08/06/2024, 08.45
MONDO RUSSO
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La Russia di Naval’nyj senza Naval’nyj

di Stefano Caprio

Molte persone in Russia hanno cercato di onorare la sua memoria il 4 giugno, il giorno del suo compleanno. E il suo Fondo per la lotta alla corruzione rimane un’eredità importante, al di là delle capacità dei seguaci o del prestigio della moglie Julia, e potrebbe avere ancora un ruolo da svolgere anche in una Russia ormai rinchiusa nel totalitarismo neo-sovietico.

Il 4 giugno è stato ricordato il 48° compleanno di Aleksej Naval’nyj, il primo senza la presenza fisica del martire della dissidenza contro la Russia putiniana. La moglie Julia, insieme a diversi amici e collaboratori del Fondo per la lotta alla corruzione, ha partecipato a una Panichida, una liturgia funebre celebrata da un prete ortodosso russo in una chiesa evangelica di Berlino dedicata alla Madonna, in un’inclusione ecumenica del “cristianesimo libero” dell’ultimo eroe della resistenza al nuovo totalitarismo. Molte persone in Russia hanno cercato di onorare la sua memoria, visitando il cimitero di Borisovo dov’è sepolto, o deponendo fiori ai monumenti alle vittime delle repressioni politiche, come a Novosibirsk, a Tomsk e a Khabarovsk, cercando di eludere i cordoni dei poliziotti davanti a questi luoghi della memoria antisovietica. A Perm, la città vicina al lager dove Naval’nyj è morto, è stata impedita qualunque manifestazione pubblica.

Naval’nyj si è consegnato volontariamente al martirio rientrando in Russia tre anni fa dopo l’avvelenamento, da cui era miracolosamente sopravvissuto grazie alle cure ricevute in Germania. Egli era convinto di potersi sacrificare in nome di un cambiamento che credeva possibile prima che iniziasse la “operazione militare speciale” in Ucraina, e che egli chiamava la “meravigliosa Russia del futuro”, nonostante tutti i segnali che già nel 2021 smentivano le speranze degli oppositori al regime del “patriottismo ortodosso”. Il leader del movimento di protesta era per natura ottimista, e continuava a esprimersi con ironia positiva anche durante il suo calvario di 37 mesi nei vari lager in cui è stato sballottato, dalla regione di Vladimir vicino a Mosca fino al grande nord gelido e mortale, sorridendo e scherzando anche nell’ultima seduta del tribunale dello scorso 15 febbraio, a poche ore dalla sua definitiva resa per una misteriosa “trombosi da detenzione”.

Oggi è facile dire che Naval’nyj abbia sbagliato a tornare, soprattutto abbia sbagliato a credere tanto nel suo popolo, che lo ha lasciato in preda all’inferno senza di fatto alcuna reazione. I suoi seguaci rimasti in libertà denunciano dall’esilio i tradimenti dei politici degli anni Novanta, senza riuscire a immaginare alcuna “Russia del futuro”, e non riescono a creare un vero movimento di opposizione dall’estero, secondo tradizione russa, in quanto i russi non riescono a unirsi senza un vero capo. Aleksej aveva iniziato a fare politica nel 2000, quando si era iscritto al partito liberale Yabloko, cercando di muoversi verso una candidatura nelle competizioni elettorali a Mosca, per essere escluso in modo inatteso nel 2007 per “tendenze nazionaliste” dallo stesso segretario Grigorij Javlinskij, un sopravvissuto dei maledetti anni Novanta che ancora oggi predica nel nulla la sua idea di una Russia democratica.

Era il tempo della conversione della Russia all’ideale di una propria specificità nazionale, dopo il decennio di apertura all’Occidente e alla globalizzazione, e in un certo senso Putin e Naval’nyj hanno rappresentato due varianti di una stessa tendenza. Non a caso Putin ha perseguitato il capo degli oppositori in modalità apparentemente tolleranti, facendolo entrare e uscire dal carcere e permettendo le sue manifestazioni di piazza senza mai esprimersi in modo eccessivamente violento nei suoi confronti, e alla sua morte ha lasciato intendere che in fondo se l’era cercata, visto che era sopravvissuto all’avvelenamento in Siberia e poteva godersi la gloria dell’esilio occidentale. Lo stesso atteggiamento riservato all’altro grande oppositore Mikhail Khodorkovskij, graziato dopo dieci anni di lager, che ora lancia proclami di rivoluzione da Berlino, senza creare alcun problema alla casta del Cremlino.

Il “nazionalismo” di Naval’nyj, che lo aveva escluso dalle opposizioni “presentabili” e gli aveva attirato critiche in patria e all’estero (per esempio, in Ucraina è sempre risultato molto indigesto), era una ricerca molto contraddittoria di un’adeguata immagine della Russia, distinguendosi dagli stereotipi di Oriente e Occidente, e in questo senso davvero Putin e Naval’nyj sono espressioni di una stessa esigenza, ora risolta in forma militare e imperiale, ma che poteva essere diversa e più conciliante. Era e rimane un’aspirazione comune del popolo russo, convinto da sempre di dover esprimere una propria “idea”, una variante alternativa capace di influire e modificare il quadro geopolitico globale, sia esso il “multipolarismo” sbandierato nei conflitti mondiali insieme alla Cina, o piuttosto una diversa “fraternità di popoli” ispirata dalla grande Russia, com’era in effetti nella visione di Naval’nyj. Nei primi anni Duemila egli tentò di creare una nuova organizzazione dal titolo Narod, “il Popolo”, insieme allo scrittore oggi ultra-putiniano Zakhar Prilepin, scampato ad un attentato degli ucraini un anno fa, sedendosi alla guida mentre la bomba nella sua auto è esplosa dalla parte del passeggero, in quel caso il suo autista.

