La Chiesa contro la base militare di Jeju: “E’ contro la coscienza cristiana”
di Joseph Yun Li-sun
L’isola è stata per 7 anni il teatro di un massacro continuo di civili da parte delle forze militari della prima dittatura sudcoreana: oggi, Seoul vorrebbe stanziarci migliaia di marines. Il presidente dei vescovi coreani in visita: “Ricordate la voce dei pontefici e cercate il disarmo, non la guerra”.
Seoul (AsiaNews) – L’isola di Jeju “dovrebbe essere un perenne invito alla pace. Costruire una base militare qui, dove tanto sangue innocente è stato versato, offende la coscienza cristiana: ricordiamo gli inviti di tutti i grandi pontefici degli ultimi secoli e diamo voce alla pace, non alla guerra”. Lo ha detto ieri il presidente della Conferenza episcopale coreana, mons. Pietro Kang U-il, nel corso di una visita sull’isola.
Il governo sudcoreano ha intenzione di costruire su questa isola, che si trova nella parte sud della penisola coreana, una base per i marines nazionali e per quelli statunitensi. Come ricorda il vescovo, però, “questa deve essere una terra di pace, soprattutto alla luce degli Incidenti del 3 aprile. Portare ancora militari in questo luogo significa levare ogni senso alla morte di chi si è sacrificato per la libertà”.
Il riferimento del presule è al massacro iniziato a Jeju il 3 aprile 1947: fino al 1954, quando la Corea del Sud era divisa fra la dittatura militare e la presenza statunitense, nell’isola sono morte migliaia di persone. Questi facevano parte di gruppi civili armati, che si opponevano al governo sanguinario di Seoul. Grazie anche alla guida della Chiesa, la dittatura venne sconfitta e Jeju divenne un simbolo della resistenza.
Per mons. Kang, inoltre, ci sono anche dei dubbi pratici: “E’ veramente utile costruire un avamposto militare da miliardi di dollari proprio oggi, in un periodo in cui così tante persone soffrono per la crisi economica e la flessione dei mercati? Io non credo. E comunque la nostra coscienza di cristiani ci dice che è sbagliato, che questa costruzione si oppone al piano divino per la nostra salvezza”.
Parlando davanti a migliaia di fedeli, il presidente della Cbck ha concluso: “Tutti i pontefici della nostra epoca hanno con una voce sola chiesto al mondo di seguire la strada del disarmo. Ogni cristiano deve ascoltare questa voce, che parla di verità, e mettersi in prima fila per salvare il mondo dalla violenza che intende distruggerlo”.
Il governo sudcoreano ha intenzione di costruire su questa isola, che si trova nella parte sud della penisola coreana, una base per i marines nazionali e per quelli statunitensi. Come ricorda il vescovo, però, “questa deve essere una terra di pace, soprattutto alla luce degli Incidenti del 3 aprile. Portare ancora militari in questo luogo significa levare ogni senso alla morte di chi si è sacrificato per la libertà”.
Il riferimento del presule è al massacro iniziato a Jeju il 3 aprile 1947: fino al 1954, quando la Corea del Sud era divisa fra la dittatura militare e la presenza statunitense, nell’isola sono morte migliaia di persone. Questi facevano parte di gruppi civili armati, che si opponevano al governo sanguinario di Seoul. Grazie anche alla guida della Chiesa, la dittatura venne sconfitta e Jeju divenne un simbolo della resistenza.
Per mons. Kang, inoltre, ci sono anche dei dubbi pratici: “E’ veramente utile costruire un avamposto militare da miliardi di dollari proprio oggi, in un periodo in cui così tante persone soffrono per la crisi economica e la flessione dei mercati? Io non credo. E comunque la nostra coscienza di cristiani ci dice che è sbagliato, che questa costruzione si oppone al piano divino per la nostra salvezza”.
Parlando davanti a migliaia di fedeli, il presidente della Cbck ha concluso: “Tutti i pontefici della nostra epoca hanno con una voce sola chiesto al mondo di seguire la strada del disarmo. Ogni cristiano deve ascoltare questa voce, che parla di verità, e mettersi in prima fila per salvare il mondo dalla violenza che intende distruggerlo”.
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