21/09/2024, 08.45
MONDO RUSSO
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La 'trinità delle religioni' della Russia

di Stefano Caprio

Oggi l’ortodossia in Russia si caratterizza sempre più come una religione a parte, che mantiene l’aspetto formale del cristianesimo di rito slavo-orientale, e allo stesso tempo si estende sempre più ad altre confessioni “patriottiche”, fino ad associare anche l’islam e il buddismo nell’unica espressione della patria trinitaria.

La teoria della Russia che unisce i popoli e i mondi nel “mondo russo”, che da oltre due anni sostiene le motivazioni della guerra in Ucraina e da molto prima ispira la rinascita della grande Russia come centro del mondo, ha una formulazione sostanzialmente trinitaria. A partire dall’ideale tardo-medievale di “Mosca – Terza Roma”, in quanto erede di Roma e di Costantinopoli, le dimensioni della realtà russa vengono declinate in versione triadica per diversi aspetti: quello geografico, che attribuisce alla Russia tre coordinate geografiche, Settentrione-Oriente-Occidente a partire dal Circolo Polare Artico, con la metà orientale dell’Europa e la metà settentrionale dell’Asia, quello storico delle tre capitali di Kiev, Mosca e San Pietroburgo e dei tre popoli di Bielorussia, Russia e Ucraina (Russia Bianca, Grande e Piccola), e quello spirituale del cristianesimo latino, greco e slavo.

La Russia è il “mondo terzo” rispetto alle grandi potenze del passato e del presente, come accade oggi nuovamente nel confronto tra l’America e la Cina, un “popolo nuovo” rispetto agli imperi antichi di Roma e Bisanzio, e a quelli dei secoli successivi di Europa e America. Non a caso l’immagine simbolicamente decisiva della missione bellico-spirituale della Russia del presidente Putin e del patriarca Kirill, con la partecipazione di “terze figure” a turno come il metropolita Tikhon di Crimea o il comandante Prigožin della guerra globale, è l’icona della Santissima Trinità di Sant’Andrej Rublev, il monaco del Quattrocento che interpretava la rinascita della Russia di Mosca dopo il Giogo Tartaro insieme ai suoi due maestri, San Sergij di Radonež e San Stefan di Perm.

La religione è in effetti la principale fonte di ispirazione di tutte le varianti storiche della Russia, compresa quella sovietica nella versione “rovesciata” dell’ateismo di Stato. Oggi l’Ortodossia è la grande giustificazione della “difesa dei valori tradizionali” che mobilita tutta la Russia alla guerra contro l’Anticristo occidentale, e si caratterizza sempre più come una religione a parte, che mantiene l’aspetto formale del cristianesimo di rito slavo-orientale, e allo stesso tempo si estende sempre più ad altre confessioni “patriottiche”, fino a formare una nuova “trinità spirituale” che associa all’ortodossia anche l’islam e il buddismo, fino quasi a non distinguerle, nell’unica espressione della patria trinitaria.

Nel 1997, anno decisivo per la svolta del “sovranismo spirituale” che ha poi generato il regime di Vladimir Putin, la Duma di Mosca approvò una nuova legge sulla libertà religiosa, che correggeva quella troppo “liberale” del 1990 di Eltsin, associata a quella ancora più permissiva del 1991 di Gorbačev, che al tramonto dell’era sovietica permettevano a qualunque confessione religiosa di diffondere liberamente il proprio credo. Nella nuova legge, ispirata dalla Chiesa ortodossa dell’allora patriarca Aleksij II insieme al suo futuro successore, il metropolita Kirill, e sostenuta nella Duma dal risorto partito comunista di Gennadij Zjuganov, si affermava che la Russia ha una religione “storicamente principale”, appunto quella ortodossa, a cui si associavano in scala minore altre quattro “religioni tradizionali”: l’islam, l’ebraismo, il buddismo e il cristianesimo, quest’ultimo distinto dall’ortodossia per indicare le varianti protestante e cattolica, minori ma presenti in Russia da secoli.

La nuova legge, irrigidita ulteriormente con successive modifiche, impone la prevalenza dell’ortodossia rispetto a tutte le altre nello schema “1+4”, riducendo le comunità religiose non comprese nello schema allo stato di “non tradizionali” e quindi bisognose di continue conferme e revisioni per permettere la loro esistenza, fino all’esclusione totale di quelle più refrattarie alla registrazione e al controllo, come i Testimoni di Geova, i Pentecostali e il movimento di Scientology. Le 4 “meno tradizionali” sono comunque confinate per principio all’assistenza delle “etnie minori” dell’islam caucasico, il buddismo asiatico e il cristianesimo polacco-tedesco, presenti in varia misura sui territori della Federazione, mentre i “veri russi” sono comunque associati all’ortodossia, anche senza il battesimo e gli altri sacramenti. Con lo sviluppo bellico-religioso degli ultimi anni, delle quattro “minori” di fatto due si esaltano e due scompaiono: islam e buddismo sono sempre più in linea con l’ortodossia, mentre cattolici/protestanti ed ebrei rappresentano i “popoli ostili”, per quanto le loro gerarchie si sforzino di apparire leali col regime militare vigente.