In quella fase si cercava di comporre i nazional-bolscevichi nostalgici del passato regime, il movimento contro l’immigrazione illegale e i rappresentanti del campo democratico-liberale, compresi i giovani di Yabloko delusi dalla guida troppo morbida di Javlinskij. Lo slogan del Narod era “Basta sfamare il Caucaso!” ed è stato presto dimenticato, in quanto il tentativo non ebbe successo. Da allora Aleksej si è dedicato soltanto alle proteste di piazza e alla denuncia della corruzione della casta, attirandosi il risentimento di tutte le altre opposizioni, ciò che rende particolarmente complicato anche oggi il rapporto tra i vari esponenti della diaspora russa in Occidente. In realtà nessuno ha mostrato tanto carisma e talento organizzativo come il martire del lager di Kharp, che ha impresso sul partito putiniano Russia Unita il marchio dei “ladri e farabutti”, da cui non riesce a liberarsi in alcun modo, neanche con operazioni di pulizia come quelle attualmente in atto al ministero della Difesa di Mosca. L’ultima grande iniziativa navalnista è stata quella del “voto utile” alle elezioni, che ha creato tanti problemi in varie amministrazioni, e ora viene liquidata da sistemi sempre più controllati e fasulli di meccanismi elettorali come quelli della “presidenza unanime” del quinto mandato di Putin, un mese esatto dopo la morte di Naval’nyj.

Il massimo risultato elettorale in realtà fu ottenuto nell’ormai lontano 2013 alle elezioni comunali di Mosca, dove anche i risultati ufficiali hanno riconosciuto a Naval’nyj oltre un quarto dei voti, certamente molti di più nella realtà; se fosse stato ammesso il ballottaggio col fido putiniano Sergej Sobjanin, la storia sarebbe potuta essere molto diversa. Da allora il Fondo per la lotta alla corruzione si è dedicato alle inchieste della “buona macchina della verità”, come egli stesso la chiamava, attirando milioni di utenti fino ad oggi, quando la sua discepola Maša Pevčik ha denunciato i Predateli, i “traditori” degli anni Novanta. Oltre cento sono state le pubblicazioni e i video, superando tecnologicamente qualunque espressione partitica in Russia, perfino quella della propaganda di Stato. Il suo fondo Fbk rimane un’eredità importante, in Russia e in tutto il mondo, al di là delle capacità dei seguaci o del prestigio della moglie Julia, e potrebbe avere ancora un ruolo da svolgere anche in una Russia ormai rinchiusa nel totalitarismo neo-sovietico.

Se è vero che con il funerale di Naval’nyj è stata sepolta l’illusione della meravigliosa Russia del futuro, è altrettanto vero che la Russia del presente è talmente sprofondata nell’anti-utopia della guerra contro il mondo intero, che la coscienza popolare potrebbe prima o poi risvegliarsi. Non certo per un improbabile rigurgito pacifista, visto che il conflitto escatologico è ormai scolpito nell’anima non solo dei capi, ma di tutto il popolo russo. Allo stesso tempo l’economia di guerra, sancita dalla nomina del banchiere ortodosso Andrej Belousov come ministro della difesa e imposta dalla ghigliottina della nuova riforma fiscale, non suscita nei russi alcun entusiasmo. Si dice che il libro più letto in Russia quest’anno sia il 1984 di George Orwell, scritto nel 1949 ancora sotto l’impressione catastrofica delle guerre mondiali, che dimostra oggi la sua straordinaria attualità. Il politologo russo moscovita Denis Grekov parla di “psico-economia” in cui “il tenore di vita diventa un elemento di manipolazione delle masse”, perché è più semplice controllare chi non riesce a soddisfare tutte le sue esigenze, come avveniva nel regime sovietico che di fatto si sta restaurando in modo sempre più plateale, con una ristretta casta oligarchica sempre più ricca, e una massa di persone ridotte a una vita piuttosto ansiosa e riduttiva, soprattutto in provincia.

La “schiavitù dei crediti e delle imposte”, come la definisce Grekov, rende sempre più difficile ai russi trovare una via d’uscita che non sia la sottomissione all’ordine costituito, o magari il reclutamento volontario alla guerra, unica possibilità per ottenere lauti compensi. Eppure non siamo più ai tempi di Brežnev e neppure nella giungla degli anni Novanta, e non bastano le motivazioni ideali o religiose per tacitare la voglia dei russi di godere di un vero benessere materiale e di viaggiare liberamente per il mondo intero, non solo sulle spiagge di Bali o di Colombo, magari mandando i figli a vedere le “meraviglie” della Corea del nord, come da recenti accordi per le vacanze dalla Siberia orientale. I russi sognano ancora la meraviglia di cui parlava Naval’nyj, che anche dalla tomba può ispirare improbabili e indefinibili cambiamenti, come si addice alla vera anima russa.

 

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