24/02/2015, 00.00
EGITTO - ISLAM
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L'Egitto in lutto prega i suoi martiri decapitati in Libia

di André Azzam
Il patriarca Tawadros ha immesso i nomi dei 21 giovani uccisi dallo Stato islamico nella Sinassi copta, una specie di canonizzazione. La loro memoria si celebrerà ogni anno il 15 di febbraio. Anche per le autorità dello Stato, i 21 decapitati sono dei martiri. Una chiesa sorgerà nel villaggio di origine della maggior parte di loro. La forte solidarietà dei musulmani.

Il Cairo (AsiaNews) - Riportiamo qui la seconda parte della testimonianza del nostro corrispondente in Egitto, sulla vita e il travaglio delle famiglie dei giovani decapitati in Libia dai miliziani dello Stato islamico. Nel dolore, nel lutto, nella preghiera l'unità degli egiziani si rafforza. Il patriarca Tawadros ha annunciato che i nomi dei 21 copti uccisi in Libia saranno inseriti nella Sinassi copta, che coincide con una specie di canonizzazione. La loro memoria cadrà il 15 di febbraio per il calendario gregoriano, e l'ottavo giorno di Amshir per il calendario copto. Diverse personalità hanno fatto notare che nel video della loro esecuzione, alcuni dei giovani testimoniano la loro fede e dicono sommessamente preghiere e invocazione a Gesù, proprio prima di essere decapitati (Per la prima parte vedi qui)

Il villaggio di Al-'Our è diventato un grande spazio di lutto. La chiesa, i giardini, la grande tenda e le abitazioni delle famiglie sono divenuti luoghi di raccolta delle persone che arrivano da tutta la provincia e oltre per porgere le condoglianze ai familiari delle vittime. Ambulanze sono state posizionate all'ingresso del villaggio per soccorrere le persone in caso di emergenza e trasportarle con più facilità all'ospedale di Samallout. Molti abitanti stanno ancora ricevendo le cure all'ospedale Good Shepherd.

Padre Stephanos, vicario della diocesi di Samallut, sostiene che gli attacchi aerei dell'aviazione egiziana in Libia stanno dando sostegno alle famiglie e generano in tutta la nazione un sentimento di comune supporto all'esercito.

Zaynab Sharqâwy, madre musulmana di un ragazzo ucciso nel 2011, durante una manifestazione davanti agli uffici del primo ministro, è arrivata apposta dal Cairo per porgere le condoglianze alle famiglie. La donna sostiene: "Posso comprendere il dolore di ogni madre e sono venuta perché tutti abbiamo bisogno del sostegno l'uno dell'altro. Noi egiziani rimaniamo sempre gli stessi, uniti nella sofferenza e nel lutto, molto più che nelle occasioni di gioia".

Nella casa di  Louqâ Nagâti Anis 'Abdou, nel villaggio di Al-Gabâly, tutte le donne sono riunite attorno alla piccola figlia orfana di nove mesi che non ha mai conosciuto il padre assassinato. Il fratello di Louqâ, Shenouda Nagâty Anîs, racconta che suo fratello di 27 anni aveva fatto ritorno dalla Libia giusto un anno prima per sposarsi, ma poi era dovuto tornare nel Paese senza poter assistere alla nascita della sua prima figlia.

Nel villaggio di Al-'Our la vedova di Tawadraus Youssef Tawadraus piange la morte del marito, 35 anni, con i loro quattro figli, il più grande di quasi 13 anni. Insieme ricordano i giorni felici trascorsi con il padre e marito quando vivevano in un'unica stanza nella casa del nonno. La moglie spiega che otto mesi fa il marito è stato costretto a trasferirsi in Libia per lavoro, in modo da guadagnare i soldi necessari per costruire una piccola casa per la famiglia. L'uomo li chiamava ogni mese ed esprimeva sempre più preoccupazioni per la situazione. L'ultima chiamata risale alla vigilia del Capodanno quando l'uomo ha raccontato del rapimento di sette suoi colleghi.

Hâny 'Abdal-Massîh Salîb lascia quattro figli, tre femmine e un maschio. La vedova Magda dice: "Noi non siamo benestanti... Mio marito viaggiava non per divertimento, ma per offrire ai figli una migliore educazione".

I figli di Samouïl Wilson, 32 anni, Peter (sei anni), Irene (quattro anni) e Buola (due) non riescono a muoversi da casa, dove sono circondati da persone vestite di nero che urlano e piangono dal dolore. Il padre era un idraulico.

Milâd Solimân Shehata è parente di sette vittime. Riceve la visita di amici che provengono da ogni parte del Paese per sostenere lui e piangere insieme agli abitanti del villaggio. Suo fratello Mâgued Solimân Shehata era andato in Libia da otto mesi per i suoi tre figli: Fifi, la più grande, studia alla facoltà d'Arte; Samouïl dovrebbe iniziare l'università in estate e Myrna, la più giovane, sta per finire la scuola primaria. Milâd ha perso anche tre nipoti, Abânoub 'Ayyâd Shehata, Youssef Shawky e Kyrillos Boshrâ; così come due cugini, Hâny 'Abdal-Massîh e Tawadraus Youssef Tawadraus. Egli sostiene: "Se potessimo riavere indietro i loro corpi, almeno li seppelliremmo tutti nella stessa tomba! Durante la nostra ultima chiamata, dopo il rapimento di sette ostaggi alla vigilia del nuovo anno, io gli ho detto di tornare subito a casa. Ma poi il mio cellulare si è scaricato e io non potevo immaginare che sarebbe rimasto scarico per sempre". Milâd ci parla anche di un messaggio che ha inviato alle autorità insieme ad altri membri del villaggio, informandole che "non vedono l'ora di diventare soldati, impugnare le armi e unirsi all'esercito". Il messaggio esprime totale sostegno al presidente al-Sisi e chiede di organizzare un ponte aereo per riportare a casa tutti gli egiziani ancora presenti in Libia.

