La Pasqua della Vittoria
Durante la funzione del Giovedì Santo il patriarca Kirill ha recitato una speciale preghiera “per la vittoria della santa Rus’”, che intensifica le litanie belliche imposte ai sacerdoti, pena la privazione dello stato clericale di fronte al rifiuto di pronunciarle. Le celebrazioni pasquali devono ricompattare il popolo dei credenti per mostrare che la Russia ha sconfitto il male al suo interno, ritrovando la giusta via per la sobornost.
La Pasqua ortodossa in Russia quest’anno cade in una data particolarmente adatta alle celebrazioni della religione bellica, la “guerra santa” che da oltre due anni si estende dall’Ucraina agli estremi confini del pianeta, tra la domenica della Risurrezione del 5 maggio e la festa della Vittoria del 9 maggio. Tutto il centro di Mosca viene chiuso al traffico dopo le liturgie domenicali, per lasciare libere le strade alle ripetizioni delle grandi parate che culmineranno nella Piazza Rossa, in realtà la “Piazza Bella” (Krasnaja Ploščad vuol dire entrambe le cose) dove il presidente Vladimir Putin dominerà la scena insieme al patriarca Kirill, in un tripudio di proclami del trionfo sul “nazismo ucraino” dal palco sovrastante al mausoleo di Lenin, un relitto del passato da cui non ci si riesce a liberare.
In realtà la grande vittoria si limita a registrare l’avanzata russa nella metà occidentale della regione ucraina di Donetsk, che Mosca controlla in varie modalità fin dal 2014, e che dopo l’invasione del 2022 rischiava di essere ripresa dagli ucraini nella controffensiva del 2023. Nel 2024 invece ricomincia la grande avanzata delle truppe di Putin, che tra gennaio e maggio sono riuscite a riprendere una fetta di territorio veramente imponente tra Avdeevka e Časov Yar, che se fossimo nel Lazio sarebbe come dire tra Guidonia e Rieti, o negli Stati Uniti tra New York e Somerville. In queste poche decine di chilometri, dove ormai non sussiste più anima viva, si giocano i destini dell’umanità nel confronto epico tra Occidente e Oriente globale, tra visioni del mondo contrapposte, tra la Storia e l’Apocalisse: se la Vittoria contro il nazismo della Grande Guerra Patriottica interessava il fronte più ampio di tutte le guerre, i duemila chilometri della “Operazione Barbarossa” tra Leningrado e Stalingrado, la riduzione ai settanta chilometri del Donbass nella “Operazione Militare Speciale” dimostra quanto si sia ridotta ormai la visione del mondo, al di là dei proclami e delle parate.
La guerra in Ucraina non è una guerra di conquista, ma soltanto di distruzione e desolazione, come dimostrano i continui bombardamenti su Kharkiv, la seconda città dell’Ucraina dopo Kiev, anch’essa ormai ridotta a uno spettrale cumulo di rovine. Il Cremlino afferma di volerla ridurre a “zona neutra” de-militarizzata, anche per evitare le incursioni nella regione russa di Belgorod al confine, e il destino dell’intera Ucraina sembra essere quello di diventare uno “Stato neutro” tra Oriente e Occidente, dove la vita viene ridotta al minimo per indicare la nullità delle reciproche relazioni. Del resto, anche in Medio Oriente si sta andando verso una prospettiva analoga, con distanze simili tra Gaza e Gerusalemme nel conflitto tra israeliani e palestinesi, che coinvolgono l’intera comunità internazionale in uno scenario di devastazione apocalittica.
In questo contesto risulta quanto meno paradossale il Forum del 1° maggio nel Centro congressi di Baku tra i capi di Stato e delle religioni, sul tema del “Dialogo per la pace e la sicurezza globale”, organizzato dalla presidenza dell’Azerbaigian e dall’Amministrazione dei musulmani del Caucaso insieme alla “Alleanza delle civiltà” dell’Onu, dell’Unesco e di altre istituzioni internazionali. Ad esso ha partecipato anche il metropolita Antonij (Sevrjuk), il 39enne direttore del dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca, per sottolineare “l’importanza dell’idea di riunire i rappresentanti delle comunità religiose e delle organizzazioni di diversi Paesi, sullo sfondo della profonda crisi delle relazioni internazionali”. Il giovane braccio destro del patriarca Kirill ha rivendicato alla Chiesa russa l’idea di creare un organo consultivo dei leader religiosi di tutto il mondo, unendo in particolare cristiani e musulmani, per trovare “una risposta efficace delle religioni tradizionali a questa sfida distruttiva e disumana”, cercando di “consolidare tutte le forze sociali di orientamento tradizionale” per evitare “la vittoria del male e l’istituzione del culto internazionale del peccato e dell’egoismo”, a cui è necessario “dare un’adeguata risposta spirituale, perché soltanto l’unione degli sforzi potrà salvare il mondo dall’autodistruzione”.