Un articolo di questi giorni sulla Nezavisimaja Gazeta parla in effetti di un sistema religioso “tripartitico” in Russia. L’ebraismo, che i russi determinano con il titolo in sé poco benevolo di iudaizm, subisce gli effetti di un antisemitismo ancestrale dei russi, con i tanti pogrom che li spinsero dalla Bielorussia verso le terre meridionali della Novorossija, la zona del mar Nero tra Odessa e Soči da cui salparono i fondatori del moderno Stato d’Israele. Per quanto il rabbino capo italo-americano Berl Lazar, in Russia dal 1990, si sforzi di apparire “più russo dei russi”, sostenendo entusiasticamente le politiche del Cremlino, gli ebrei oggi sono nuovamente emarginati e perseguitati, soprattutto nelle regioni islamiche caucasiche, ma anche nel resto della Federazione. Per quanto uno dei soggetti federali sia il “Distretto autonomo ebraico” di Birobidžan nella Siberia orientale, creato ai tempi di Stalin come “ghetto ebraico” dell’impero, di fatto oggi gli ebrei russi cercano il più possibile di fuggire dalla Russia, che sostiene i palestinesi nel conflitto in corso dal 7 ottobre dello scorso anno, cercando di raggiungere Israele, il Paese più russofono dopo quelli ex-sovietici.

Anche i protestanti delle confessioni più storicamente radicate in Russia, come i battisti, i luterani e gli ingermanladtsy (scandinavi e finnici), si presentano in ogni occasione come grandi sostenitori della “guerra santa” contro il mondo occidentale, ma la loro stessa identità germanica, baltica e finnica li collega con le regioni meno allineate con Mosca, e oltre i confini con le nazioni europee meno “amichevoli”. Per non parlare dei cattolici, rappresentati in parte preminente dai polacchi e dai lituani, e dagli stessi tedeschi storicamente presenti sul territorio russo. Anche i sei vescovi cattolici (un italiano, tre tedeschi, un polacco e un russo) professano la loro fedeltà alla Russia senza condannare la guerra pur invocando la pace, e alcuni sacerdoti latini russi sostengono pubblicamente la causa bellica, ma la Chiesa “romano-cattolica” è affiancata anche da diverse comunità greco-cattoliche, molto vicine per tradizione ed etnia ai grandi nemici ucraini, e alcune sono state già soppresse dall’alto come “nemiche della Russia”.

L’articolo della Nezavisimaja Gazeta mette piuttosto in rilievo la centralizzazione delle comunità buddiste in Russia, dopo che la Sangkha si era divisa per anni in diversi centri regionali, quello della Calmucchia, della regione di Tuva e della Buriazia, senza mai trovare forme efficaci di unità. Ora il buddismo russo, che rappresenta almeno 6-7 milioni di persone (protestanti, cattolici ed ebrei a stento radunano 4 milioni tutti insieme), ha una nuova sede a Mosca per tutti, e diffonde le sue lamentele per le offese sacrileghe contro Buddha, mentre sostiene entusiasticamente la guerra in Ucraina, in cui i soldati delle regioni buddiste sono tra le principali riserve di “carne da cannone”, con la presenza di cappellani buddisti arruolati direttamente come militari. Nei giorni scorsi è stato festeggiato il 260° anniversario della gerarchia buddista buriata Khambo-lam, con grandi congratulazioni dal presidente Putin e da tutta la dirigenza del Cremlino, soprattutto dall’ex-ministro della difesa Sergej Šojgu, considerato nella nativa Tuva un eroe buddista semi-divino.

L’islam caucasico e asiatico è da sempre un grande sostenitore dell’ortodossia russa, da tradizioni che risalgono alla conversione maomettana dei Khan tatari quando ancora dominavano la Rus’, in sintonia con la Chiesa ortodossa moscovita che traeva grandi vantaggi dai rapporti amichevoli con l’Orda d’Oro del Volga. In un certo senso, l’alleanza tra ortodossi e musulmani è una garanzia storica del dominio imperiale russo sui diversi popoli, tenendo alla larga le versioni più radicali e terroristiche, pur sempre minacciose a partire dai territori dell’Asia centrale. Con il buddismo, l’islam completa la “trinità delle religioni”, e il patriarca Kirill non perde occasione di mostrare quanto l’ortodossia russa sia in grado di unire i popoli e le confessioni nel grande trionfo dei “valori tradizionali morali e spirituali”.

Alla comunione trinitaria sembra però affacciarsi sempre più una quarta ipostasi, anch’essa discendente dalle tradizioni dei popoli della Russia asiatica, a cui lo stesso presidente Putin guarda con particolare interesse. Si tratta dello sciamanesimo mongolo, riconosciuto in Russia come confessione ufficiale pur “ancor meno tradizionale”, ma nel viaggio recente di Vladimir Putin in Mongolia, passando per Tuva, pare ci sia stato un consulto con alcuni sciamani locali riguardo al corso da tenere nella guerra con l’Ucraina, come affermano diverse fonti. Putin si era recato più volte in queste terre, accompagnato dal fido Šojgu, ma questa volta la causa avrebbe assunto un carattere veramente apocalittico: secondo alcuni, il presidente avrebbe chiesto agli sciamani la benedizione per l’uso delle armi nucleari, ed è tornato rincuorato dalle loro assicurazioni che tale scelta non farebbe troppo infuriare gli spiriti maligni. In questo caso, lo sciamanesimo sorpasserebbe anche la “trinità tradizionale”, imponendo un culto che si dissolve nella spiritualità più pura e assoluta, quella della scomparsa degli esseri umani dalla terra.

 

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