L'influenza degli USA nel dialogo Vaticano-Israele
Washington (AsiaNews) Negli Usa e in Israele si attende con ansia la ripresa dei negoziati tra la Santa Sede e lo Stato di Israele fissata per lunedì 6 settembre. La ripresa dei negoziati, ottenuti attraverso pressioni americane su Israele, viene considerata da molti esperti come "un successo della diplomazia vaticana".
Lo scorso 10 agosto l'influente Senatore Rick Santorum, repubblicano di Pennsylvania, ha scritto al Primo Ministro Sharon, e si è detto "compiaciuto" per la decisione di Sharon di ritornare al tavolo del negoziato con la Chiesa Cattolica - disertato dal governo israeliano il 28 agosto del 2003 e lo ha esortato nello stesso tempo ad assicurare alla delegazione israeliana un mandato sufficiente per negoziare. Il Senatore della maggioranza, noto per la sua amicizia verso Israele, ha fatto riferimento alla delusione subita il 5 luglio di quest'anno, quando la delegazione israeliana, appena ritornata al tavolo del negoziato (in seguito alle precedenti sollecitazioni americane, notevolmente da parte del deputato Henry Hyde, presidente della commissione esteri della Camera) aveva riferito di non aver un mandato per negoziare e arrivare ad accordi. Proprio l'intervento di Santorum, e altri interventi americani, sono stati definiti dal quotidiano israeliano Haaretz, "un successo della diplomazia vaticana".
I politici americani, con pochissime eccezioni, sono fedelissimi amici e sostenitori di Israele. Quale interesse essi hanno a caldeggiare i negoziati tra lo Stato ebraico e la Chiesa Cattolica? AsiaNews ha rivolto la domanda al noto giurista francescano israeliano, il p. David-Maria A. Jaeger, che, negli ultimi mesi, a Washington, ha incontrato il deputato Hyde, il senatore Santorum, e una serie di altri membri della legislatura federale, repubblicani e democratici oltre ad esponenti della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato. "Gli americani - dice p. Jaeger - sostengono Israele perché lo ritengono uno Stato democratico che condivide gli stessi valori della società americana. Essi si sentono perciò in disagio nell'apprendere che in Israele la Chiesa Cattolica non gode attualmente dello stesso trattamento favorevole, specie in campo fiscale, di cui essa, assieme alle Comunità ebraiche, e alle altre religioni, gode negli Stati Uniti. E un fine importante delle trattative in corso (dall'11 marzo 1999) è proprio questo, di assicurare alla Chiesa le esenzioni fiscali analoghe a quelle abituali negli Stati Uniti (e comunque già assicurate alla Chiesa da trattati precedenti tra le potenze europee e l'Impero ottomano nonchè da risoluzioni Onu). Inoltre, con la loro particolare attenzione al diritto alla proprietà, gli americani non possono accettare che, in Israele, in virtù di una legge antica, mai revocata e sempre in uso, alla Chiesa può essere impedito l'accesso ai tribunali a tutela delle sue proprietà a carattere religioso, conventi, chiese e cimiteri. Anche il superamento di questa situazione è da sempre una finalità centrale dei negoziati. Particolarmente sensibili a questi temi sono i 65 milioni di cattolici americani, le cui offerte sono fonte importantissima del sostegno economico alla Chiesa in Israele. Lo spirito che anima gli interventi di questi politici che hanno tenuto sotto pressione l'ambasciata di Israele a Washington - è proprio quello di amicizia e sollecitudine per la Nazione israeliana: che vogliono vedere rapporti corretti e magnanimi con la Chiesa, simili ai rapporti che gli Stati Uniti hanno con le organizzazioni religiose".
Fino al luglio scorso, p. Jaeger è stato membro del consiglio di governo della Custodia francescana di Terra Santa e suo portavoce ufficiale. Nel colloquio con AsiaNews, il p. Jaeger, ha elogiato la "grande attenzione" riservata dalla Conferenza episcopale USA e la "particolare vicinanza" dell'arcivescovo di Washington, il Card. Theodore McCarrick, alla Chiesa di Terra Santa. I "rapporti cordiali" del card. McCarrick con il presidente Bush "hanno giovato molto in momenti di particolare difficoltà", soprattutto nel convincere il presidente a chiedere a Sharon di bloccare la costruzione della moschea proprio alle porte della Basilica dell'Annunciazione a Nazaret. La decisione, annullata da Sharon, era stata presa dal precedente governo israeliano.