La Guardia imperiale di Putin
Tutte le compagnie militari private analoghe alla Wagner sono state ormai assimilate dalla nuova opričnina imperiale. Come alla fine del regno di Ivan, anche nel crepuscolo di Putin, dopo l’ultima divinizzazione delle elezioni presidenziali del prossimo mese di marzo, il vero problema sarà quanto le squadre degli uomini di forza del potere saranno in grado di mantenere tra loro un equilibrio interno.
Dagli oscuri meandri del Cremlino, mentre un suo ennesimo sosia serve il caviale nella reggia di Novo Ogarevo a un solenne ricevimento natalizio con alcuni parenti (accuratamente selezionati) dei caduti nella guerra in Ucraina, lo zar Vladimir Putin assiste con soddisfazione all’ennesimo conflitto in corso nel mondo sconvolto dalla sua “ribellione al monopolio americano”. La guerra civile tra narcotrafficanti e governo in Ecuador, completa il quadro della “guerra mondiale non più a pezzi”, a cui l’America Latina ancora mancava all’appello. La definizione bergogliana risulta quanto mai attuale per descrivere il corso degli avvenimenti, vista anche la rivolta interna alla stessa Chiesa cattolica nei confronti della dichiarazione Fiducia supplicans - firmata dal massimo teologo papale, il cardinale argentino “Tucho” Fernandez - che ha autorizzato la benedizione delle coppie dello stesso sesso. Proprio il motivo proclamato dal patriarca di Mosca Kirill per giustificare l’aggressione in Ucraina, quando affermò che “vogliono imporci le parate gay”.
In realtà, le feste natalizie hanno offerto al patriarcato di Mosca anche l’occasione per mostrare al mondo il nuovo esarca per l’Africa, il 46enne vescovo di Zarajsk e vicario del patriarca, Konstantin (Ostrovskij), ancora “facente funzione” al posto dell’esautorato Leonid (Gorbačev). L’11 gennaio ha iniziato la sua prima visita pastorale in Sudafrica, proprio nel giorno in cui il Paese del presidente Cyril Ramaphosa, grande amico di Putin, denunciava davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja il “genocidio dei palestinesi” nella Striscia di Gaza perpetuato dagli israeliani. L’ex-esarca Leonid rimane invece nella parrocchia di Tutti i Santi a Kuliški, in periferia di Mosca, dove in questi giorni sono in completa avaria tutte le tubature dei riscaldamenti, e da cui amministra a distanza l’eparchia russa di Erevan dei relokanty russi emigrati in Armenia.
La defenestrazione di Leonid è stata una conseguenza di uno degli eventi cruciali in Russia nel 2023: la rivolta di Evgenij Prigožin di cui il metropolita era l’assistente spirituale. La vicenda della brigata Wagner, ora disciolta dopo la clamorosa scomparsa del suo fondatore, rivela uno degli aspetti più significativi del sistema politico di Putin, quello della “guardia imperiale” che allo stesso tempo è chiamata a difendere la persona dello zar, il controllo del suo territorio e la purezza della sua fede ideologica. Si tratta di uno schema messo a punto ai tempi del primo zar Ivan il Terribile, o per meglio dire “il Minaccioso”, l’ispirazione originaria dello stesso Putin che minaccia il mondo intero in nome di una missione speciale del “mondo russo”, per la salvezza di tutti i popoli.
Dal 1565 al 1572 lo zar Ivan IV aveva costituito la opričnina, una guardia imperiale speciale a cui aveva concesso il dominio dei territori centrali della Moscovia, affidando la protezione della sua persona e la capacità di intervento nelle zone di crisi intorno al nascente impero, soprattutto verso i Paesi baltici che ambivano all’indipendenza, come l’Ucraina di oggi. Gli opričniki, i guardiani del regno, vestivano un’uniforme monastica e pregavano fin dalle prime ore del mattino insieme allo zar, che vestiva a sua volta i paramenti regali sopra quelli sacerdotali, per indicare la stretta unione del trono con l’altare. Il termine oprič, da cui deriva il titolo della guardia, significa “speciale” e “oltre i confini”, in qualche modo analogo al termine ukraina, “presso i margini”, per indicare l’aspirazione russa di estendersi al di là del suo enorme territorio, che già nel Cinquecento costituiva la metà dell’Europa. La Guardia sostenne il monarca nella guerra di Livonia, un’analogia dell’attuale guerra in Ucraina, dove pure si sono sbizzarrite le brigate speciali dell’ultimo zar.