Il fronte comune dei veri credenti contro l’assalto dell’Anticristo è il cavallo di battaglia del patriarca Kirill fin dalla sua intronizzazione nel 2009, mentre da vescovo e metropolita preferiva, ancora nei tempi sovietici, l’apertura al dialogo ecumenico. La svolta verso la “ortodossia sovranista” è poi iniziata nel 1997, quando Kirill ha ispirato la nuova legge sulla libertà religiosa, proposta alla Duma dal risorto partito comunista contro l’occidentalismo del presidente Eltsin. Si imponeva in essa la superiorità “sovrana” dell’Ortodossia sulle altre religioni tradizionali “minori”, l’islam, il buddismo, l’ebraismo e il cristianesimo, inteso nelle varianti cattolica e protestante. Queste confessioni devono allinearsi in una gerarchia di ruoli per arginare le “false fedi”, non soltanto le sette e i gruppi di formazione più o meno moderna, ma soprattutto le interpretazioni errate della verità religiosa: c’è un’ortodossia scismatica (quella di Costantinopoli) e un islam radicale (quello dell’Isis) da respingere e sostituire, e c’è il “culto internazionale del peccato e dell’egoismo”, secondo la definizione di Antonij, che indica l’inaccettabile stile di vita dell’Occidente immorale, da cui difendere il popolo santo.
La Santa Alleanza non è riuscita ad amalgamarsi, lasciando spazio alla deriva eretica e globalista, fino a costringere la Russia a scendere in campo con le bombe e i carri armati, visto che le armi della preghiera apparivano impotenti. Quindi oggi si prega per i soldati e la guerra, senza più distinzioni tra il campo spirituale e quello militare; durante la funzione del Giovedì Santo, il patriarca ha recitato una speciale preghiera “per la vittoria della santa Rus’”, che intensifica le litanie belliche imposte ai sacerdoti, pena la privazione dello stato clericale di fronte al rifiuto di pronunciarle, come accaduto già a diversi preti russi. Le celebrazioni pasquali devono quindi ricompattare il popolo dei credenti, e Kirill ha insistito sulla comunione eucaristica frequente, possibilmente quotidiana, che non è una pratica molto abituale per gli ortodossi: “Bisogna pentirsi ogni giorno dei nostri peccati, non soltanto nella confessione, ma nella richiesta di perdono orante, per non cadere preda delle tentazioni del Maligno ed unirsi a Cristo formando un unico corpo”.
Già nell’omelia della Domenica delle Palme, all’inizio della Settimana Autentica, il patriarca aveva tuonato che “non si può sradicare la fede dal cuore e dalla mente degli uomini”, come hanno tentato di fare nei primi secoli gli imperatori pagani e quindi molti altri politici, come “nel nostro recente passato, quando era stato annunciato lo scopo terribile della costruzione di una società perfetta senza Dio, senza la componente spirituale”. Oggi la Russia ha sconfitto il male al suo interno, ritrovando la giusta via per la sobornost, la comunione invece del comunismo, ma deve “resistere agli assalti dall’esterno” ricordando a tutti “il vero senso della vita, educando nella fede i nostri figli, amandoci l’un l’altro e amando la nostra Patria vittoriosa”.
Le omelie di Kirill e le dichiarazioni di Antonij sono state confermate in un’intervista “pre-pasquale” dell’ideologo presidenziale Aleksandr Dugin, concessa al giornalista americano-putiniano Tucker Carlson. A Dugin si vorrebbe ora affidare una “Scuola superiore di politica” a Mosca per formare le nuove classi dirigenti nello spirito del sovranismo eurasiatico, una decisione contestata da molti per i richiami alla filosofia di Ivan Il’in, il pensatore preferito da Putin che nel secolo scorso esprimeva la sua ammirazione per Hitler e Mussolini. Anche Dugin ammonisce sul “pericolo dell’autodistruzione dell’intera umanità”, se non si porrà un argine alla deriva degli Stati anglosassoni, da lui esplicitamente elencati: Usa, Canada, Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda (ammiccando all’Europa più addomesticabile), tutti affetti dal “contagio dell’individualismo” che li porta a “rivolgersi contro sé stessi”. La libertà individuale, secondo l’ideologo, è una “errata comprensione della natura umana, che separa il singolo da tutta la comunità”, una piaga diffusa fin dalla riforma protestante e dalla filosofia nominalista, risalendo ai tempi medievali per indicare l’inizio della “scomparsa dell’identità collettiva”.
Secondo i russi l’Occidente è rimasto senza identità, “ha rifiutato anche di riconoscersi nella Chiesa cattolica”, spiega Dugin, e oggi non riconosce più nemmeno le specificità degli Stati e delle nazioni, “esiste solo il fantasma della società civile” da cui vengono eliminati gli ultimi residui identitari, quelli del genere e dell’umano, che “scompariranno nel trans-umanesimo e nell’intelligenza artificiale”. La risurrezione e la vita eterna saranno però garantite dalla Russia, nella Vittoria dell’Ortodossia in un mondo ormai ridotto a una grande Ucraina o una grande Gaza, uno sterminato cumulo di macerie.
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