La campagna di Putin verso le nuove elezioni
Il presidente non ha ancora annunciato la propria candidatura. Potrebbe farlo a dicembre. Si parla infatti di un piano alternativo, per cui Putin sarebbe già pronto a indicare il suo delfino: si tratterebbe di Aleksej Djumin. Intanto arrivano nuovi governatori e potrebbero esserci nuovi ministri.
Mosca (AsiaNews) - Si moltiplicano sulla stampa e tra l’opinione pubblica russa le ipotesi sulle future scelte del presidente Vladimir Putin, anche e soprattutto in ordine alla prossima campagna presidenziale, in vista delle elezioni previste per il 18 marzo 2018 (la data simbolica dell’annessione della Crimea). Alcune scelte e nomine regionali delle ultime settimane lasciano prevedere una serie di cambiamenti in un sistema “verticale” ormai ventennale, che ultimamente ha presentato diversi segni di affaticamento.
Secondo fonti attribuite ai vertici del partito presidenziale “Russia Unita”, riportate dall’agenzia “Medusa”, Putin presenterà ufficialmente la propria candidatura al quarto mandato presidenziale solo a dicembre, durante l’annuale messaggio all’Assemblea federale. Questa volta il presidente si dovrebbe presentare come indipendente e non a nome del partito, per marcare la sua superiorità rispetto alle parti e la sua figura di “padre della patria”.
L’amministrazione presidenziale sta preparando una rete di canali Telegram distribuiti su tutte le 89 regioni della Russia, per rivolgersi in particolare alle generazioni più giovani; i canali verranno gestiti da giornalisti locali e collaboratori dei servizi stampa, scelti per la consonanza col candidato e l’efficacia della comunicazione sul territorio. Saranno canali dedicati alla diffusione del programma putiniano, e rimarranno aperti tutto il prossimo anno.
La mossa più incisiva e foriera di cambiamenti è stata, nelle ultime settimane, la nomina di 10 nuovi governatori regionali. Si tratta dello strumento che ha principalmente caratterizzato la politica interna di Putin fin dai primi anni: al posto dell’ampia autonomia concessa da Eltsin, che aveva creato negli anni ’90 numerose contrapposizioni e aveva alimentato ambizioni di personaggi spesso imprevedibili, venne imposto fin dal 2000 lo schema della “verticale del potere”, togliendo il carattere elettivo ai governatori. Essendo nominati direttamente dal presidente, i capi delle regioni sono dei fedeli esecutori dei suoi programmi; i recenti cambiamenti vanno tutti nel senso di uno svecchiamento della classe dirigente, che appare quindi uno degli scopi principali della nuova campagna. Da un lato, si tratta di un fenomeno naturale dopo due decenni di governo, dall’altro s’intende la volontà di trovare nuove sintonie con i più giovani, la cui devozione al potere putiniano appare sempre più in discussione. Le nuove generazioni mostrano notevole insofferenza verso le situazioni di potere cristallizzato e spesso compromesso dalla corruzione e dai conflitti d’interesse, e anche a livello ideologico non sembrano sostenere il pathos ideologico del nazionalismo grande-russo di questi anni. L’orgoglio nazionale e il desiderio di tornare al ruolo di superpotenza mondiale, infatti, è in buona parte una conseguenza della nostalgia per i fasti dell’Unione Sovietica, di cui i più giovani non hanno ormai alcuna memoria o legame.
I “nuovi” scelti tra persone apprezzate
Le nuove nomine hanno molto sorpreso gli osservatori e gli stessi cittadini, come ad esempio quella di Vladimir Vassiliev in Dagestan o di Aleksandr Burkov nella regione di Omsk in Siberia; si tratta di personaggi ben noti e anche molto apprezzati dalla pubblica opinione, ma finora lontanissimi da ambizioni di potere e dai giochi politici abituali. I nuovi governatori sembrano rispondere alle richieste di onestà e trasparenza invocate in tante manifestazioni di piazza durante l’anno passato; con l’inizio della stagione fredda, in cui inevitabilmente tali proteste si ridurranno quasi a zero per la difficoltà a scendere in strada, questa mossa potrebbe presentare a primavera uno scenario completamente “ripulito” dalle scorie passate.
Si attendono nei prossimi mesi anche diversi cambiamenti a livello centrale, come dimissioni e sostituzioni di ministri, per liberarsi anche dei fardelli dell’amministrazione moscovita. A queste rotazioni dovrebbero poi aggiungersi varie riforme soprattutto in campo economico, per far fronte alla galoppante crisi di sistema in cui la Russia sta precipitando da un paio d’anni. I problemi sono in parte dovuti alle situazioni di conflitto in cui la Russia è impegnata in Siria e in Ucraina, con le astronomiche spese belliche conseguenti e le sanzioni imposte dall’Occidente; in parte dipendono da condizioni strutturali dell’economia russa, che si regge sull’esportazione delle materie prime e delle risorse energetiche, oggi molto in difficoltà rispetto al decennio precedente.
Alla domanda dei giornalisti se non riteneva ormai giunto il tempo di annunciare la propria candidatura, Putin rispose ancora a inizio settembre che “appena si dà l’annuncio, tutti smettono di lavorare”. In realtà, questa risposta ha suscitato ulteriori perplessità e ipotesi: difficilmente i funzionari smetterebbero di lavorare sotto Putin, ma potrebbero lasciarsi andare se il candidato fosse un altro. Si parla infatti di un piano alternativo, per cui Putin sarebbe già pronto a indicare il suo delfino: si tratterebbe di Aleksej Djumin, 45enne governatore di Tula, uomo forte già a capo dei servizi di sicurezza del presidente, e nel 2014 comandante delle Forze speciali che assicurarono la riunificazione della Crimea alla Russia. Djumin gestì anche l’evacuazione in Russia dell’ex-presidente ucraino Viktor Janukovič, e potrebbe oggi apparire come il nuovo leader in grado di attraversare anche la frontiera tra la Russia e il suo futuro.
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