La Cina lancia una campagna di “simpatia”, per migliorare la sua immagine
Pechino punta su scambi culturali, tradizioni e arte per presentarsi come un grande Paese con un ruolo benefico. Ma il mondo vede l’arresto dei dissidenti e la censura dei media. Un’indagine della Bbc mostra un crescente disfavore popolare verso la Cina, specie in Occidente.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La Cina lancia una campagna di “simpatia”, promuovendo all’estero scambi culturali e accreditando l’immagine di una grande Paese pacifico. Ma da una recente indagine risulta che oltre il 50% degli intervistati mondiali considerano con preoccupazione la crescita economica e politica di Pechino.
La Cina è consapevole della pubblicità “negativa” che le deriva dalle persecuzioni contro chi difende diritti (come la detenzione di Liu Xiaobo) e dalla corruzione molto diffusa tra i dirigenti del Partito comunista cinese. Tuttavia Pechino, con il crescere dello sviluppo economico, ambisce a uno status di grande potenza mondiale e ritiene importante avere il favore delle popolazioni estere.
Wu Fan, editore della rivista Usa China Affairs, ha notato che la Cina privilegia gli scambi culturali, soprattutto a livello scolastico e universitario. Wu osserva che la propaganda cinese passa anzitutto tramite la diffusione della cultura e dell’arte, non potendo certo presentarsi tramite la mancanza di democrazia, la pubblica corruzione e lo scarso rispetto dei diritti civili anche economici dei cittadini. Per cui il governo promuove la creazione, anche all’estero, di oltre 600 Istituti Confucio, con programmi di scambi culturali, corsi di cinese, eventi di ogni tipo.
Ma una recente indagine della British Broadcasting Corporation World Service, che ha sentito oltre 28mila persone di 27 Paesi, ha riscontrato che aumenta il disfavore mondiale per la crescita economica della Cina, rispetto ai risultati di un’analoga indagine del 2005.
E’ vero che su base mondiale circa il 50% degli intervistati considera positiva la crescente potenza economica cinese, rispetto al 33% che la vede con disfavore. Ma il sentimento negativo è in forte aumento nei Paesi occidentali che hanno maggiori rapporti con la Cina, come Stati Uniti, Francia, Canada, Germania e Italia. Giudizio che è pure conseguenza dei crescenti contrasti economici tra questi Stati che, in un periodo di bassa crescita economica, cercano di tutelare le industrie nazionali dall’invasione dei prodotti cinesi.
Invece sono favorevoli i Paesi africani, soprattutto Nigeria (82% di consensi) e Kenya (77%). Analisti osservano che l’Africa in genere considera la Cina come una grande opportunità di aiuto per lo sviluppo. Ma sempre più Paesi stanno constatando che la Cina si limita a comprare in Africa energia e materie prime, pagandole spesso con opere e infrastrutture realizzate da ditte pure cinesi. La Cina impianta miniere ma sfrutta i minatori africani come quelli cinesi e invade i Paesi con i suoi economici prodotti strangolando le nascenti imprese manifatturiere.
Discorso analogo vale per parecchi tra i Paesi in via di sviluppo che vedono con favore la crescita cinese.
Questi dati sono confermati dalla risposta al quesito se in campo commerciale la Cina agisce in modo corretto verso gli altri Paesi. In Giappone, Corea del Sud, Germania e Italia oltre il 50% degli intervistati considera Pechino “scorretta”, come pure il 45% negli Usa rispetto a un 24% che la ritiene “corretta”.
Pechino organizza anche appositi corsi tra i dirigenti del Pcc per insegnare a dare un’immagine di efficienza, cortesia e correttezza ai media esteri.
Ma esperti dicono che più che la simpatia contano le azioni. E ricordano come a febbraio e marzo la polizia, per timore di proteste di piazza, ha fermato e arrestato alcuni giornalisti esteri, a Pechino e a Shanghai.
La campagna simpatia vale all’estero, non certo in Cina. Hu Ping, direttore della rivista online Usa “Beijing Spring”, spiega all’agenzia RadioFreeAsia che Pechino vuole piuttosto aumentare la censura, specie su internet, e accrescere il controllo sull’opinione pubblica, eliminando qualsiasi dissenso.
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