La battaglia della Russia contro il totalitarismo neoliberista
In due discorsi di questi giorni il presidente Putin e il patriarca di Mosca Kirill sono tornati a mostrare come l'obiettivo della guerra non sia solo l’Ucraina ma l’intero Occidente, con il suo modello di società che attribuisce "un valore assoluto alla scelta individuale". Una sfida politica, morale e spirituale.
Il presidente russo Putin e il patriarca di Mosca Kirill sono tornati in questi giorni a declamare i principi ideologici che hanno imposto la “necessità” di agire a livello militare in Ucraina, per arginare l’invasione occidentale che a loro parere intende imporre un modello di società e di convivenza assolutamente inaccettabile per i russi, e disastroso per l’intera comunità mondiale che la Russia intende difendere.
Kirill è intervenuto nella Sala Grande della Filarmonica di San Pietroburgo, dove si teneva una serata in memoria del metropolita martire di Pietrogrado Venjamin (Kazanskij), di cui ricorrono i 100 anni dall’esecuzione da parte dei bolscevichi, uno dei primi e più grandi testimoni della fede all’inizio delle persecuzioni contro la Chiesa, insieme ad altri vescovi e sacerdoti martiri. In loro onore l’orchestra ha eseguito l’oratorio della “Passione sul Golgota”. Il patriarca ha colto l’occasione per ammonire sulla necessità di resistere alla nuova persecuzione, quella della “divulgazione del peccato” imposta dall’ideologia secolarizzata e consumista dell’Occidente.
Kirill ha citato ad esempio la “passione per i bei vestiti, che fa perdere la testa alle persone”, che viene proposta “con martellante insistenza attraverso il cinematografo e la letteratura”. Quando si cede a tale propaganda “tutto si frantuma nella vita della gente, la vita familiare, la moralità, l’uomo stesso diventa debole e sottomesso alle forze esterne”. La colpa è del “liberalismo contemporaneo, che attribuisce un valore assoluto alla scelta individuale, e una quantità enorme di persone al mondo vive secondo questo criterio, soprattutto nei Paesi occidentali, pensando di vivere nel benessere”. Invece bisogna vivere “pensando alle cose più importanti, osservando le leggi divine e professando la propria fede a tutti i livelli, nella politica, nell’economia e nella scienza”, ha concluso il patriarca.
Le persecuzioni di un secolo fa, di cui Venjamin fu vittima, furono scatenate dall’imposizione sovietica della confisca dei beni ecclesiastici nel 1921-22, dopo la fine della guerra civile tra Bianchi e Rossi, che aveva gettato la Russia in una gravissima crisi e provocato una generale carestia. La Chiesa fu accusata di opporsi alla confisca e di occultare i beni, provocando l’arresto e la condanna a morte di molti membri del clero ortodosso, e anche alcuni sacerdoti e vescovi cattolici. In tutto la Chiesa ortodossa oggi conta 1700 “nuovi martiri” dei tempi sovietici, e anche la Chiesa cattolica ne ha proclamati alcuni. Il parallelo proposto da Kirill è particolarmente espressivo dell’interpretazione “salvifica” del martirio da parte della Russia: spogliarsi dei “beni superflui” è proprio l’effetto che la guerra in Ucraina sta provocando, a causa delle sanzioni occidentali.
Anche Vladimir Putin ha condannato il “totalitarismo neoliberista” che si cerca di imporre a tutti attraverso “l’egemonia dell’Occidente”, contro cui la Russia ha deciso di reagire. Lo ha fatto nel suo intervento alla X conferenza di Mosca sulla sicurezza, disertata proprio dai rappresentanti dei Paesi “non amichevoli”, davanti a un consesso limitato ai russi e a pochi alleati. A suo parere “le élite occidentali cercano in ogni modo di conservare questa egemonia che sta sfuggendo loro dalle mani” nella nuova fase dell’ordine mondiale inaugurata dalla guerra ucraina.
Questa egemonia per il capo del Cremlino significa “stagnazione, oscurantismo, cancellazione della cultura”, una dittatura ben peggiore di quella sovietica, esprimendosi in sintonia con il patriarca Kirill. Siamo dunque nella seconda fase della guerra, in cui la parte militare ha costituito la necessaria premessa “difensiva”, mentre i vertici russi intendono sferrare l’attacco più massivo e decisivo, quello ideologico, sapendo di avere in questo settore ben più alleati rispetto al campo di battaglia dei soldati e delle bombe. Il fine è liberarsi dall’oppressione del “neocolonialismo dell’Occidente collettivo”, segnato dalla ricerca di nuovi alleati militari, che invece di assicurare una maggiore sicurezza in Europa e nel mondo “produce l’effetto esattamente opposto”. Per questo sono state ignorate lo scorso dicembre le misure proposte dalla Russia per la sicurezza reciproca, inducendola a prendere la decisone della “operazione militare speciale”, condotta secondo Putin “nel pieno rispetto dello statuto delle Nazioni Unite”.
Per Putin le sanzioni sono punitive soltanto per chi le ha emesse “illegalmente”, portando l’Unione europea a oltre 400 miliardi di dollari di perdite dovute alla “febbrile isteria sanzionatoria, del tutto al di fuori della realtà e contro ogni buon senso”. Oggi invece si può finalmente cominciare a “disegnare i contorni di un ordine mondiale multipolare, e sono sempre di più i Paesi che scelgono un modello di sviluppo libero e sovrano basato sulla propria identità, sui propri valori e le proprie tradizioni”.
Putin fa capire di osservare attentamente i processi e i cambiamenti in corso nella politica di tanti Paesi occidentali, dove le “élite globaliste che provocano il caos” vengono sempre più contestate dalle “alternative sovraniste”. Gli Usa e “i suoi vassalli” cercano di immischiarsi nelle questioni interne degli Stati sovrani, “organizzando provocazioni, colpi di Stato e guerre civili”, e per questo “è necessario resistere anche con l’uso della forza”.
La Nato cerca di allargarsi ad Oriente, aumentando la potenza delle proprie infrastrutture militari, e per questo costituisce la vera minaccia per la sicurezza mondiale, preparando negli scorsi anni il popolo dell’Ucraina “al destino di carne da macello, realizzando il progetto anti-Russia e chiudendo gli occhi davanti alla diffusione dell’ideologia neonazista”. Gli “anglosaksy” vogliono estendere al mondo intero questo conflitto, e dall’Europa orientale passeranno all’Asia, all’Africa e all’America latina.
Putin ha parlato esplicitamente delle manovre americane nella regione del Pacifico e del loro “avventurismo” nelle relazioni con Taiwan come nella visita di Nancy Pelosi, invocando in questo caso implicitamente la protezione del grande fratello di Pechino. Tornando però al pubblico a lui più caro, quello degli elettorati dei Paesi occidentali, egli ha accusato i perfidi globalisti di “cercare di distrarre l’attenzione dei propri cittadini dai gravissimi problemi sociali ed economici, gettando la colpa sulla Russia e sulla Cina: il crollo del tenore di vita, la disoccupazione, la povertà, la de-industrializzazione e tanti altri settori di crisi”.
Non è solo l’Ucraina l’obiettivo della guerra putiniana, ma l’intero Occidente, da cui la Russia non intende assolutamente separarsi, ma vuole prepararsi a dominarlo non tanto militarmente, ma a livello politico, morale e spirituale.
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