La rivolta di Prigožin ha messo a nudo i limiti di questa politica militare “oltre i confini” di ogni legislazione e tradizione, facendo seriamente vacillare la stabilità del regime putiniano. L’anno nuovo ha iniziato una ridefinizione dei ruoli, quando il 3 gennaio la Rosgvardija, variante attuale della milizia imperiale, ha assorbito il battaglione Vostok delle armate regionali del Donbass, che godeva di una certa autonomia nelle strategie belliche. Negli scorsi giorni è stato inserito nella Guardia del Cremlino anche un altro gruppo delle armate delle “quasi repubbliche” annesse, la compagnia Kaskad. Questo rafforzamento delle truppe alle dirette dipendenze di Putin dipende da un decreto legge di luglio 2023, in cui si permetteva alla Rosgvardija di utilizzare armi pesanti. Tutto questo è una conseguenza degli errori commessi con la troppa libertà concessa alla compagnia Wagner di Prigožin.
I “musicisti” della Wagner erano stati inizialmente radunati per occuparsi degli interessi della Russia nei territori dell’Africa, aiutando i regimi vicini al Cremlino e arraffando tutte le ricchezze del continente, diventato “territorio canonico” della Russia dopo il tradimento del patriarcato greco-ortodosso di Alessandria, che ha riconosciuto lo “scisma ucraino”. La strategia di Prigožin prevedeva l’arricchimento dei propri conti correnti insieme a quelli offshore dello stesso Putin, oltre a quelli ufficiali della Banca centrale di Russia, accumulando riserve aurifere sempre più ingenti, necessarie a prevenire le nefaste conseguenze delle sanzioni inevitabili con l’invasione dell’Ucraina.
Con l’inizio della guerra aperta a febbraio 2022, i combattenti della Wagner si sono resi necessari direttamente sul fronte ucraino, in quanto dopo il fallimento dei primi assalti si è reso evidente che le forze regolari dell’esercito russo non erano in grado di assolvere ai compiti del blitzkrieg sognato dal presidente. I wagnerovsty erano necessari perché avevano più esperienza nelle azioni militari sporche, e perché erano in grado di convincere i detenuti dei lager ad arruolarsi, una delle mosse decisive nella composizione delle armate russe in Ucraina.
Putin godeva in questo modo del controllo di un gruppo militare alternativo, che soltanto formalmente si sottometteva alla direzione dell’esercito, ma di fatto si regolava secondo i piani dei suoi stessi dirigenti, in particolare del “cuoco” Prigožin, e non erano tenuti neppure a pronunciare il giuramento ufficiale. Questo eccesso di libertà ha portato alla fine alla rivolta dello stesso Prigožin, che ha messo a nudo i limiti del potere putiniano, ritenuto troppo debole nelle azioni militari, ciò che costituisce ancora oggi la vera opposizione (non esplicita) nei confronti del presidente, quella della “guerra finale”, ben più decisa del timido pacifismo del tutto represso dalle misure autoritarie.
Alla fine del 2022 appariva chiaro che l’esercito russo non era in grado di contrastare adeguatamente la controffensiva ucraina, che era riuscita a riconquistare la riva sinistra del Dnepr da Kharkov a Kherson, ciò che portò infine alla “marcia su Mosca” di Prigožin e della Wagner. Putin comprese che non bastava il controllo generale sulle forze impegnate nei combattimenti, ma gli serviva una vera “armata personale”, ora ricompattata nella Rosgvardija guidata dal generale Viktor Zolotov, uno dei principali “comandanti ombra” di tutta la forza bellica russa. Accanto al segretario del Consiglio di sicurezza, Nikolaj Patrušev, Zolotov è una delle figure in grado di controllare tutto il sistema del potere putiniano, sia in vita sia in assenza dello zar rinchiuso nel bunker.
Tutte le compagnie militari private analoghe alla Wagner, moltiplicatesi fin dall’annessione della Crimea nel 2014, vengono ormai assimilate dalla nuova opričnina imperiale. Come alla fine del regno di Ivan, anche nel crepuscolo di Putin il Terribile, dopo l’ultima divinizzazione delle elezioni presidenziali del prossimo mese di marzo, il vero problema sarà quanto queste squadre interne dei siloviki, gli uomini di forza del potere, saranno in grado di mantenere tra loro un equilibrio interno tra Rosgvardija, servizi dell’Fsb, controspionaggio della Gru, ministero dell’interno e patriarcato ortodosso. Il rischio è che la Russia possa crollare per le lotte interne alle strutture del potere, molto più che per sconfitte militari o sollevazioni popolari, senza che da questa mischia possa scaturire alcunché di buono.
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