Le persone stanno svolgendo le procedure per ottenere i certificati di morte e ricevere la pensione destinata alle famiglie. Sobhy Makîn, fratello di Milâd Makîn, racconta che la popolazione attende l'annuncio ufficiale della data del massacro, in modo da organizzare una celebrazione al 40mo giorno, una tradizione che risale al tempo dei faraoni.

Ad Alessandria le 67 chiese di rito copto ortodosso hanno organizzato messe in suffragio delle vittime, alle quali hanno partecipato centinaia di fedeli. Allo stesso tempo il dipartimento dell'Istruzione del governatorato ha deciso di sospendere tutte le festività e le celebrazioni nelle scuole per almeno una settimana, in segno di lutto. A Damietta tutte le attività culturali sono state rimandate. Il governatore di Al-Sharqeyya (a est del Delta) e i suoi colleghi hanno presentato le condoglianze ufficiali al vescovo di Zagagig, capitale della provincia. Lo stesso è avvenuto a Qena, Sohag e Asswan, dove il governatore ha interrotto tutte le festività e ha incaricato i più alti rappresentanti statali di porgere le condoglianze alle vittime del villaggio di Samallut. Nel sud del Sinai per onorare i martiri caduti, un gruppo di attivisti ha organizzato una preghiera serale con le candele sul litorale di Sharm al-Shaykh. Alla veglia hanno partecipato anche molti turisti.

Insieme a sei ministri (Affari interni, Sviluppo locale, Commercio e industria, Affari religiosi, Solidarietà sociale, Gioventù), al villaggio di Al-'Our è giunto anche il primo ministro. Egli ha affermato: "Il sangue dei nostri figli ci sta a cuore. Tutti voi qui siete un grande valore per la nazione. Siamo tutti pronti a sacrificare noi stessi per difendere la nazione e combattere per un unico obiettivo, il benessere e un futuro migliore per la nazione". Il vescovo di Samallut e il primo ministro hanno dichiarato di essere "orgogliosi di avere così tanti martiri in paradiso". Il primo ministro ha poi annunciato di voler costruire nel villaggio, a spese dello stato, una chiesa in memoria dei martiri. Egli ha insistito poi nel visitare ogni singola casa dove abitano le madri e le mogli delle vittime.

Sempre nel villaggio di Al-'Our, dopo un intero giorno e una lunga notte di dolore, la popolazione si è raccolta di fronte alla chiesa della Vergine Maria. Nonostante gli amici provassero a calmarlo, a parlare con veemenza è stato Milâd Fâyez, parente di così tante vittime: "Non dobbiamo rimanere in silenzio. Dobbiamo gridare con forza. Fino a quando dovremo sopportare questi maltrattamenti? Qui ci sono due figli morti in una casa, lì cinque parenti nella stessa famiglia. Come facciamo a frenare la nostra rabbia?"

Un altro abitante del villaggio, un 50enne, ha aggiunto: "Noi non vogliamo la guerra, vogliamo solo la dignità qui, per essere trattati con dignità ovunque".

Ahmad Sâber, insegnante musulmano della scuola primaria e secondaria, arriva direttamente da Samallut per unirsi al lutto delle famiglie dei suoi allievi: "Non faremo corsi e lezioni per molti giorni. Io non posso andare a scuola. Tutte le scuole della zona in questi giorni non saranno aperte...Qui non facciamo distinzione tra musulmani e cristiani. Siamo tutti persone".

Sul muro della chiesa si legge una scritta: "Non cadete nell'ira, perché l'ira tiene in pugno gli ignoranti". Guergues Fawzy, amico dei fratelli Bishoï e Samouïl, ricorda i momenti trascorsi con loro in Libia prima di tornare in Egitto, pochi giorni prima del loro rapimento. "Io speravo che i sequestratori chiedessero un riscatto, ma le mie speranze sono state deluse..."

Amîr Yaacoub, impiegato statale nel consiglio locale spiega che fin dall'inizio i compagni egiziani conoscevano la minaccia presente in Libia, ma quegli uomini hanno tentato di rifarsi una vita migliore in quel Paese, dato che in Egitto non si trova lavoro.

Al momento altri 85 abitanti del villaggio di Al-'Our si trovano ancora in Libia, 79 di essi cristiani e 6 musulmani. Da alcuni giorni molti egiziani sono riusciti a tornare alle loro case attraverso il confine tra la Libia e l'Egitto o prendendo un aereo in Tunisia. Tutto il Paese è preoccupato per i connazionali egiziani che si trovano ancora nell'inferno della Libia.

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