiko, Ekub Khalimov, ha svolto numerose indagini sui fenomeni di corruzione, riportando molte testimonianze di persone comuni che s’incontrano con pubblici ufficiali e consegnano mazzette, per esempio “alla frontiera tagiko-uzbeka, dove i doganieri prendevano di continuo bustarelle, le procedure sono spesso così complesse, che alla gente non rimane altra scelta che pagare”. Il fatto è che “non si può mantenere una famiglia di 4-5 persone con uno stipendio di 1.000-1.500 somoni”, osserva Khalimov.
Un altro esperto come Musaffar Olimov, ricercatore dell’organizzazione Šark di Dušanbe, ritiene credibili le cifre di Transparency International, “tenendo conto delle condizioni del nostro Paese, difficili da verificare fino in fondo”. In ogni caso, a suo parere “i problemi della lotta alla corruzione dipendono dalla coscienza sociale delle persone, che spesso sono conniventi con i corruttori per risolvere i propri problemi. Bisogna cambiare la mentalità diffusa, cominciando a rifiutare le mance di 20 somoni per qualunque richiesta”.
Negli ultimi 10 anni, secondo le inchieste internazionali, tutti i Paesi ex sovietici hanno in generale un diffuso problema di corruzione, soprattutto in Asia centrale e nel Caucaso, ma forse le cose cominciano a cambiare, nonostante i tentativi dei regimi al potere di tappare la bocca ad ogni protesta.
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