La Cecenia, nervo scoperto di Mosca
Il Cremlino glissa su un incontro tra Putin e Kadyrov. Lo zar russo sembra incapace di contenere gli eccessi islamisti del satrapo ceceno. In Cecenia presi di mira un giudice federale e la sua famiglia per denunce di torture nelle carceri locali.
Mosca (AsiaNews) – Tra i viaggi a Pechino e gli schieramenti bellici sul confine ucraino, il presidente russo Vladimir Putin è costretto a tenere uno sguardo vigile anche all’interno del Paese. Negli ultimi tempi la Cecenia, repubblica caucasica della Federazione Russa, sta tornando a ribollire per conflitti interni ed esterni, con pericolose derive verso il fondamentalismo islamico a partire dal suo stesso presidente, il 45enne Ramzan Kadyrov, figlio dell’eroe sportivo e militare Akhmad, il presidente delle guerre post-sovietiche ucciso da un’esplosione nel 2004.
Putin e Kadyrov si sono incontrati in questi giorni in formato semi-segreto, con scarsi comunicati sui luoghi e i contenuti delle loro “sessioni di lavoro”. La Cecenia è scossa da giorni per lo scandalo suscitato dalla famiglia Jangulbaev, con gli anziani genitori magistrati schierati per i diritti a fianco del figlio Abubakar, fondatore di un “Comitato anti-tortura” per denunciare le violenze nelle carceri cecene.
La madre di Abubakar è stata rapita e deportata da Nižnij Novgorod a Groznyj. Nelle piazze della capitale cecena si svolgono manifestazioni per chiedere l’esecuzione di questi “nemici dell’Islam”, a cui il deputato alla Duma di Mosca Adam Delimkhanov, stretto collaboratore di Kadyrov, ha promesso di “tagliare la testa”. Gli altri parenti degli Jangulbaev sono stati costretti a rinnegare i loro congiunti, per evitare ritorsioni.
Molti si chiedono come sia possibile ammettere un tale livello di violenza e fanatismo religioso all’interno della Russia, e come mai il presidente Putin non intervenga almeno per calmare i toni. Vari deputati della Duma hanno presentato interrogazioni in proposito; i media e alcune organizzazioni umanitarie hanno avanzato esposti in Procura e ai giudici per verificare la legittimità degli interventi del satrapo ceceno, che sembra voler introdurre un codice religioso-totalitario in quello che dovrebbe rimanere, almeno in apparenza, uno Stato di diritto.
Come ha commentato il politologo russo-ceceno Abbas Galjamov su Currentime.tv, “la cosa più impressionante è il silenzio del Cremlino sugli incontri con Kadyrov, strombazzati dagli addetti stampa di Groznyj e confermati da Mosca solo giorni dopo. In questi casi chi perde fa finta che non sia successo niente, mentre i vincitori si fanno propaganda; evidentemente Kadyrov sente di aver vinto questa partita”. La vittoria consisterebbe proprio nell’aver resistito agli ordini di Mosca, rivendicando il diritto di compiere azioni clamorose come arrestare un giudice federale, rapire la moglie e minacciare di morte i familiari.
Putin non è riuscito a mettere in riga il suo fedele Kadyrov, e questo viene interpretato come un segno di debolezza del presidente russo. Qualche commentatore osserva che forse Kadyrov è più utile a Putin, che non il contrario. Nella guerra con l’Ucraina, più che la temuta invasione, potrebbero riprendere le cosiddette “azioni ibride”, assalti di mercenari nel Donbass e in altre regioni come quella di Kharkov o di Sumi vicino al confine. Non è un segreto che i mercenari di queste operazioni sporche siano in gran parte reclutati tra i ceceni, sostenuti dal governo repubblicano.
Putin in realtà rischia molto con il conflitto in Ucraina, e non solo a livello internazionale, ma anche nelle dialettiche interne. Le opposizioni sono state annichilite lungo tutto lo scorso anno, dall’arresto di Naval’nyj a febbraio fino alle elezioni “addomesticate” di settembre, ma la guerra ucraina con i suoi costi e le sue incertezze potrebbe ridare fiato ai dissidenti, e diffondere ulteriori sentimenti negativi tra l’opinione pubblica.
Kadyrov sfrutta queste contingenze per rafforzare il suo potere locale e il suo influsso sulla politica russa a livello federale. Del resto la Cecenia era uno snodo cruciale anche ai tempi sovietici, terra di traffici clandestini e intrecci mafiosi, e si favoleggia che proprio in queste valli caucasiche sia stata occultata una buona parte del “tesoro” monetario del Partito comunista sovietico.
L’unico commento dell’ineffabile portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, è stato che “la vendetta è una tradizione della Cecenia, anche se non si concorda molto con la legislazione russa”. Minacce e ritorsioni sono ottimi deterrenti per ogni tipo di peccati da nascondere, a Groznyj come a Mosca.
15/11/2022 08:53
07/09/2017 08:56
25/05/2022 08:52
07/04/2022 09:00